LA FORMA DELLA FELICITA’ – 3.Partenza
Dal 1790 ai giorni nostri, le storie parallele di due famiglie separate dal destino. Un naufragio e un delitto daranno vita a un cerchio che si chiuderà solo dopo tanti anni e molte vite.
Una linea sottile traccia il confine tra sogno e realtà, mentre un filo invisibile lega due terre: Carloforte e Pegli. Il Romanzo a puntate tratto dal libro “La forma della felicità” di Antonello Rivano
3.Partenza
Antonello Rivano
(Pegli 1790)
L’ora della partenza è arrivata, l’equipaggio sta controllando le ultime cose da imbarcare, perché nulla di utile sia dimenticato. Mai equipaggio fu più eterogeneo: un comandante dal viso segnato dalla vita e dal mare, un gigante dai capelli bianchi, e due ragazzi dai capelli rossi. Nicola e Jolanda se avessero avuto la stessa età avrebbero potuto sembrare gemelli: stessi capelli ricci color di carota, qualche lentiggine che impreziosiva un viso delicato, profondi occhi color castagno e carnagione chiara, tutte caratteristiche prese dalla madre.
I ruoli a bordo sono già decisi: un comandante, due marinai e un mozzo. Jolanda ha voluto assolutamente che pure a lei fosse dato un incarico durante la traversata, Tonio l’ha nominata mozzo e addetta alle provviste di bordo. La ragazzina è felice e orgogliosa di avere una parte attiva in quella avventura, ha preso con gran serietà il suo compito e sta ricontrollando per l’ennesima volta le provviste che devono essere caricate sulla Speranza.
Nicola si muove con lentezza, quasi a voler tardare il momento in cui salperanno. Non ha preso di buon grado la decisione di Tonio: lasciare Pegli per Carloforte, lasciare una casa che tanto significa per lui per una in un posto sconosciuto; soprattutto dover lasciare Caterina. La scelta che il padre ha fatto non ammette repliche né discussioni, i timidi accenni di protesta da parte di Nicola non hanno minimamente scalfito il lupo di mare che desidera, finalmente, fermarsi sulla terraferma. Il pensiero del giovane è tutto rivolto al futuro, a Caterina, al loro matrimonio.
Pietro, invece, lavora con allegria, si può quasi leggere in lui il desiderio della partenza, sta facendo ritorno all’isola e questa volta non ripartirà, ha un motivo per restare: una famiglia. Il carlofortino si è affezionato a quei ragazzi, sono i figli di quello che considera un fratello. Assieme ripareranno e ingrandiranno la vecchia casa, rimetteranno l’orto in condizione di dare i suoi frutti. Può dare vita al suo sogno di disboscare il terreno incolto che circonda l’abitazione, impiantare viti e ulivi. Lui comprerà una piccola barca da pesca e, quando non andrà per mare, si riposerà all’ombra del grande fico antico. Con Jolanda a cavalluccio sulle grandi spalle condurrà lei e il fratello sulle scogliere a vedere il volo dei falchi della regina, quelli che, con il nome di sparvieri, hanno dato origine al nome dell’isola. E, quando il suo viaggio sarà finito, tutto andrà ai ragazzi, per questo ha voluto già depositare il suo testamento da un notaio di Genova.
Tonio osserva i tre, sente un grande senso di responsabilità, soprattutto verso i suoi figli, in cuor suo sa che la sua scelta è quella giusta anche per loro, ma non può non considerare ciò che prova Nicola. Sa della sua storia d’amore, comprende il suo malumore e la sua ostilità, ma è conscio della difficoltà che i due giovani incontrerebbero restando a Pegli. La differenza di ceto sociale, la diversità di condizioni economiche, se pur non costituiscano, come in passato, un divieto al loro matrimonio, di certo non avrebbero la benedizione della piccola comunità. Le chiacchiere e i pettegolezzi si stanno già facendo incalzanti, come la voce che Caterina mirerebbe più ai soldi di Tonio che alle virtù di Nicola. A Carloforte i due innamorati non avranno nessun ostacolo alla loro unione. Lui li aiuterà a costruirsi una casa e una nuova vita.
Un carretto a mano sta aspettando fuori dalla porta, su di esso i partenti caricano le cose che saranno necessarie per il viaggio e gli oggetti dai quali non si sono voluti separare.
Ora gli zoccoli di legno risuonano sul selciato antico, dopo aver disceso le scale esterne della casa hanno richiuso il cancello di ferro battuto per l’ultima volta.
