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I racconti del Blue Avana – (16) O marcheize

La “Concessionari di Automobili Pubbliche – Società Cooperativa a Responsabilità limitata“, cioè la società che raggruppa buona parte dei tassisti genovesi, ha compiuto nel 2013 i cento anni di attività. Questi, che pubblicheremo a puntate, seguendo la sequenza dei capitoli del libro Blue Avana. 100 anni di taxi a Genova di Pier Guido Quartero, pubblicato con l’editore Liberodiscrivere nel 2013, sono gli episodi più curiosi e quelli più significativi narratici dai tassisti genovesi, in attività o in pensione. Dalla calda vita della Via Pré degli anni ’50 alle corse in ospedale per salvare vite umane, dagli anni di piombo ai clienti strambi, taccagni o fin troppo generosi, dai personaggi del calcio e dello spettacolo alle lotte sindacali. Il tutto narrato attraverso le chiacchiere di una combriccola di amiconi, creati ad arte dall’autore, che perdono un po’ del loro tempo al Blue Avana: un locale come non ce ne sono più…

O marcheize (Fa chi Può…)

Pier Guido Quartero

Ora voi penserete che io passo tutto il mio tempo al Blue Avana, che è questo bar che c’è sotto casa mia, e che non so parlare altro che di quello che faccio lì, perché la mia vita ormai si è ridotta a fare quei tre piani di scale e parlare con gli altri avventori del locale che, sempre secondo voi, sarebbero dei perdigiorno come me.

Naturalmente viviamo in democrazia ed è bello che ognuno di noi possa avere le proprie idee e confrontarle liberamente con quelle degli altri. E così io sono libero di pensare che voi siete dei perdigiorno peggio di me, perché almeno io le storie me le faccio raccontare da persone diverse che vengono a prendersi una focaccia o un bianchino o un caffè dal mio amico Aldo e invece voi non fate altro che stare qui a sentire quello che dico io.

Ora però, se vogliamo essere davvero amici, bisogna che abbiamo un po’ più di rispetto gli uni per gli altri, e così, come io so che voi leggete le mie storie alla sera quando volete addormentarvi oppure alla mattina quando vi sedete sulla seggetta di Leopold Bloom (che poi, per chi non lo sapesse, è come dire “quando andate al cesso”), così vi prego di credere che anche io al Blue Avana a raccontarmela con gli amici ci vado solo quando è il momento di riprendermi dalle innumerevoli fatiche della mia giornata, che non ve le racconto solo per non annoiarvi, ma che forse potrete leggere se uscirà quel libro che aspettano anche i miei zii e i miei cugini e del quale parliamo sempre per telefono quando io devo consumare un po’ del forfait contrattuale che ho con la SIP, o la TIM o la TELECOM o la Vattelapesca o come diavolo si chiama adesso la compagnia telefonica, che Dio li stramaledica.

E, a proposito di rispetto, mi viene in mente un personaggio di tutto rispetto di cui mi ha parlato Paolo, quel vecchio tassista in pensione al quale ogni tanto offro da bere, quando lo incontro al Blue Avana.

Era l’altro giorno, e il caldo si faceva sentire e io mi ero fatto fare un bel caffè shakerato, aromatizzato alla vaniglia, e Paolo è arrivato e io, anche se alla fine del mese fare il signore mi costa un po’, gli ho offerto da bere come al solito e, accidenti, lui ha visto cosa avevo e ne ha preso uno anche lui, che poi vuol dire due euro e cinquanta che se ne vanno. Questo vuol dire sostenere il commercio, e poi, se non ci diamo una mano tra noi disgraziati, chi ce la dà?…

E così, vi stavo dicendo, c’era Paolo che si era accomodato vicino a me con il suo bel caffè shakerato, ma il suo era aromatizzato al rhum, perché dice che gli tira un po’ su la pressione che, si sa, col caldo tende a scenderti fin sotto ai talloni, e insomma si era seduto. E naturalmente ora doveva sdebitarsi e raccontarmene una, e pativa così tanto il caldo e la pressione bassa che ha dovuto pensarci un bel po’ e sembrava quasi che dormisse e io lo guardavo con il massimo rispetto, perché Paolo vuole che gli si porti il rispetto dovuto all’età e, allora, eccoci qua.

E così, quando io cominciavo a pensare chissà dove era finito il Secolo XIX che non lo avevo ancora letto e forse c’era un pezzo sulla partita con la Spagna, che avevamo perso ma eravamo stati proprio bravi, che ormai stava diventando la nostra specialità, te lo lì che il vecchio apre finalmente gli occhi e mi guarda come se mi avesse appena visto infilarmi un dito nel naso e mi dice:

– Va bene. Mi hai offerto il caffè shakerato e io ti devo una storia. Con questo caldo ci ho messo un po’ a metterla a fuoco, ma ora ce l’ho. Tu sei pronto?

– Paolo, chiariamo una cosa: tu non sei costretto a raccontarmi una storia tutte le volte che ti pago da bere, Io offro perché tu sei un anziano e io ti devo rispetto. Poi, se tu hai qualcosa di edificante da raccontarmi, da cui io possa trarre degli insegnamenti per come comportarmi in futuro, sai che sono tutto orecchi.

Qui ho taciuto, prudentemente, perché il vecchio Paolo ha idee molto precise su cosa significa l’espressione “prendere per il culo” e non avrei mai voluto che pensasse che le parole che stavo adoperando ricadessero in quella fattispecie. La mia prudenza, unita alla sua proverbiale tolleranza, ci hanno portato sulla giusta via, ed io ho avuto la mia storia senza colpo ferire.

