La “Concessionari di Automobili Pubbliche – Società Cooperativa a Responsabilità limitata“, cioè la società che raggruppa buona parte dei tassisti genovesi, ha compiuto nel 2013 i cento anni di attività. Questi, che pubblicheremo a puntate, seguendo la sequenza dei capitoli del libro Blue Avana. 100 anni di taxi a Genova di Pier Guido Quartero, pubblicato con l’editore Liberodiscrivere nel 2013, sono gli episodi più curiosi e quelli più significativi narratici dai tassisti genovesi, in attività o in pensione. Dalla calda vita della Via Pré degli anni ’50 alle corse in ospedale per salvare vite umane, dagli anni di piombo ai clienti strambi, taccagni o fin troppo generosi, dai personaggi del calcio e dello spettacolo alle lotte sindacali. Il tutto narrato attraverso le chiacchiere di una combriccola di amiconi, creati ad arte dall’autore, che perdono un po’ del loro tempo al Blue Avana: un locale come non ce ne sono più…
La Pierina e Tubetiello (anche i gangsters erano signori, a modo loro)
Da Aldo, al Blue Avana, ci andiamo quasi solo noi che abitiamo nei dintorni e un po’ di tassisti, amici del padrone del locale, però ogni tanto ci capita anche qualcuno di passaggio. Quando succede che passi uno di questi tipi diversi dal solito, noi ci divertiamo a cercare di indovinare la storia che c’è dietro a quella persona. An-zi, non è proprio che cerchiamo di indovinare. Non ci interessa sapere se poi quella è davvero la storia di quel tizio e se fa proprio quel mestiere che gli abbiamo attribuito e se è venuto per il moti-vo che abbiamo deciso. Basta che sia una storia che regge, che ab-bia una sua coerenza, e noi siamo contenti: per passare il tempo, ci sono dei giochi più dannosi, non vi pare?
Quello che volevo raccontarvi è che l’altro giorno, mentre ero lì che bevevo un bianco, che me lo aveva offerto Enrico, quello della tabaccheria che c’è un po’ più in là, è arrivato uno di questi stra-nieri. Voi direte che non è bello chiamare straniero uno, solo per-ché non è un cliente abituale di un bar, ma qui sta il bello, che quello era proprio straniero, perché parlava con un accento strano, che sembrava slavo, e non si capiva bene quello che diceva, ma a un certo punto si è messo a parlare nella sua lingua al cellulare e allora, mentre continuava a blaterare, io ho sentito che diceva due o tre volte karasciò, e così ho capito che doveva per forza essere russo. Ha preso un caffè macchiato e una brioche, poi ha messo un po’ di euro sul bancone, così Aldo ha potuto pagarsi e lasciar-gli il resto. Poi se ne è andato come se ne era venuto, e noi abbia-mo cominciato a ricostruire.
– Voi lo avete capito da dove viene quello lì? – ho chiesto io, tutto contento perché stavo per fare una bella figura, ma Aldo mi ha fregato, perché lui, avendo fatto il tassista per tanti anni, un’idea delle lingue straniere ce l’ha.
– Questo era un russo. – Ha detto, bello tranquillo. Poi ha aggiun-to:
– Secondo me fa parte di una di quelle gang di russi che si occupa-no di tratta delle bianche. Avete visto quell’anellone che aveva al dito? E poi quella giacca di pelle… Aveva un rigonfio, qui dall’ascella. Secondo me aveva una pistola…
– Cala trinchetto! – gli ho detto io, perché va bene che mi aveva fregato sulla questione della Russia, ma che ora si mettesse anche a vedere le pistole mi sembrava un po’ troppo. Ma lui ha insistito. Eccome se ha insistito.
– Ti dico che una pistola doveva avercela. Io di quei rigonfi lì ne ho visti tanti, ai miei tempi, e non erano mai scatole di cioccolati-ni.
– Eri sempre in giro con la mala? – gli ha chiesto Enrico, che anche lui era poco convinto.
– Sempre in giro no, ma da una cert’ora in poi, se facevi la notte, ti capitava di tutto, e qualche volta le pistole le ho viste anche tirare fuori…
– Di che pistole parli, Aldo? – Ha insinuato Enrico, con un sorriso malizioso, e poi ha aggiunto: – Ne hai viste tante, di quelle pistole lì?
Ma Aldo non ci ha voluto far caso, e ha ricominciato a raccontare, e allora tanto valeva stare a sentire cosa aveva da dire. Magari ci usciva fuori una storia sugosa.
