Una visita ad Auschwitz – Birchenau
Quando visiti i campi di sterminio di Auschwitz – Birchenau un pensiero ti sconvolge più di tutto: come si poteva uscire da questo incubo?
In maniera molto semplice …. dal camino ….
[Di Enzo Dagnino]
E’ impossibile trasferire a parole o per iscritto quelle che sono le sensazioni che si vivono girando gli spazi di questa anticamera dell’inferno, dell’inumanità, di tutto ciò che la bestia umana può pensare ed attuare contro il suo simile e al tempo stesso può sembrare troppo duro mostrare foto o parlare di situazioni molto crude ma credo sia indispensabile alimentare il ricordo e l’orrore verso una delle peggiori espressioni della crudeltà dell’uomo. Arrivi nel piazzale di sosta degli autobus e incontri gente chiassosa, di tutte le nazionalità, che va e che viene con un’aria quasi da scampagnata.
Ti muovi con il tuo gruppo e lo sguardo scorre sui fabbricati della reception, l’ingresso e il metal detector, l’incontro con la guida che distribuisce le cuffie amplificate perché, ci dice, all’interno si sussurra non si parla – chissà perché.
Giri sul piazzale e IMPROVVISAMENTE ti trovi davanti il cancello che mille volte hai visto in TV o nei film: HARBEIT MACHT FREI (con la B a rovescio, perché il fabbro che la realizzò, al nascere del campo, volle evidenziare che quello che stava nascendo era una cosa contro natura).
Dietro al cancello si comincia ad intravvedere la serie di casermette in mattoni rossi e i reticolati in filo di ferro elettrificato, ma come varchi il cancello capisci subito cosa intendeva la guida dicendoci che all’interno del campo/museo si sussurra e non si parla: un’aria pesante ti opprime, ti tronca il respiro, incominci a guardare negli occhi, sfuggenti, dei vicini e non riesci a parlare sentendo le parole ovattate e lontane di chi ti spiega dove sei e cosa è successo in quei viali che percorri, si sente la ghiaia scricchiolare sotto i piedi e pensi a coloro che anni fa si strascicavano nel gelo nello stesso punto dove tu passi.
I vari blocchi con i loro mattoni rossi e le linee elettrificate di filo spinato ti dicono che tu di qui non puoi uscire, si chiudono su di te come una morsa.
Nessuno parla e fa vagare uno sguardo vacuo tra ciò che lo circonda, si incontrano luoghi di cui abbiamo visto e sentito ma che si trasformano improvvisamente in una realtà dolorosamente tragica.
Il camino
(nel riquadro il pollice dell’ufficiale indica la via per la vita o la morte)
Dopo aver visto immagini e oggetti già visti e rivisti sui media ne esci ubriaco, incredulo perchè hai toccato con mano, hai respirato la malvagità della natura umana, una su tutte agghiacciante (che per rispetto non può essere fotografata): una massa di capelli grigi di 20.000 donne rasate prima della gasatura.
Come Auschwitz ti opprime con le sue strutture, invece, Birchenau ti disperde, dissolve il tuo pensiero in una spianata allucinante dominata dall’ingresso con la sua torre e il cancello, chiamato “cancello della morte”
Entrato lungo il gelido binario della morte ti trovi in uno spiazzo enorme di cui non distingui la fine, lo sguardo spazia ma non trova ostacoli:
Il tuo sguardo si perde in una distesa senza confini fatta solo di recinzioni di cui non se ne scorge la fine e la tua mente non può non pensare alle sofferenze vissute e finite in quell’aria sempre più pesante e mi tornano alla mente le parole che una guida ha pronunciato ad un gruppo di amici appena entrati nel campo, era il 27 gennaio 2015
“giorno della memoria”,e il termometro segnava -12°C:
Adesso, per comprendere un po’ meglio quello che si può esser vissuto qui, spogliatevi e indossate il pigiama e le ciabatte solamente. Ora potete entrare, girare, guardare e cominciare a capire.
Un pensiero ti sconvolge più di tutto, come si poteva uscire da questo incubo?
In maniera molto semplice …. dal camino ….
Il 14-6-1940 all’arrivo dei primi deportati il comandante del campo SS. Karl Fritzsch li accolse con queste parole:
“Voi non siete venuti in un sanatorio, ma in un lager tedesco, qui esiste solo l’entrata e non c’è altra uscita che il camino del forno crematorio. Se a qualcuno non piace, può andare subito a buttarsi sul filo spinato ad alta tensione. Siete venuti qui per morire: gli ebrei non hanno diritto a vivere più di due settimane, i preti un mese e gli altri tre mesi”
(Le foto dell’articolo sono di Enzo Dagnino e sono state scattate durante la sua visita a Auschwitz – Birchenau)