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LA FORMA DELLA FELICITA’ – 18.Ritorno a Villa Jolanda

Dal 1790 ai giorni nostri, le storie parallele di due famiglie separate dal destino. Un naufragio e un delitto daranno vita a un cerchio che si chiuderà solo dopo tanti anni e molte vite.
Una linea sottile traccia il confine tra sogno e realtà, mentre un filo invisibile lega due terre: Carloforte e Pegli. Il Romanzo a puntate tratto dal libro “La forma della felicità” di Antonello Rivano

18.Ritorno a Villa Jolanda


Carloforte 1995

È appena uscito dal notaio, ha in tasca la lettera che il padre ha depositato presso lo studio, sulla busta il suo nome: A mio figlio Ivan. Si trova sul molo del porto, un forte vento da scirocco alza la spuma delle onde che si frangono lungo la calata. Non si cura di quelle goccioline salate che gli imperlano il capello a larghe falde e il soprabito. Il bavero alzato, il copricapo e il lungo capotto gli danno un’aria di mistero, sembra uscito da un vecchio film in bianco e nero.

  Al giovane ufficiale della marina mercantile è sempre piaciuto vestire in maniera distinta, adora osservare la gente che lo guarda in maniera strana, quel suo abbigliarsi è quasi un’esca, un modo per attirare l’attenzione e poter a sua volta inquadrare i curiosi che lo incrociano. E’ la sua passione studiare le reazioni umane, avrebbe voluto studiare psicologia dopo le superiori ma la smania di partire, la voglia di conoscere altri posti, altra gente, lo avevano spinto a intraprendere la carriera da comandante di lungo corso per la quale aveva studiato sino allora.

   I funerali del padre si sono svolti due giorni prima, ha fatto appena in tempo a tornare al paese, vederlo ancora una volta. Antonio se n’è andato di notte, in silenzio, si è assopito ed è caduto in un sonno da quale non si è più svegliato. La sera prima aveva salutato il figlio, sentendo la vita che lo stava lasciando. Quella sera Ivan era al suo capezzale, sapeva che il padre si stava lentamente spegnendo, la malattia che lo aveva colpito non gli aveva lasciato speranze, in un mese le cose erano precipitate, la madre era riuscita a dargliene comunicazione malgrado lui si trovasse dall’altra parte del mondo.

 Non aveva esitato un solo istante, comunicando immediatamente alla compagnia di navigazione che sarebbe sbarcato non appena avrebbero trovato un sostituto, specificando che si affrettassero altrimenti gli avrebbe lasciato la nave senza comando. L’armatore non aveva perso tempo, stimava Ivan ma sapeva bene che avrebbe fatto quello che minacciava.

  Padre e figlio quella sera si erano salutati come si dovessero ritrovare presto, non era un addio ma un accomiatarsi di due amici. Del resto la morte non aveva mai spaventato nessuno dei due, Antonio perché era convinto che quella era la naturale conclusione della vita, la sua semplicità lo portava a una sola conclusione: se nasci devi anche morire, non c’eri prima, non ci sarai dopo. Per Ivan era diverso, la sua formazione culturale, il suo percorso di vita, i suoi studi sulle varie religioni, lo avevano portato a una concezione ben diversa. In lui si era fatta strada, e aveva messo radici, una visone più orientale che occidentale della vita. Aveva preso come punto di riferimento degli scritti di maestri buddisti che consideravano la vita come un grande oceano, gli esseri umani facevano parte di questo mare, ne erano le onde. Un’onda nasce, cresce e alla fine muore, ma non scompare, ritorna a far parte di quel grande oceano, acqua nell’acqua. Quando si presenteranno le condizioni giuste quell’acqua formerà una nuova onda, della stessa materia ma mai con la stessa forma. Ora Antonio è tornato a far parte del tutto, in quel periodo di latenza che precede una nuova rinascita.

 È anche pensando queste cose che Ivan ha fatto la strada che porta a Villa Jolanda. Non è tornato alla casa in paese che si è comprato per avere una sua indipendenza, ha preferito soggiornare nella casa della tenuta. Quelle terre per lui sono la sua vera casa, lasciarle ha significato un grande sacrificio da parte sua. Apre il cancello e si avvia lungo il viale, alla fine del quale si staglia la sagoma dell’abitazione. Nel corso degli anni è stata ulteriormente ampliata e resa più bella, ha però mantenuto molto del suo stile originale e l’albero è ancora lì: il grande albero di fichi sul quale ha passato tante ore di gioco, la sua fantasia lo faceva diventare un Tarzan che saltava di ramo in ramo. 

 Differentemente dalla maggior parte delle persone Ivan non soffriva il contatto del succo lattiginoso contenuto nei rami, e nelle foglie, dell’albero di fico, l’effetto urticante del bianco siero non valeva su di lui, come se facesse parte della pianta stessa. Due cani corrono incontro al giovane, sono quello che rimane dei cani da caccia del padre, quasi una razza a sé. 

-Stellina, Diana, qua belle-. C’è stato sempre un legame particolare tra lui e i cani di Villa Jolanda, lo hanno sempre considerato i loro capobranco, il cane Alfa. Sin da piccolo è stato così, non ha mai preso il porto d’arma perché per lui la caccia esiste solo con la muta, come se facesse parte di un branco, senza fucile. Le due cagne ora gli sono accanto; la più giovane si sdraia per terra, pancia all’aria e gola scoperta, segno di sottomissione mostrare le parti più vitali, un modo per dirgli Sei il capo.

