Al Palazzo Ducale di Genova la mostra “Tina Modotti. Donne, Messico e Libertà”
di Anna Maria Cecchini
Dopo il grande consenso di pubblico ottenuto al Mudec Photo di Milano, la mostra “Tina Modotti. Donne, Messico e Libertà”, dall’8 aprile fino il 9 ottobre 2022, sarà ospitata al Palazzo Ducale di Genova. Continua quindi la primavera di rinascita all’insegna della cultura, la cui sede ideale dal 1992 è data dagli spazi del Palazzo Ducale, ove la Fondazione per la Cultura organizza mostre d’arte, rassegne ed incontri culturali.
La mostra “Tina Modotti. Donne, Messico e Libertà” è stata promossa dalla Fondazione Palazzo Ducale, col patrocinio della regione Liguria ed il Comune di Genova, prodotta da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, ed è venuta alla luce grazie all’impegno, il lavoro, la cura che ha visto coinvolti Biba Giacchetti in collaborazione con Sudest57, in sinergia con il contributo scientifico del Comitato Tina Modotti. In esposizione un centinaio di opere fotografiche, stampe originali ai sali d’argento degli anni Settanta realizzate grazie alla preziosa consegna che Vittorio Vidali fece dei negativi originali, nelle mani del fotografo Riccardo Toffoletti, artefice della sua riscoperta. Nel percorso ideale del visitatore volto alla scoperta di questa donna libera che visse grandi passioni ed una esistenza non comune, all’insegna della fotografia e dell’impegno politico, troviamo oltre che il materiale fotografico anche documenti e lettere custoditi dalla sorella Jolanda ed un video.
Un racconto emozionante che avvicina questo spirito libero al pubblico attraverso l’alternarsi di luci ed ombre, miseria e fama, arte ed impegno politico, sociale, arresti e persecuzioni. Una donna intelligente e forte, coraggiosa, poliedrica, affascinante e conturbante. Una donna da ammirare per la sua autodeterminazione, il suo costante rispetto di sé stessa, del suo pensiero e della sua libertà.
Siamo cresciute ascoltando spesso una frase dirompente, dal forte potere evocativo e sovente siamo ricorse a pensarla, scandirla dentro di noi come fosse un mantra dal potere salvifico, terapeutico, la panacea universale in grado di placare le nostre ansie, esorcizzare le paure ed schermarci dagli orrori dei nostri simili, preservando la nostra purezza, sino a rimettere pure i nostri peccati: “ La bellezza salverà il mondo “…Ora ammesso e non concesso che il principe Myskin la pronunzi ne “ L’idiota” di Dostoevskij, dobbiamo addivenire alla medesima conclusione di Oscar Wilde ne “ Il ritratto di Dorian Grey ”, non la bellezza che per sua natura è effimera ma bensì l’Arte che la rende immortale potrà salvare il mondo. L’Arte e la memoria storica. Il resto non conta.
Tina Modotti
Tina Modotti, al secolo Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini nasce ad Udine il 17 agosto del 1896 e termina il suo viaggio a Città del Messico nel 1942.
Dopo qualche anno, nel 1913 emigra anche Tina, che nel frattempo è diventata una signorina di 17anni dotata di una forte personalità ed incantevole bellezza, custodite in una corporatura esile che per contrasto incanta e non lascia indifferenti. Tina lavora come operaia tessile ed inizia ad interessarsi all’arte, appassionandosi al teatro e alla recitazione, dove nella messa in scena di alcune opere di Pirandello e D’Annunzio riscuoterà un discreto successo e a Little Italy il suo nome ben presto inizia a circolare anche negli ambienti degli artisti. Frequenta mostre e circoli culturali. In uno di questi conosce il pittore e scrittore francese Roubaix de l’Abrie Richey, noto con il soprannome di “Robo”. I due convolano presto a nozze e decidono di lasciare San Francisco alla volta di Los Angeles e alla conquista di Hollywood. Dal teatro al cinema. Di questo periodo possiamo menzionare tre pellicole: “The Tiger’s Coat”, “Riding with Death” e “I Can Explain” con il film del debutto che ottiene un discreto successo e ottiene sin da subito il ruolo da protagonista accanto a Lawson Butt, più tiepido il riscontro del pubblico con i successivi. Ma nonostante questo si fa strada nel mondo del cinema muto grazie al suo temperamento, carica sensuale e la naturalezza con cui accetta di posare nuda. Trattata come una creatura dalla bellezza esotica a cui affidare ruoli da ammaliatrice, rimarrà delusa dallo star system holliwoodiano così poco interessato alle sue doti artistiche e capacità recitative. Tuttavia grazie alla sua indiscutibile bellezza conosce e viene immortalata dai grandi fotografi dell’epoca: Joahn Hagemayer, Jane Reece, Edward Weston.