– Voi pisquani queste cose non le potete sapere, perché a quei tempi eravate ancora nel prato delle oche, oppure, se eravate già nati, ve ne stavate in braccio alla mamma a ciucciare il latte. A quei tempi, c’erano i napoletani e i siciliani, soprattutto, che lotta-vano tra loro per il controllo del territorio, e controllare il territo-rio voleva dire puttane e sigarette, sigarette e puttane.
– E sparavano? – ho detto io, un po’ dubbioso.
– Sicuro che sparavano. C’è stato un periodo che c’era un gran giro di sigarette americane. Non so se scendevano dalle navi a stelle e strisce o se arrivavano da Napoli, ma comunque ce n’era una gran quantità. A quei tempi la gente veniva a Genova da tutta la Lom-bardia e da tutto il Piemonte, per mangiare due trenette al pesto, farsi una frittura di pesce e poi tornare a casa con la macchina ca-rica di stecche di sigarette. Mi viene in mente che ce n’era una, napoletana, che vendeva roba di contrabbando vicino all’edicola di Via Gramsci. Si chiamava Pierina, e quando vendeva le Camel la chiamava “chille co’ ‘n coppa o ciuccio co’ o scortiello cchi fuma” e invece le Pall Mall per lei erano “e palle ‘n mano chi fuma”. Il ciuccio co’o scortiello sarebbe un asino con la gobba, e cioè il dromedario e le palle in mano sono le palle in mano; chiaro, no?
– E allora? – ho chiesto io.
– E allora niente. Era solo un ricordo. Ma se volete sapere di storie di pistole tirate fuori, vi posso dire che c’era un altro napoletano, che era proprietario di un Night Club, che si chiamava Astoria. Io la pistola gliel’ho vista e, per quanto ne so, mi risulta che l’ha an-che usata. Era noto in giro con il nome di Tubetiello, ed era un signore. Un altro di quelli che, se ti capitavano in macchina, ti eri fatto la serata. Poi, una sera, c’è stato un chiarimento tra le bande e le cose non sono filate lisce come avrebbero dovuto e ci sono stati dei pugni e poi un coltello e poi è andata a finire che, per capirsi meglio, hanno avuto bisogno di parlarsi ancora più chiaro. Così tra via Pré, Via Gramsci e i vicoletti di mezzo c’è stato uno scam-bio di pistolettate e io non ho visto niente, ma qualcuno mi ha raccontato che quel colpo lì l’ha tirato proprio Tubetiello.
– Quale colpo lì?
– Ci fu un colpo che ferì piuttosto gravemente un passante. Cosa ci stesse a fare lì a quell’ora io non lo so, magari era andato a comprarsi un po’ di sesso nel posto sbagliato, e comunque è risul-tato che era incensurato e che non era coinvolto attivamente nello scontro: era solo una vittima. E quel passante coinvolto senza sua colpa era, per pura combinazione, il padre di un collega che lavo-rava soprattutto con i locali.
– E come è finita?
– E’ finita che c’è stato un grande polverone e il ferito ha detto che non aveva idea di chi fosse stato, in tutto quel casino, quello che gli aveva sparato. Comunque, alla fine, è guarito e se ne è tornato a casa sua, ma noi eravamo tutti convinti, anche senza prove, che quel colpo di pistola lo doveva aver tirato Tubetiello, perché quell’uomo lì, per poter vivere tranquillo con il suo Night, doveva avere le mani in pasta un po’ in tutti i punti caldi della città, mi capite, vero? E la cosa che, da quel giorno in poi, tutti abbiamo notato è stata che quel collega il cui padre era stato ferito non ha mai più avuto un problema amministrativo o, se ne ha avuti, li ha sempre risolti con una facilità assolutamente improbabile…
– Peccato che mio padre è morto – ha brontolato Enrico, che con suo padre non doveva mai essere andato tanto d’accordo e che quelli dei Monopoli non lo lasciano mai quietare, – se no glielo presentavo, a questo Tubetiello, se voleva fare un po’ di tiro a se-gno…
– Non starci a pensare. – ha concluso Aldo – Anche Tubetiello, malgrado avesse le mani dappertutto, alla fine ha dovuto rassegnarsi a fare come vuole quell’altro boss che c’è lassù…
Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere
I racconti del Blue Avana–Capitoli già pubblicati