Dal governo alla governance
di Tiziana Maria Ginocchio
Desidero iniziare attraverso lo spazio riservatomi ne “Il Ponentino” alcune riflessioni base e minimali sui concetti fondamentali che creano il governo dei territori.
E credo proprio siano la base su cui poi costruire politiche di successo, quali che siano i programmi elettorali e quindi operativi che si andranno prima a proporre e poi a realizzare nei territori in cui si eserciterà la delega del potere il cui sovrano detentore ricordiamoli è il cittadino, cioè i cittadini, cioè il popolo. Cioè noi.
Questi argomenti partiranno dai concetti di governance, di vision e mission, di territorio che rimane il complemento oggetto su cui si eserciterà la governance e su cui si svilupperanno i programmi di vision e mission che lo andranno a definire, identificare, cambiare.
Si rileva innanzitutto che negli ultimi anni è cresciuto molto l’interesse per i modelli regionali e locali di governance, fenomeno determinato dal processo di globalizzazione e dai «conseguenti mutamenti organizzativi che hanno “ancorato” le imprese ai contesti istituzionali locali, e in parte ai processi di riorganizzazione istituzionale che hanno rafforzato i margini di manovra dei livelli decentrati di regolazione, promuovendo la crescita di quella che alcuni hanno definito territorial regime competition» (Burroni, 2005, p. 133).
Gli strumenti tradizionali di regolazione, infatti, sembrano non essere più sufficienti per raggiungere l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile e competitivo del territorio di riferimento (De Pascali, 2008).
In questo contesto, è necessario implementare un’azione di governo locale.
In pratica, negli ultimi anni, si sono diffusi, sia in Italia che negli altri paesi europei, dei modelli di policy-making, che, da un lato, mirano a riorganizzare il rapporto tra politiche nazionali e politiche locali, attraverso la realizzazione di assetti istituzionali multilivello di tipo innovativo tra stato, enti regionali, governi locali, e, dall’altro, puntano a realizzare gli obiettivi prefissati tramite i modelli di regolazione basati sulla partnership tra soggetti pubblici e privati (Mayntz, 1999, p. 3).
Le sinergie tra organizzazioni pubbliche e private, che permettono il funzionamento della nostra società sono sempre più interconnesse tra di loro e danno vita a processi e ad output (di beni e servizi) caratterizzati da un livello di complessità crescente.
Il territorio, che andremo meglio a definire oltre, non è più solo spazio fisico, ma diventa un’entità dinamica, che progredisce nel tempo.
In questo senso, si può parlare di patrimonio territoriale, costituito da quel complesso di valori culturali, economici e sociali che sono l’eredità del passato e che determinano la sua identità (Ferrari, 2011).
Il territorio rappresenta una rete, all’interno della quale si instaurano relazioni tra i vari soggetti, nell’ottica della realizzazione di programmazioni di sviluppo condivise che si attuano con l’applicazione della governance dei territori (Pompili, 2010, p. 170).
Non esiste un unico ambito territoriale ottimale, cui riferire le politiche di sviluppo locale, ma c’è una gamma vasta di opzioni complesse e articolate, che inducono gli enti locali ad acquisire una più raffinata capacità di analisi territoriale e a costruire partenariati differenziati a seconda degli obiettivi che si intendono raggiungere. Gli enti locali, sulla scia delle nuove dinamiche in atto, devono assumere il ruolo di protagonisti nella realizzazione di network differentemente articolati a seconda delle esigenze e degli obiettivi che si pongono (Bolocan Goldstein, 2004).
Il soggetto pubblico, per attuare un giusto processo di governance, dovrebbe impegnarsi nella promozione e nella formazione di reti, rimuovendo eventuali ostacoli, favorendo connessioni e relazioni fra soggetti (Butera, 1990, p. 223) e agendo in qualità di network manager (Governa, 2004).
Ciò non significa che i singoli livelli istituzionali debbano vedere sminuita la propria importanza e la propria centralità.
Anzi, fra gli attori che partecipano ai processi decisionali, il soggetto pubblico deve continuare a ricoprire un ruolo determinante e centrale.
Sia nelle città più grandi che in quelle più piccole, il ruolo del governo locale è ancora centrale, ma in maniera diversa rispetto al passato.
Infatti, mentre negli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso la funzione degli enti locali era fondata su una regolazione autoritativa, che identificava dall’alto strategie e percorsi di sviluppo, senza condividere tale identificazione e la successiva realizzazione con altri attori locali, oggi il ruolo del governo locale è funzionale alla mobilitazione e al coordinamento delle risorse, promuovendo la partecipazione alla definizione e alla realizzazione di politiche per la competitività.
Cito alcune definizioni:
“Con la governance l’attore pubblico rinuncia a prescrivere e a decidere per via gerarchica e introduce un nuovo stile di policy basato sul dialogo che anticipa la decisione” (Chiappinelli et al., 2010).
“Si tratta, in buona sostanza, di dare vita a delle forme di “governance territoriale”, che sappiano rendere il contesto di riferimento ottimale per investimenti ed opportunità di crescita” (Calise, 2000).
“La finalità principale consiste nel fare della governance partecipata e comunicativa, frutto dell’esaltazione della sussidiarietà orizzontale e verticale, il modello naturale di sviluppo delle comunità locali” (Palumbo e Vaccaro, 2007).
“Per poter attuare un percorso di pianificazione e controllo strategico è necessario delineare un progetto di sviluppo fattibile e credibile e un progetto territoriale, incentrato sull’organicità e sulla pianificazione strategica” (Bianchi, 2009, p. 259).
“Nel caso della governance locale, gli attori impegnati sono le istituzioni, le imprese, le associazioni, i cittadini e i gruppi locali” (Burini, 2013, p. 32).
“Ognuno di questi attori è portatore di diversi interessi e posizioni. Ma tutti partecipano, a vario titolo, alla governance locale, gestendo, spendendo, votando e negoziando, pur essendo diversamente coinvolti in termini di rischio e di incertezza” (Cersosimo, 2001, p. 71).
“Un considerevole numero di soggetti, facenti capo a diversi centri di potere sociale, motivati da obiettivi ed interessi legittimi, in contesti di rilievo pubblico, comprendenti finanza, banche, rapporti industriali, mercato del lavoro, tematiche ambientali, risorse, consumi, servizi, ecc., si impegnano selettivamente per il perseguimento di fini settoriali e nel loro insieme conducono un’azione suppletiva rispetto all’ormai inconsistente azione di sintesi della politica” (Mongardini, 2000, p. 93).
“Ciascun soggetto, chiamato a svolgere un ruolo specifico nel campo della governance, esplica la sua azione su più livelli, dando vita a quella che viene comunemente definita come una governance multilivello” (Alteri e de Nardis, 2009).
Negli ultimi anni, anche in ragione delle critiche emerse nei confronti del paradigma partecipativo, rispetto alla governance territoriale/ambientale viene sollevata la necessità di evidenziare un’ulteriore distinzione, quella tra governance e governmentality.
Sviluppata per la prima volta dal filosofo francese M. Foucault negli anni Settanta del 20° sec., la nozione di governmentality va intesa come cornice all’interno della quale si creano le condizioni di possibilità per la governance.
La governmentality, in altre parole, costituisce il fondamento della governance in termini di pertinenza e legittimità delle procedure e dei metodi attraverso i quali si elaborano scelte e decisioni politico-istituzionali.
Il focus dell’attenzione passa dalla questione del chi e come si partecipa a quella del a che cosa si partecipa, estendendo il discorso sul cosa sia, appunto, legittimo e pertinente per un territorio o un contesto ambientale.