La povertà e i primi viaggi
Figlia di una cucitrice e di un meccanico che all’occorrenza sapeva fare pure il carpentiere, trascorre i primi mesi di vita nel quartiere di Borgo Pracchiuso, dove la sua famiglia operaia occupa una casa fatiscente. Ben presto all’età di soli due anni inizia il suo nomadismo, in questo caso suo malgrado dato che è costretta a seguire il padre che emigra in Austria alla ricerca di lavoro, che poi praticherà nell’arco di tutta la sua esistenza ma con finalità diverse. La famiglia intanto dopo qualche anno ritorna nel Friuli e Tina inizia a frequentare la scuola con profitto. A soli 12 anni è costretta a lasciare gli studi per contribuire economicamente al sostentamento della famiglia. Inizia così a lavorare come operaia in una fabbrica tessile della città ma al contempo animata dal suo ingegno vivo, desiderio di conoscenza e fervida curiosità inizia a prendere le prime lezioni di fotografia dallo zio paterno che possedeva uno studio fotografico. Nel frattempo il padre emigra in America, uno dei 484.000 italiani in cerca di un futuro dove mangiare tutti i giorni fosse una regola e non l’eccezione.
La svolta: Tina incontra Edward Weston, professione fotografo ritrattista
All’inizio Tina diventa l’assistente di studio del già famoso Edward Weston e saltuariamente posa per lui come modella. In cambio chiede ed ottiene di iniziare una vera formazione teorica e pratica dell’arte e mestiere del fotografo, continuando di fatto il suo apprendistato iniziato sin da bambina nello studio dello zio paterno. In questo periodo Tina ritrae per lo più nature morte sperimentando il binomio fortemente espressivo dato dall’alternarsi della luce con l’ombra. Tina ha fame di conoscenza. E’ una donna appassionata, libera e poliedrica. Un caleidoscopio vivente di qualità animato da un’intelligenza fuori dall’ordinario, donna senza confini.
Tina e il Messico. La passione politica
Robo marito di Tina si era ritirato in Messico, in seguito all’instaurarsi di un rapporto molto profondo tra la donna e il suo amico Edward. Probabilmente aveva preferito non fare scenate e mettere molti km di distanza tra il dolore o per lo meno l’accettazione derivante dalla fine di un rapporto e la cagione di tale lacerazione. Ufficialmente gli era stata offerta una cattedra, uno studio ed una mostra in Messico e fin laggiù si era recato per sistemare il loro nido d’amore prima del suo arrivo. All’improvviso il pittore muore di vaiolo e Tina accompagnata da Edward si reca in Messico per la prima volta per presenziare al funerale. Scopre una nazione in pieno fermento culturale post rivoluzione, che diventerà fondamentale per il suo lavoro da fotografa grazie al quale oggi le è riconosciuto a livello mondiale il merito di essere stata una delle prime a realizzare reportage, dedicandosi alla fotografia documentaristica, antesignana pure della nostra moderna street photography. Tina ha utilizzato questa forma espressiva per veicolare un contenuto sociale molto forte, cifra stilistica del suo impegno politico. Fece della sua vita l’opera artistica più riuscita, ma istintivamente come accade solo ai veri, grandi artisti, sebbene abbia sempre conservato un senso di distacco, disincanto, disinteresse verso i riconoscimenti che includevano l’appellativo di artista, e in effetti ne contestava pure l’abitudine in uso di utilizzarlo in maniera impropria. Il tema dell’Arte rimase comunque al centro delle sue riflessioni e come una volta scrisse ad Edward con cui intrattenne una fitta corrispondenza anche dopo la fine del loro legame amoroso: …” Io non posso – come tu una volta mi hai proposto – risolvere il problema della vita col perdermi nel problema dell’arte” …
Nell’estate del 1923 Tina e Edward tornano in Messico e qui si stabiliscono avvicinandosi ai militanti del partito comunista, intessendo rapporti con gli artisti impegnati politicamente, i muralisti David Alfaro Siquieros, Clemente Orozco e Diego Rivera. Il 1924 è un anno fondamentale nella sua carriera di fotografa, insieme al compagno, inaugura la sua prima esposizione al Palacio de Mineria in presenza del capo dello stato Plutarco Elias Calles. Tina ed Edward fanno poi un salto a San Francisco ove si intrattengono giusto il tempo di conoscere la fotografa Dorothea Lange e acquistare una camera Graflex.
