“Il mondo di Carletto” e il mondo di Walter
NEL LIBRO DI G. WALTER CAVALLO, DEDICATO ALLA FIGURA DEL PADRE, DUE MONDI SI SOVRAPPONGONO E CI RIPORTANO A UN RECENTE PASSATO, FATTO DI GESTI COSÌ SEMPLICI DA SEMBRARE ECCEZIONALI
Quando mi appresto a scrivere la recensione di un libro la cosa che più mi incuriosisce non è tanto il contenuto ma chi lo ha scritto. Perché in ogni libro, di qualunque tipo, di qualunque cosa tratti, c’è un po’ del suo autore. Insomma, assieme a quel volume noi mettiamo nei nostri scaffali dei pezzi di vita.
E’ quindi partendo dal suo autore che si dovrebbe ogni volta iniziare. E’ con queste prerogative che avrei dovuto accostarmi alla figura di chi aveva scritto “Il mondo di Carletto” (liberodiscrivere-2019), ma incontrando G. Walter Cavallo ho incontrato e conosciuto tutto un mondo, tanto che poi, quando ho iniziato a leggere il libro, era come se ogni riga l’avessi già vista e vissuta.
Ci sono due storie parallele in “Il mondo di Carletto”, quella di Carletto, il padre, e quella del figlio che non dice mai direttamente chi è, tanto che altri personaggi realmente esistiti hanno nel libro nomi diversi dalla realtà, quasi a voler loro dare quella riservatezza in cui erano vissuti, persone eccezionali pur nella loro normalità, come del resto il protagonista: Carletto
Carletto non era “un autista” di autobus, Carletto era “l’autista”. Leggendo ci si proietta in quel “piccolo mondo antico” che è a noi così vicino ma anche così tanto distante. Gli anni del BOOM ma anche dei cambiamenti del territorio, come il tratto di autostrada che prenderà il posto del campo che Carletto, come secondo lavoro, coltivava con la sua motozappa. E Carletto sembra voler arginare quei cambiamenti, magari piantando due alberi che creino una fragile barriera tra le macchine che sfrecciano e le case che prima guardavano il verde dei campi.
“Mio padre prese la tessera del PC per poter lavorare” mi dice Walter, però la sua idea di società era certamente figlia di una apertura verso chi aveva bisogno e di rispetto assoluto dell’ “altro”. Un esempio per quella “accoglienza” ante litteram che gli farà dire a un emigrato sardo (quello che per l’epoca poteva essere considerato da tanti l’extra comunitario di adesso) cedendogli la sua casa: “Mi darai quello che potrai quando potrai”.
Sarebbero tanti gli episodi da raccontare, vi lasciamo il piacere di scoprirli leggendo il libro.
Scorrendo la storia parallela del figlio viene alla luce una formazione fatta di esempi paterni e di incontri “illuminati ed illuminanti”, come quello con la famiglia della moglie. Facilmente riconoscibili le figure del suocero educatore e del cognato prete. Ecco, dopo aver conosciuto Walter non ho più avuto dubbi che il “bieco bancario” come lui spesso ama definirsi, ha un animo fortemente umanistico, come del resto attestano gli studi intrapresi dopo essere andato in pensione, la laurea e i tanti impegni nel volontariato, l’amore per la ricerca storica e il territorio. Una persona che ha avuto opportunità che, con lo stesso spirito di sacrifico del padre e con volontà ed applicazione, spesso indici di ricchezza cultuale, ha saputo cogliere. Salire degli scalini sociali a volte non è semplice, anzi non lo è mai, qualunque sia il livello da cui si parte.
Tornando a Carletto non possiamo che osservare con nostalgia il suo tempo e il suo mondo. Leggendo il libro sentiamo i rumori del motore, l’odore dei gas di scarico di quei mezzi non certamente ecologici, ma anche le chiacchere della gente, la voce dell’autista che cerca di soverchiare quella del suo mezzo. L’allegria e la cortesia di un uomo che stava facendo grandi sacrifici per la sua famiglia, nel suo modo, coretto e onesto.
Il bello è che l’autore ha lasciato ad altri il compito di “raccontare”, attraverso le testimonianze di chi aveva conosciuto il padre, per una sorta di visione neutrale ma anche, e soprattutto, per una cosa che non ha timore e rivelare: Io non conoscevo quel “Carletto”, ma un padre fermo nella mia educazione, e con una visione precisa di quello che io avrei dovuto fare. Tanto che quando mi si presentò l’occasione di poter scegliere se iniziare la mia avventura nel mondo del lavoro o continuare a studiare, fu irremovibile. Se volevo continuare a studiare avrei dovuto fare l’uno e l’atro, cosi come lui faceva più cose per mantenerci decorosamente. Non riuscii ad essere come lui e rinunciai agli studi, che ho ripreso una volta andato in pensione. Alla luce dei fatti devo ammettere che, probabilmente, lo devo ringraziare per questo. Le testimonianze di chi lo aveva conosciuto nell’ambito del suo lavoro – ha continuato l’autore – mi hanno restituito quella parte di mio padre che mi era mancata”
Ho letto “il mondo di Carletto” in una sola sera, ne sono uscito arricchito, cosi come dalle conversazioni con il suo autore, e ho messo nello scaffale della mia libreria un altro libro, un altro pezzo di vita.
(foto di copertina: Cavallo Carlo, noto “Carletto”)
“Carletto non aveva nulla a che vedere con la semplice professione di tranviere dell’U.I.T.E. Era l’amico sorridente che ti viene a prendere e ti porta a casa. Era il Don che ti confessa e poi ti assolve, era Mary Poppins che ti dà “un poco di zucchero”. […] Ma voi l’avete mai visto un autista cittadino che ti apre lo sportello e ti saluta? L’avete mai conosciuto un conducente di pullman che si ferma, apre il finestrino e prende in giro un suo amico lì per strada? Quello che fa (Carletto) non è un lavoro, è missione d’amore, amore ricambiato da tanti sorrisi. […] quando io salgo sul “70” e trovo Carletto, mi sento felice come quando in tv c’è un film di Stanlio e Ollio”. Carlo Denei
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