LA FORMA DELLA FELICITA’ – 11.L’abbandono
Dal 1790 ai giorni nostri, le storie parallele di due famiglie separate dal destino. Un naufragio e un delitto daranno vita a un cerchio che si chiuderà solo dopo tanti anni e molte vite.
Una linea sottile traccia il confine tra sogno e realtà, mentre un filo invisibile lega due terre: Carloforte e Pegli. Il Romanzo a puntate tratto dal libro “La forma della felicità” di Antonello Rivano
11.L’abbandono
Antonello Rivano
Carloforte 1930
– Così hai deciso, non vuoi ripensarci ? Dobbiamo proprio andare a vivere in paese?-Il giovane sa che la sua domanda ha una sola risposta: Rosa, la madre, è sempre stata una donna determinata: se così ha deciso, cosi deve essere.
– Sì, non siamo più in grado di accudire a tutta la proprietà, tuo padre è troppo malato. Anche se il paese dista poco da Villa Speranza, non me la sento di stare in campagna con lui in queste condizioni. Tu hai il tuo lavoro, e la terra non è, e non sarà mai, la tua passione. Da quando Luigi è morto, qua le cose sono precipitate. Tuo padre, da solo, non è riuscito a mantenere i livelli di produzione che avevamo raggiunto soprattutto grazie alle conoscenze e al lavoro di quell’uomo. Abbiamo dovuto intaccare il nostro patrimonio per non essere costretti a vendere una parte dei terreni. Poi la malattia di Antonio ha messo fine a ogni possibilità di recupero. Una parte del vigneto è seccata, e non siamo in grado di poterla ripiantare. Ci trasferiamo in paese ma per fortuna non siamo costretti a liberarci né della casa né della maggior parte dei terreni. Nel limite del possibile terremo attiva la parte ancora produttiva, prenderemo persone a giornata per i lavori più duri. Tu sai lavorare la vigna, impiegherai parte del tuo tempo libero per questo.
Giuseppe ha ascoltato in silenzio il monologo della madre, del resto gli è stato ripetuto già un numero infinito di volte, sa che ogni parola dell’anziana madre è stata studiata per non ammettere repliche. Lei ha deciso ogni cosa da sempre, anche quando sembrava che le decisioni le prendesse il padre. Anche il lavoro del giovane era stato deciso da lei: apprendista operario in una delle officine meccaniche di Carloforte, la promessa di un buon posto di lavoro con uno stipendio fisso e sicuro.
La casa che hanno trovato in affitto, in paese non è certo comoda come quella lasciata. Una stanza a piano terra, e un’altra al primo piano, alla quale si accede tramite una ripidissima scala in ardesia. Nella prima stanza è ricavata la cucina che funge anche da sala da pranzo, nella seconda i lettini di Rosa e Giuseppe. In un angolo del piano terreno un lettino ospita Antonio, o quel che ne resta: Il fisico robusto, temprato dei lavori della terra e sul mare, la perenne abbronzatura, segno di una vita all’aria aperta, hanno lasciato il posto a una specie di scheletro rivestito dalla sola pelle, di un colorito indefinibile.
Il padre di Giuseppe è stato preso da una malattia che i medici non hanno saputo riconoscere, apparentemente nessun organo risulta malato, è come se si stesse consumando, giorno dopo giorno, svuotato da ogni voglia di vivere. Tutto è iniziato con il decesso di Luigi, l’anziano uomo di fiducia della famiglia Antinori. Spentosi quell’uomo, cosi misterioso, ogni cosa è sembrata perdere vigore, la tenuta ha iniziato una parabola discendente inspiegabile, e con lei il suo proprietario. Come se tutta l’energia racchiusa nelle piante di Villa Speranza fosse collegata solo alla presenza del piemontese. Morto lui anche l’uliveto e il vigneto sembrano averlo voluto seguire, nonostante le cure di Antonio e Rosa non si è più riusciti ad avere raccolti abbondanti. Antonio, ogni giorno più incupito, ha perso l’appetito. Ha iniziato a stare in letto sempre più a lungo, sino a non volersi più alzare neppure per le sue necessità. Si sta lasciando morire.
Luigi parlava spesso del dolore, di un qualcosa che aveva cambiato la sua vita, qualcosa di sconvolgente lo aveva fatto fuggire dal suo paese, era arrivato all’isola per dimenticare, per un nuovo inizio. Quel dolore che lo aveva accompagnato per gran parte della sua vita sembrava non averlo voluto seguire nella tomba, ed era rimasto ad aleggiare sulle cose e le persone di Villa Speranza, sino a impregnarle.
Giuseppe guarda verso l’albero, sembra l’unica cosa che non abbia sofferto quella sorta di maledizione, il fico è verde e rigoglioso, presto inizierà a dare i suoi dolci frutti, incurante della desolazione che gli è nata attorno. Si sporge dal terrapieno, il giovane, vuole vedere il mare, sulla spiaggia un pescatore ha tirato in secco la sua barca, è vecchio e sembra molto stanco. Giuseppe pensa che quello è l’ultimo giorno a Villa Speranza, domani saranno in quella casa piccola e squallida, in uno stretto vicolo del paese. Gli mancheranno quegli spazi, il verde delle piante e l’azzurro del mare. Prova rabbia nei confronti della madre, non tollera che lei stia decidendo il suo destino e quello della proprietà. Gli manca la forza di reagire, di dirle che lui sarebbe capace di rimediare, recuperare il podere. Sin da piccolissimo ha seguito Luigi e Antonio nei lavori agricoli, ha imparato da loro i segreti della terra: potature, innesti, concimazioni, per lui non sarebbero un problema, sa come fare.
Accetterà con rassegnazione la decisione di Rosa ma non abbandonerà del tutto le sue amate piante, farà qualunque sacrificio per trovare il tempo da dedicargli, sarà lì ogni momento che potrà, farà manutenzione alla casa e impedirà che diventi un rudere: Un giorno Villa Speranza ritornerà a vivere. È con questa promessa fatta a se stesso che alza il braccio per salutare il pescatore, il vecchio ricambia il saluto, in un cesto nasconde sotto due stracci umidi pochi pesci, misero frutto di un’intera giornata per il mare.
– Ciao Mario, com’è andata la pesca?- Giuseppe grida le parole per farle giungere sino al pescatore.
– Ciao Giuseppe, benissimo, bei pesci e abbondanza.– La voce del vecchio pescatore è ferma e forte nonostante l’età. –Beata gioventù senza problemi- pensa, poi scuote la testa e si allontana con passo lento.
[Continua…]
La prossima settima: Capitolo 12.Presagio
I testi tratti dal romanzo di Antonello Rivano “La forma della felicità” (ilmiolibro.it, 2018) pubblicati sul Ponentino possono non corrispondere totalmente con quelli del libro e sono frutto di una rielaborazione dello stesso autore.
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La copertina originale dell’opera è del pittore carlofortino Salvatore Rombi
Antonello Rivano
Redattore Capo ilponentino.it
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