Guido Gozzano: vacanze marine a Pegli e Cornigliano
La Liguria e soprattutto il Ponente genovese diventarono per Gozzano il sicuro e appagante rifugio per attenuare i danni della malattia polmonare che lo affliggeva
Di Massimo Bramante
E’ stato il più crepuscolare del malinconico e trasgressivo (letterariamente parlando) gruppo di poeti crepuscolari del primo Novecento. Nessuno di essi, tuttavia, raggiungerà le sue vette artistiche. Singolare poeta Guido Gozzano (1883-1916), piemontese di Agliè nel Canavese, di famiglia borghese benestante, sempre in equilibrio instabile tra narcisismo e nevrosi, perennemente avvolto da un “divino senso di leggerezza, di disappartenenza alla vita come esperienza reale”. In altri termini – è Silvio Raffo a ricordarcelo – “un poeta dell’ insostanzialità dell’Essere, larvata di chimere” (“Guido Gozzano: Il bel romanzo che non fu vissuto”, Poesia n.318/2016); un’ insostanzialità esistenziale che spesso lui stesso avvolge di malinconica autoironia: “Chi sono? E’ tanto strano/fra tante cose strambe /un coso con due gambe/detto guidogozzano”); un’ insostanzialità esistenziale che rende la sua poesia affascinante ancor oggi, in cui molti suoi crepuscolari “colleghi” (Corazzini, Govoni, Moretti, Palazzeschi…) sono presenti con grande marginalità – forse ingiustamente! – nei manuali di letteratura italiana per le nostre scuole.
Ma se Gozzano è soprattutto il Canavese, la nebbiosa e umida Torino, la forse solo sognata anche se dettagliatamente narrata India (“Verso la cruna del mondo”; 1917), “non va dimenticata – come opportunamente fa notare Paolo Mauri nel suo bellissimo “Nei luoghi di Guido Gozzano” (Aragno Edizioni; 2012) – la terra delle sue vacanze marine e dei soggiorni di cura e cioè la Liguria”. La Liguria e soprattutto il Ponente genovese diventeranno per Gozzano il sicuro e appagante rifugio per attenuare i danni della malattia polmonare che affligge il suo corpo e spesso indebolisce anche il suo spirito.
Già nel 1889, ragazzino dunque, aveva soggiornato con famiglia a Cornigliano (una Cornigliano – è cosi necessario ricordarlo? – assai diversa dall’attuale). Ed era colà che era stato castamente folgorato da una “cocotte” (che darà il titolo ad una delle sue più apprezzate liriche in endecasillabi e sestine) e che diventerà appunto – è ancora il Mauri a ricordarcelo – una “inquilina” delle sue poesie: “Vieni. Che importa se non sei più quella/ che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,/ o vestita di tempo! Oggi ho bisogno/ del tuo passato! Ti rifarò bella/ come Carlotta, come Gaziella,/ come tutte le donne del mio sogno!”. Ed è proprio nella “cocotte” corniglianese che viene a situarsi uno dei più citati versi del disincantato poeta di Agliè: “Non amo che le rose che non colsi/ Non amo che le cose che potevano essere e non sono state”.
A Gozzano non appartiene dunque la sensibilità inquieta di un Fogazzaro o l’intimismo morbido e decadente di un Pascoli, poeta dai brividi arcani e dai sottili trasalimenti (come annota Mario Pazzaglia) e neppure la sensualità esasperata, così dandy, così kitsch, di un D’Annunzio. Gozzano è un esteta che ama rifugiarsi nel quotidiano (il meleto di Agliè, la “vita scialba e pacifica” di Ronco Canavese), traveste disinvoltamente il reale e lo trasforma in chimere di cui innamorarsi: è il mondo immobile e appagante della “Signorina Felicita ovvero la Felicità”, dell’ “Amica di nonna Speranza”; è la riesumazione accorata e malinconica di un tempo perduto, che è stato e non è più.