Ritornati in Messico i due fotografi compiono un viaggio nelle regioni centrali del paese, un’esperienza esistenziale fondamentale nel percorso artistico di Tina che confluirà in un reportage durato tre mesi che verrà pubblicato nel libro Idols Behind Altars dell’antropologa Anita Brenner. Da questo momento Tina è a tutti gli effetti una fotografa professionista, il suo nome è famoso tanto da permetterle di mantenersi con il suo lavoro. Questi sono gli anni dell’impegno politico nel partito comunista, dell’attività per il movimento sandinista nel comitato “Manos fuera de Nicaragua”, del suo prodigarsi per la liberazione di Sacco e Vanzetti e del suo amore per il pittore militante Xavier Guerrero. Alcuni detrattori in questi decenni hanno provato a giudicare le sue scelte private, provando a suggerire che durante la vita si fece influenzare dai suoi compagni e da essi guidata. Nulla di più lontano dalla realtà. Tina sceglie i suoi uomini in base ai suoi interessi e passioni e con essi percorre un tratto del suo cammino di donna libera, emancipata, attivista politica, attrice, fotografa e molto altro. Scelte sempre ardimentose le sue e assolutamente non convenzionali dal momento che le suffragette erano solo agli inizi delle loro rivendicazioni, e consideriamo l’intero arco di evoluzione della condizione di noi donne fino a giungere al XXI secolo.
Nella seconda metà degli anni 20 Tina utilizza la macchina fotografica per ritrarre lavoratori, i simboli iconografici del comunismo, i sindacati, le manifestazioni politiche. La fotografia come istantanea della vita reale senza abbellimenti manieristici. Tina svolge un lavoro intenso di denuncia sociale ed i suoi scatti sono molto apprezzati tanto da essere contesi dalle riviste più importanti dell’epoca. In questo periodo stringe un profondo legame con la pittrice Frida Kahlo.
Nell’estate del 1928 Tina si innamora, ricambiata del giovane rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella. Il legame viene reciso dalla morte prematura di Julio nel gennaio 1929, assassinato da alcuni sicari di Gerardo Machado, dittatore di Cuba.
Dell’omicidio venne ingiustamente incolpata Tina e a questa accusa si aggiunse pure quella che la vedeva coinvolta nell’attentato ai danni di Pasqual Ortiz Rubio, il nuovo capo di stato. Arrestata ed espulsa dal Messico si vide costretta a cercare riparo in Europa. Proprio nel 1929 Tina scatta la foto forse più emblematica del suo coinvolgimento politico, vero manifesto ideologico dove il simbolismo sugella ed innalza il proprio intimo sentire, e il suo profondo senso d’appartenenza ad una classe, denunciandone lo stato, “Le mani del burattinaio” due mani in primo piano stringono dei fili, allegoria del potere che viene dall’alto. Il simbolismo trova la sua massima espressione e si compone in un quadro di denuncia sociale, esteticamente perfetto.
Tina: epilogo
Negli ultimi anni della sua vita abbandona la professione di fotografa e si dedica esclusivamente alla politica, dapprima si unisce alla polizia segreta sovietica, poi si dirige in Spagna durante la Guerra Civile accompagnata fin da quegli ultimi affannosi giorni del 1929 durante il suo soggiorno decennale in Messico dal politico Antonio Vidali.
Con Antonio sotto mentite spoglie ritorna al fine in Messico per trovare la morte in circostanze misteriose la notte del 5 gennaio 1942, a ritorno da una serata trascorsa in casa di amici, colta da un infarto sui sedili posteriori di un taxi, sola.
Anna Maria Cecchini