– Devi sapere – ha cominciato il mio anziano maestro – che quando io ho cominciato c’erano ancora, oltre ai primi taxi, le vecchie carrozze a cavalli, e che c’era una parte dei clienti (che potremmo chiamare i Futuristi) che preferiva la modernità e la velocità ed un’altra parte (che potremmo chiamare l’Ancien Régime) che preferiva gli agi un po’ âgés della carrozza.

Tra i rappresentanti dell’Ancien Régime, c’era anche un Marchese Balbi, che non so se fosse effettivamente marchese, ma lo chiamavano così, il quale aveva frequentazioni nel bel mondo di mezza Italia e riceveva ospiti di alto lignaggio nella sua abitazione, che naturalmente era situata in quella Via Balbi che la sua famiglia aveva costruito alcune centinaia di anni addietro. Mi ha raccontato mio padre, che faceva il vetturino e non so in che modo ebbe a conoscere questa storia, che il Marchese, una volta, fece una scommessa con degli amici milanesi del suo stesso lignaggio. Scommise che, malgrado la proverbiale propensione milanese alla “blague” e all’eccesso generoso, i suoi ospiti non sarebbero riusciti ad ottenere una manifestazione di apprezzamento da parte di un vetturino genovese, per insensata che fosse la mancia che gli avessero offerto a fine corsa. E vinse. Infatti, il conduttore che li aveva portati dall’Annunziata a De Ferrari, un certo Briciaccola, visto il compenso offertogli – ricchissimo, ovviamente – non fece una piega e, esibendo una faccia da schiaffi di prima qualità, domandò con ferma cortesia se non si potesse aggiungere qualcosa. Mio padre non mi ha raccontato se la mancia venne, a questo punto, incrementata, né quali fossero gli altri termini della scommessa vinta dal Marchese Balbi, ma mi ha spiegato il perché del comportamento di Briciaccola. Il quale, a chi gli domandava come mai aveva protestato davanti ad una mancia generosa come quella offerta dai milanesi, diede una risposta che merita veramente di essere ricordata: “Quande un o te paga con tanta generositǽ ch’a pä quæxi legeressa, se tì ti ghe ne domandi ancòn l’é ciù façile ch’o te ne dagghe ancòn, che no quelli che contan tutti i çentëximi”.

– Questa è una di quelle che io chiamo lezioni di vita e di cui ti sono tanto grato quando me le impartisci. – Ho detto a Paolo per ringraziarlo, mentre lui sgocciolava dal fondo del bicchiere gli ultimi residui del suo caffè shakerato.

– Ce n’ho ancora una da raccontarti, ora che ci penso – ha ripreso lui – E riguarda ancora il Marchese Balbi, il quale, a un certo punto, si era convertito al taxi e lo adoperava con assidua frequenza. Ti ho detto che lui abitava in un palazzo più o meno a metà di Via Balbi, che ora è semipedonalizzata ed è diventata una bellezza, ma a quei tempi era un’arteria di traffico cittadino molto frequentata e percorsa anche da tram su rotaia. Ebbene, come puoi immaginare, il rientro tra le mura domestiche del nostro importante personaggio non avveniva con le modalità schive e poco appariscenti che si addicevano ai piccolo borghesi. Si trattava invece di rentrées quasi regali, accompagnate da una serie di pompe e di formalità il cui significato sfugge, in buona parte, all’intelletto di noi comuni mortali. Erano, conseguentemente, necessarie aperture e chiusure di porte e cancelli da parte di personale in polpe e in livrea, che inoltre offriva la necessaria assistenza al Marchese ai fini del trasporto di eventuali colli nonché dell’accompagnamento, soprattutto in caso di pioggia, di signore e pargoli, cui evitare le noie e gli affanni conseguenti a possibili infreddature. Va beh, te l’ho tirata un po’ lunga, ma devi capire quale era lo spirito del tempo, se no non riesci ad apprezzare la conclusione come essa merita, e la conclusione è la seguente. Con tutto questo anda e rianda e il tira e molla e il prendi e porta e piglia e gli inchini e tutto questo genere di cose, la faccenda certe volte andava piuttosto per le lunghe, e magari il taxi era posizionato proprio sopra i binari della tranvia e impediva il passaggio del mezzo pubblico. Allora, succedeva che il tramviere, che a quei tempi era, nel suo piccolo, un’autorità, si riteneva in diritto ed anche in dovere di scampanellare vigorosamente onde ottenere con la necessaria celerità la liberazione delle rotaie dall’indebito ostacolo e poter proseguire nell’esercizio della propria vitale funzione di trasporto delle pubbliche folle da un punto ad un altro punto del territorio urbano. Ci raccontavano i vecchi colleghi, quelli che ne avevano avuto l’esperienza diretta, che era a questo punto che emergeva, come l’improvviso sbuffo in superficie di una balena a lungo costretta sotto le acque dalla presenza dei fiocinieri sulle loro lance, l’orgoglio del vecchio overlord, che mio papà mi diceva che vuol dire padrone della terra. Perché il Marchese Balbi, quando sentiva risuonare nelle orecchie quello scampanellio plebeo che chiedeva imperiosamente strada, gli diceva allo chauffeur: “Làscilo soeunnä, che s’o me rompe o belìn ghe façço mette ‘n cancello in fondo a-a stradda!”.

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