Scende in Liguria, come tanti piemontesi e lombardi. La Cornigliano dei primi del Novecento lo ammalia con i suoi colori, i suoi profumi, il suo mare, i suoi giardini: “Vedo la casa. Ecco le rose/ del bel giardino di vent’anni or sono!/ Oltre le sbarre il tuo giardino intatto/ fra gli eucalipti liguri si spazia…”. Nell’aria di mare, densa di iodio, il poeta triste, già corroso nel corpo e nello spirito, cerca una tregua al male che gli mina i polmoni e non solo i polmoni.
Nel 1905 soggiorna a Pegli: ancora gli eucalipti, l’aria salmastra, il vento capriccioso, i battelli in lontananza. Nel 1907 è a Genova, all’ Hotel Marinetta, l’ Osteria dei poeti, ancora un “rifugio” che peraltro non lo affascina certo “con il vento marino che lo investe da tutte le parti, le finestre che non chiudono , pur imbottite di stoppa”, ascolta le sonate di Mascagni, frequenta Gino Coppedè. Ed è nel Genovesato che compone alcune delle sue più pregnanti liriche: “Convalescente”, “Via del Rifugio”, “Nell’ Abazia di San Giuliano”. Una suggestiva foto a pag. 120 del volume “Genova tra ottocento e novecento – vol.5” (a cura di Franco Bampi, Nuova Editrice Genovese 2014) ci presenta un Gozzano impettito, seduto sul cofano di una auto fiammeggiante, accanto al suo grande amico lo scultore Eugenio Baroni.
Il mare azzurro e limpido di Cornigliano, Pegli, Genova. Il 20 dicembre 1907, presso l’Abazia di San Giuliano, “placandosi nell’azzurro” scrive: “Questo mare, per quanto vituperato da tempo immemorabile da tutti i poeti, è pur sempre l’unica cosa che non faccia ridere a questo mondo”; e in una successiva lettera del gennaio 1908 riemerge la sua malinconica autoironia: “Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo…” (cit. da Carlo Calcaterra, “Quella cosa vivente detta guidogozzano”, in Nuova Antologia n.1595/ 1938).
Gozzano è sì un esteta, un sognatore ironico, ammaliato dal “fascino delle buone cose di pessimo gusto”, irresistibilmente attratto da “tutte le signorine che mangiano le paste nelle confetterie” (incipit della sua splendida poesia “Le golose”), ma è altrettanto conscio che forse è solo il mare della ventosa Liguria che può salvarlo nel corpo e liberarlo dai suoi affanni, malumori, dalle incomprensioni degli editori. Dal nebbioso Piemonte eccolo allora scendere nella mite terra di Liguria. L’ultima volta sarà nel 1916, tanti suoi amici erano lontano a combattere una guerra insulsa come tutte le guerre. A Genova trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore il 9 agosto del 1916. Di tutti i poeti crepuscolari sarà ricordato dalla critica come il più “grande”. Scrive di lui Cecilia Ghelli in un esaustivo saggio (“Gozzano e i crepuscolari”, Garzanti 1983): un “poeta moderno”, avvolto in quella crisi di identità che Montale chiamerà, non molti anni dopo, “male di vivere”. Giacinto Spagnoletti fa a sua volta notare: “ La poesia di Gozzano è nient’altro che l’esatta esibizione di un personaggio che mai si era presentato con tanta grazia nella nostra letteratura: colui che fa i conti con se stesso sino all’ultimo spicciolo, saluta e se ne va”.
Massimo Bramante
Massimo Bramante– Laureato con pieni voti et laude in Economia e Commercio (indirizzo economico-sociale) presso Università Studi di Genova. Ha lavorato presso Istituto di credito e svolto Corsi di formazione nazionali su Economia e Sociologia del lavoro. E’ stato giornalista pubblicista nel settore economico-finanziario. Ha collaborato in qualità di “cultore della materia” e membro di commissione d’esame presso le cattedre di Economia Internazionale ed Economia dell’integrazione europea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Studi di Genova. E’ stato relatore ed ha coordinato seminari ed incontri di studio su temi di “Etica finanziaria” e “Nuove economie”