Di Sara Piccardo
Il 26 marzo scorso è caduto l’anniversario della morte di Beniamino Andreatta
In tale occasione, non ho potuto fare a meno di ripensare al mio “incontro” con il politico ed economista trentino. Le virgolette sono d’obbligo, dato che, per ragioni anagrafiche, ho potuto fare conoscenza con il suo pensiero solo attraverso i suoi scritti e materiali audiovideo dei suoi discorsi. Ciò è stato possibile grazie ad Andreatta politico, una pubblicazione curata da Enrico Letta e Mariantonietta Colimberti, edita da Il Mulino nel 2016. In essa sono raccolti discorsi, articoli ed interviste di quello che erroneamente è sempre stato visto come un tecnico prestato alla politica, ma che in realtà era molto più “politico” dei politici tout court. Mi si scusi l’allitterazione, ma era inevitabile.
Ma torniamo al nostro “incontro”.
Pur essendo appassionata di storia e politica, di Andreatta sapevo poco e niente, lo confesso. Sicuramente l’avevo visto in tv negli anni Novanta, ma per ovvi motivi (quelli di carattere anagrafico a cui facevo riferimento sopra) non aveva lasciato traccia nei miei ricordi.
Per me, quindi, quell’ebook è stato l’inizio di una vera e propria scoperta. Mentre lo leggevo (lo divoravo, in realtà) e copiavo sui miei taccuini una quantità infinita di passaggi che mi colpivano, provavo una strana sensazione.
Si era nel vivo della campagna elettorale per le Amministrative del 2016 e il dibattito pubblico era dominato dalle diatribe tra candidati e dalle speculazioni dei commentatori, queste ultime incentrate soprattutto sulle prime candidature pentastellate a Torino e Roma.
Seguivo i telegiornali e i talk show (masochista!!!), più per spirito di osservatrice che per coinvolgimento emotivo. Poi mi mettevo alla scrivania e mi immergevo nelle pagine di Andreatta. Era a quel punto che accadeva qualcosa. Respiravo. Quelle parole, scritte e pronunciate decenni addietro, erano una boccata d’ossigeno.
Leggevo, annotavo, sfogliavo e mi sembrava di librarmi al di sopra dell’orizzonte desertificato di una politica divenuta una campagna elettorale senza soluzione di continuità, scevra di progettualità a lungo termine, concentrata sulla conquista del mezzo punto percentuale, incapace di guardare al di là del proprio naso. C’era più futuro in quelle pagine oramai cronologicamente datate che in tutte le analisi dell’ultimo secondo sfornate a getto continuo in quelle ore da partiti e media.
Dopo tanta stanchezza e disillusione, qualcuno era riuscito a farmi nuovamente innamorare della politica, qualcuno che più di trent’anni fa era stato capace di dire “il rinnovamento non è un prurito generazionale; è stile, regola, trasparenza e soprattutto è controllo delle sottili tentazioni affiliative che […] sono anche in ciascuno di noi.”
Per chi negli ultimi anni era stato bombardato dal leitmotif “rottamazione”, il sospiro di sollievo era d’obbligo!