Ancora uno sguardo. A Nicola sembra di vedere sua madre che lo saluta sulla soglia, il suo eterno sorriso e i rossi capelli raccolti sul capo; socchiude gli occhi quasi a voler conservare per sempre quella visione, quando li riapre non vi è più nulla, tranne la vecchia porta di rovere, chiusa. Non si è mai reso conto prima di come quel carrugiu sia parte di lui: anche se è ancora presto la tripperia lì accanto sta iniziando a preparare le sue specialità, l’odore inconfondibile si spande nell’aria, un odore che a Nicola non è mai piaciuto un granché – non avrei mai creduto mi sarebbe dispiaciuto lasciare anche questo profumino – e sorride al suo stesso pensiero.
–Andiamo, si fa tardi– le parole secche del padre lo riscuotono dal suo torpore, una mano cerca la sua, una piccola mano: Jolanda che cerca la sua àncora. La sorellina che cerca in lui la sicurezza, la coraggiosa piccola donna non sarebbe nulla senza il suo eroe, il suo idolo, quello che le è fratello e amico, Nicola che in questi anni ha svolto il ruolo di quella madre che lei non ha mai conosciuto.
–Vanno, partono– il passa parola si fa eco tra i carruggi del porticciolo, la gente, la loro gente, si affaccia dagli usci per salutarli. Sono abituati alle partenze i Pegliesi oramai, partenze di marinai per lunghi viaggi o di intere famiglie per nuove terre, come quelli che oltre due secoli prima erano partiti per la pesca di corallo nella lontana Tabarca, in terra tunisina. Famiglie che avevano lasciato a Pegli parenti e ricordi. Come quelli che più recentemente avevano raggiunto i discendenti dei primi per fondare, assieme, un nuovo paese, questa volta nelle terre del re di Sardegna.
Tutto si ripete ancora: il carrettino con le poche cose che possono stare su una barca, passi lenti quasi a voler tardare il più possibile il distacco dalla terra natia, sguardi che guardano quei passi per non incrociare lo sguardo amico e famigliare: sguardi che potrebbero fare più male che bene.
Caterina, che sta scendendo verso la zona del porticciolo, ode quelle parole che rimbalzano da carruggiu a carruggiu, non può rinunciare a lui, è pentita di averlo trattato con tanta freddezza la sera prima e di non avergli detto del bambino, ha deciso di rivelarglielo , lo fermerà, lo legherà per sempre a lei, non può pensare ai giorni senza di lui.
Con un unico gesto calcia via gli zoccoli per meglio correre sul lastricato reso umido e scivoloso dalla rugiada notturna. Corre, per cercare di fermare il destino, corre per urlare al vento il suo segreto.
Corre e cade, le ginocchia sbucciate sanguinano ma non fanno male, c’è un altro dolore più forte, l’addio di Nicola… si rialza e riprende a correre Caterina.
A Nicola spetta il compito di slegare la cima dall’anello del molo che si protende oltre la piccola spiaggia, anche fisicamente è l’ultimo legame con la terra ligure quel cerchio di ferro. Quando già la barca è distante da terra sente urlare il suo nome – Nicolaaaa– alza lo sguardo e la vede: una figura di donna vestita di bianco, uno scialle gettato sulle spalle, lunghi capelli biondi sciolti, liberi di seguire l’impeto della corsa. La vede correre a piedi nudi, lasciare la grossa sabbia scura e proseguire ancora un poco sin dentro al mare, l’acqua sino alle ginocchia. Lui si aggrappa alle sartie, si protende oltre la poppa della barca, a voler ridurre la distanza fra di loro, distanza che invece aumenta sempre di più.
Caterina resta ancora un attimo così, ansante, la bocca ancora aperta ma senza suono, l’acqua che le bagna la gonna sino ad inzupparla, una mano alzata come ultimo saluto, l’altra sul ventre, a proteggere quel segreto che non avuto il coraggio di urlare al vento perché giungesse sino al suo amore che, assieme alla barca, la “Speranza“, sta lentamente, ma inesorabilmente sparendo all’orizzonte. Alla ragazza tutto questo appare come il messaggio di quel destino che ha solo pensato di poter fermare.
[Continua…]
La prossima settima: Capitolo 4.Burrasca
I testi tratti dal romanzo di Antonello Rivano “La forma della felicità” (ilmiolibro.it, 2018) pubblicati sul Ponentino possono non corrispondere totalmente con quelli del libro e sono frutto di una rielaborazione dello stesso autore.
Il libro si può ordinare online su ilmiolibro , su Amazon, sui maggiori bookshop online o prenotarlo nelle librerie Feltrinelli di tutta Italia.
La copertina originale dell’opera è del pittore carlofortino Salvatore Rombi
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