Come i pesci rossi: la soglia di attenzione sempre più giu.
Farhad Manjoo nell’incipit di un articolo pubblicato su Internazionale: “Sarò breve, perché non resterete qui a lungo. Ho già perso un bel po’ di lettori. Su 161 persone che sono finite su questo articolo, circa 61 (il 38 per cento) sono già andate via”
di Antonello Rivano
Google ha determinato l’algoritmo della nostra attenzione: il tempo massimo di concentrazione di un millennial, i ragazzi e le ragazze che sono diventati maggiorenni nel nuovo millennio (dal 2000 in poi) è di 9 secondi. Quello di un pesce rosso è di 8 secondi. Nell’ era dell’informazione, il nostro mondo “a portata di click”, la vera risorsa limitata è l’attenzione, sempre più difficile da ottenere e da controllare.
Il premio Nobel Herbert Simon, quarant’anni fa sottolineava: “In un mondo ricco di informazioni, questa abbondanza di sapere ha come conseguenza la carenza di un’altra risorsa: la scarsità di ciò che l’informazione consuma. Ed è abbastanza ovvio cosa venga consumato dall’informazione: l’attenzione dei riceventi. Quindi l’abbondanza di informazioni genera una povertà di attenzione.”
Quindi una scarsa capacità di attenzione, sommata al nuovo, preoccupante, fenomeno dell’analfabetismo funzionale, crea di fatto uno tuznami culturale che travolge e stravolge il mondo di comunicare. Siamo sempre più bombardati da messaggi “veloci”, mal confezionati e che, spesso, mal rispecchiano quello che dovrebbe essere il loro vero contenuto.
Quello che di fatto dovrebbe essere (qualcosa) relegato al marketing, alla pubblicità, alla comunicazione interpersonale, si riversa anche nella catena dell’informazione. Pure le grandi testate giornalistiche, nella loro versione web, stanno sempre più adottando metodi non propriamente corretti per ottenere i Click sui loro post. Tanti post, spesso grammaticalmente discutibili, spesso anche ripetuti ripetitivi, hanno titoli sensazionalistici che poco hanno a che fare con ciò che è effettivamente scritto dell’articolo. L’utente medio, il “follower” della pagina FB, nella maggior parte dei casi, si limita a leggere il titolo, spinto dalla curiosità, a volte dalla morbosità, apre il link, legge poche righe, chiude e passa a un altro post, magari dopo aver condiviso una notizia che si verificherà essere un Fake o una Bufala.
Questa “evoluzione”, non sempre si evolve, trasforma in meglio, si è visto anche nell’ uso delle piattaforme social. Il predominio iniziale di Fb è stato dapprima minato da Twitter e successivamente da Instagram. Contenuti via via sempre più corti, immediati, leggeri. Dai testi, a volte anche abbastanza lunghi e complessi, di FB, ai 140 iniziali caratteri di Twitter, diventati di recente 280, per passare alle sole foto, o brevissimi video, di Instagram. Il fatto che si preferisca la brevità è dimostrato dal fatto che anche se Twitter ha raddoppiato il numero di caratteri massimi, i messaggi in esso inseriti restano brevi.
Per la visone di un video su FB la soglia di attenzione è di un minuto e mezzo, si consiglia però di non andare oltre il minuto. I primi tre secondi sono fondamentali perché un utente decida se vedere quel video, tant’è che è preferibile non mettere sigle inziali e inserire i titoli solo in coda.
In tutto questo si è finiti per arrivare alle “storie” di Instagram, formato adottato anche da FB. Le Instagram Stories, o Storie di Instagram, sono testi, foto e brevi video (dalla durata massima di 15 secondi) inseribili inseriti nel proprio profilo su Instagram in una sezione dedicata, dove restano visibili per 24 ore.
Per chi le storie è abituato a scriverle, raccontarle in un servizio giornalistico, magari inventarle per un racconto o un romanzo, fa un po’ impressione sapere che oggigiorno attualmente chiamiamo “storia” qualcosa che sparirà dopo 24 ore.
Con la consapevolezza che, con questo mio articolo, Sono andato ben oltre la vostra soglia di attenzione e, probabilmente, in pochissimi siete arrivati a queste righe finali.
Alla prossima ‘storia’