 Passato a salutare la madre si è ritirato nella parte più antica della casa, quella che guarda al mare. Ha acceso il camino, malgrado ci si avvicini a metà marzo fa ancora freddo, lo scirocco è il vento da Sud Est ma in questa stagione non porta il caldo del deserto che attraversa prima di prendere il mare e arrivare sull’isola. Villa Jolanda è messa in modo che il vento africano la prenda in pieno, Ivan ripensa a una poesia sullo scirocco che ha scritto, una delle tante che sono nate durante le lunghe traversate oceaniche. Il fuoco ha preso vigore, i cani sono accucciati ai suoi piedi, la finestra del salone mostra il mare in burrasca dopo un prato verde. Ora può leggere quella lettera.

Figlio mio, ho scritto questa lettera dopo che ho capito che non potrò sconfiggere la mia malattia. Ti sembrerà strano che usi questo mezzo per comunicare con te. Al momento non so se quando tutto sarà finito tu sarai a casa, ancora meno posso sapere se avrò il tempo di palarti prima. Anche se tu sarai qua non ti farò nessun accenno a quanto scritto in questa lettera, vorrei che quegli attimi fossero usati per stare assieme e salutarci. Ho avuto una vita bellissima, divisa tra il mare e la terra, ho sempre fatto quello che più mi piaceva. Ho avuto una moglie stupenda e un figlio meraviglioso. Non ho mai ceduto alla volontà di nessuno. Per questo motivo quello che sto per chiederti non è una imposizione testamentaria ma solo le considerazioni e i desideri di un vecchio. Ti ho visto crescere nella nostra tenuta, ho notato come toccavi le piante, come ti aggiravi tra gli alveari. Ho visto i cani innamorati di te, ho sorriso di nascosto quando facevi la scimmia sull’albero. Ho ammirato, e forse un po’ invidiato, il modo in cui leggevi e studiavi. Ho letto le tue poesie. Hai scelto l’unica cosa che mi poteva ferire: hai lasciato questa terra.

Non ho mai discusso le tue scelte, così come non ho mai permesso che nessuno lo facesse con le mie. Ora ti chiedo di restare, Villa Jolanda ha bisogno di te… e tu di Villa Jolanda. Non ti ho mai più visto felice da quando hai intrapreso la tua carriera, non ho più visto la luce che si accendeva sul tuo viso quando andavamo a potare la vigna, quando imbottigliavamo il vino a raccoglievamo il miele avvolti da sciami d’api. Forse è solo una mia impressione, forse la malattia mi ha reso malinconico o solo egoista. Per quanto possano essere bravi il nostro fattore e i suoi braccianti Villa Jolanda ha bisogno di un Antinori per andare avanti. Credo che questa lettera sia la cosa più lunga che abbia mai scritto, ora non mi resta che salutarti un’altra volta. Se è come penso io per me è già finita ogni cosa, se invece hai ragione tu ci rivedremo in un’altra vita, se così sarà in un modo o in un altro  saprò riconoscerti. Addio Ivan.

Non addio ma arrivederci, papà.

 Ivan, rilegge ancora una volta la lettera, poi si alza e va verso la grande libreria del salone, vi sono tutti i libri che gli Antinori hanno conservato negli anni, la maggior parte sono suoi. Nella parte centrale c’è una cassettiera, il giovane apre il primo cassetto e prende un volume rilegato in pelle. È il suo manoscritto, una raccolta di poesie che aveva intenzione di pubblicare, mai avrebbe pensato che suo padre le avesse lette. Sfoglia il volume, nella parte finale una cartolina fa da segnalibro, la riconosce perché l’ha inviata lui al padre. La pagina del libro così segnata ha un appunto scritto a matita: pure io ricordo quel giorno, sinora hai mantenuto la promessa, non avevo dubbi; la calligrafia è di Antonio. Ivan legge la poesia sotto alla quale è scritto l’appunto.

-SACRO-

Sacro è il tuo amore, in questo giorno santo.

Santo per chi crede in un dio che tu non hai.

Sacro è il tuo dono, in questo giorno di pace.

“Pace in terra agli uomini di buona volontà.”

Sacro quel che ci lega in questa vita,

tu quercia, io tuo tenero germoglio.

Sacre le parole trovate a fatica,

sacro il libro dettato da un dio.

Sacra la promessa che io ti faccio:

mai ti deluderò padre mio.

Ripone il manoscritto e, dallo stesso cassetto, estrae un altro volume: Ha la copertina tra il rosso ed il marrone, gli anni hanno alterato il colore originale, il titolo scritto in lettere dorate.

-Non lo so papà, non so cosa fare. Prima o poi sarei tornato per restare ma non ora, non so se sono ancora pronto e non so bene chi sono, cosa sono. Navigante, poeta, imprenditore agricolo?

Ivan ha continuato a parlare a voce alta, come se il padre fosse lì ad ascoltarlo, dovrà prendere una decisione, lo deve a se stesso prima che a lui. Riposta la bibbia regalatagli da Antonio esce di casa, va sino alla fine della veranda, sotto le fronde dell’albero. I rami spogli hanno già qualche gemma precoce.

– Sei una pianta strana amico mio. Ho letto che il fico è l’unico che non mostra i suoi fiori, li cela all’interno del frutto. In fondo ci somigliamo.

[Continua…]

La prossima settima: Capitolo 19.Una proposta

I testi tratti dal romanzo di Antonello Rivano “La forma della felicità” (ilmiolibro.it, 2018) pubblicati sul Ponentino possono non corrispondere totalmente con quelli del libro e sono frutto di una rielaborazione dello stesso autore.

Il libro si può ordinare online su ilmiolibro , su  Amazon, sui maggiori bookshop online o prenotarlo nelle librerie Feltrinelli di tutta Italia.
La copertina originale dell’opera è del pittore carlofortino Salvatore Rombi

Antonello Rivano
Redattore Capo ilponentino.it

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