“Zazunâ”
–Di Fiorenzo Toso–
“Finisce e feste, comensa e menestre”, dice un vecchio adagio, e in effetti, dopo tante mangiate, non sarebbe male fare un po’ di digiuno, ossia cominciare, per dirla in genovese a “zazunâ”, un verbo che discende dal latino JEJUNARE e che è presente in genovese fin dai testi delle origini (fine sec. XIII: “denal m’è cossì preso / e quaxi zazunao no ò”, Anonimo Genovese) insieme all’aggettivo “zazun” ‘digiuno’ (per zo che li omi son zazun), usato come sostantivo anche nella forma “zazunio” (far zazunio e astinentia / gi par gragnora e pestelentia).
Queste forme continuano a essere documentate nella letteratura successiva (1637, “tirara chiù longa che un dì de zazun”, Brignole Sale; 1642, “no fasso veiria sao con zazunà”, Marini) fino ai repertori ottocenteschi (1851, Casaccia) e ai giorni nostri. Connesso a questo verbo è anche il suo contrario, ossia “disnâ” per ‘pranzare’, che però ci è giunto indirettamente, derivando dal francese antico “disner”, a sua volta dal latino tardo *DISJEJUNARE, letteralmente ‘rompere il digiuno’: anch’esso è ben documentato in genovese dai testi più antichi (fine sec. XIII, “disnando in chà de quello segnor“; seconda metà del sec. XIV, “no poè disnà stagando in grande pensamento”, nel Raxonamento de Criste a Maria), e poi nella letteratura successiva (1664, “quando disno conteigo“, Sgambati) fino ai repertori ottocenteschi. A sua volta l’uso sostantivato col valore di ‘pranzo’, tuttora vitale, è frequentissimo fin dalle origini (fine sec. XIII, “anti che fose disnar coito” ‘prima del pranzo’; “li gran disnar e le merende“), anche nel senso più generico di ‘cibo’ (“a chi for’ mancha lo disnar” ‘a chi forse è privo di cibo’). Altrettanto antica è la forma “depoidisnâ” per ‘dopopranzo, pomeriggio’ (fine sec. XIII, “una via de poi disnà / me incomenzai de raxonà”), per la quale oggi si sente sempre più spesso la variante italianizzante “doppodisnâ“. La variante “dirnâ“, diffusa soprattutto nel genovese rurale e rivierasco, presenta un passaggio da -s- a -r- piuttosto frequente davanti a consonante, che dà spesso origine a fenomeni di metatesi: “dirnâ” e “drinâ”, quindi, come “derfâ” e “drefâ” rispetto a “desfâ” ‘disfare’.