La Lanterna-Rubrica a cura Marco Maltesu
L’esito dei referendum del 12 giugno merita delle riflessioni a mente più fredda.
Gli ultimi referendum sono stati i meno partecipati della storia democratica italiana, a cosa può essere dovuto un risultato così negativo?
Innanzitutto i quesiti erano estremamente tecnici, i tecnicismi non facilitano mai la comprensione e la partecipazione delle persone, seconda cosa è stata scelta la via referendaria che prevede l’approvazione della richiesta di referendum da almeno 5 consigli regionali, come previsto dall’art 75 della Costituzione:
“E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].”
Insieme ai referendum ammessi al giudizio referendario popolare ci sono stati altri tre referendum che la Consulta ha giudicato inammissibili e sono i seguenti:
Il primo quesito scartato si basava sul testo dell’Associazione Luca Coscioni sul Fine Vita: tecnicamente chiedeva l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente). La Consulta si è invece espressa molto chiaramente: «È inammissibile il quesito sull’omicidio del consenziente: non assicura la tutela minima del diritto alla vita. Rendere lecito l’omicidio del consenziente di chiunque abbia prestato a tal fine un valido consenso, priva la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione».
È evidente che pur riconoscendo lecite le motivazioni della Consulta, rimane irrisolto il diritto del malato di poter autodeterminare il limite delle proprie sofferenze così come tante volte è stato richiesto dalla Corte Europea che chiede all’Italia di dotarsi di una legge che possa trattare anche il diritto del malato nella determinazione del fine vita.
La mancanza della politica su questo tema ha un silenzio assordante e possiamo dire che laddove viene richiesta la necessità di scelte sociali, collettive e di comunità, che sia il reddito minimo garantito, che siano i diritti di cittadinanza, o qualsiasi altro provvedimento “civile”, la politica italiana manifesta in ogni settore la sua incapacità, la sua mancanza di prendere decisioni autonome e la sua superficialità congenita. Questo referendum era stato promosso da circa 1.200.000 persone (sono sufficienti 500.000 firme come specificato sopra).
Per quanto riguarda il secondo referendum non ammesso dalla consulta è quello relativo alle droghe leggere, il testo del Referendum bocciato chiedeva la depenalizzazione per uso e possesso di cannabis: la Consulta, nelle sue motivazioni, ha scritto invece che tale Referendum «avrebbe condotto alla depenalizzazione delle coltivazioni di tutte le piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, sia leggere che pesanti, cozzando con gli obblighi internazionali derivanti dalle Convenzioni di Vienna e di New York e con la Decisione Quadro 2004/757/GAI».
Anche in questo caso, pur condividendo il limite evidenziato dalla consulta, il problema della cannabis, per motivi terapeutici, rimane un nodo irrisolto che riguarda in Italia una quantità molto rilevante di persone.
A parte il fatto che in Italia occorrerebbe un dibattito serio e non strumentale anche sull’uso della cannabis, perché comunque l’uso che viene fatto da giovani, ma non solo da loro, è molto rilevante ed al momento continuiamo ad esporre i nostri giovani al contatto con spacciatori ed organizzazioni delinquenziali che hanno tutto l’interesse a far provare ai nostri giovani sostanze sempre nuove, più potenti e soprattutto che li possano portare alla dipendenza, sia fisica che psicologica, per poter avere sempre più dei clienti affidabili e magari anche persone da assoldare alle proprie dipendenze.
Per questo referendum sono state raccolte 600.000 firme. Ad essere stoppato è stato anche il quesito sulla responsabilità civile dei giudici, che faceva parte del pacchetto di 6 Referendum presentati da Lega e Radicali.
«Quesito manipolato, non chiaro e inidoneo allo scopo», è la motivazione adottata dalla Corte Costituzionale nell’escludere il quesito sulle “toghe” dall’Election Day del 12 giugno 2022. Secondo la Consulta, il Referendum non avrebbe cancellato qualcosa della Legge, ma avrebbe introdotto una disciplina giuridica sostanzialmente nuova, non voluta invece dal legislatore: «Il quesito con la tecnica del ritaglio abrogativo», secondo la Consulta, «puntava a ottenere un’autonoma azione risarcitoria nei confronti del magistrato, per consentire al soggetto danneggiato di chiamarlo direttamente in giudizio».
Non solo, è stato dichiarato inammissibile perché non chiaro a sufficienza sul punto nodale della responsabilità diretta del giudice singolo ma in più sarebbero infatti rimasti oscuri i termini e le condizioni di procedibilità. Secondo i promotori del Sì al Referendum sulla Giustizia, il quesito bocciato avrebbe potuto invece determinare una svolta a livello costituzionale in merito all’effettiva responsabilità diretta di magistrati incorsi in gravi errori giudiziari.
Quanto detto fino ad ora entra nel merito degli ultimi quesiti ma rimane il fenomeno che vede sempre di più scemare l’interesse al voto, non tanto per lo strumento in sé quanto per il rispetto democratico e civile che la politica dimostra per le scelte dei nostri cittadini.
Quante volte si devono ripetere i referendum per far capire il valore della scelta popolare ad una classe politica priva di rispetto democratico e prona invece alle lobby affaristiche che li foraggiano economicamente.
Forse dobbiamo ripetere anche il referendum fra monarchia o repubblica per assecondare qualche politico di scarsa cultura democratica?
L’atteggiamento della politica di completo disinteresse ai risultati referendari, a cominciare proprio da quello del nucleare che nonostante sia stato fatto già due volte vede ancora qualche personaggio politico (se così si possono chiamare) e qualche formazione politica, che continuano a richiedere una svolta nucleare ad un paese che ha già due volte manifestato la sua volontà antinucleare con lo strumento costituzionale previsto.
E cosa dire del completo disinteresse politico mostrato sulla scelta di mantenere l’acqua pubblica, che ha generato solo una serie di tecnicismi atti a rendere impossibile l’applicazione della volontà popolare?
Come può, a queste condizioni, essere ancora interessante lo strumento referendario che proprio a causa dello svilimento e dello svuotamento di significato dello strumento stesso ha visto calare la partecipazione nel corso del tempo. Praticamente di pari passo con lo svuotamento di significato delle elezioni politiche, con partiti incapaci di presentare dei programmi politici degni di tale nome in cui un elettore potrebbe vedere il programma di breve e di lungo periodo di ogni singolo partito politico e scegliere. Invece assistiamo da sempre più tempo, ormai molti decenni, nel vedere i partiti politici lanciare degli slogan vuoti a cui non corrispondono mai azioni e programmi conseguenti per arrivare alla realizzazione di quello che sarebbe in ogni caso un singolo atto e non un progetto politico. Slogan vuoti come lo stanno diventando sempre di più i nostri partiti ed anche le menti dei politici che davvero non ci meritiamo.
Marco Maltesu
Direttore di redazione ilponentino.it
LA LANTERNA – Rubrica a cura di Marco Maltesu
direttore de il PONENTINO
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