Don Bosco in visita a Pegli
Cenni di Storia e Antropologia del territorio (9)
Di G.Walter Cavallo
Non si conosce il giorno, ma sappiamo che San Giovanni Bosco viene a Pegli nell’ottobre del 1864 insieme ad un gruppo numeroso di suoi ragazzi, per visitare la Villa Pallavicini. Di questa visita ne hanno parlato in molti nel tempo, come ci ricorda monsignor Antonio Durante.
Anch’io voglio riportare queste notizie, visto il legame del Santo con il marchese/senatore Pallavicini.
Ritengo opportuno tracciare una breve e sintetica biografia per meglio inquadrare questo educatore dell’ottocento.
Nato nell’astigiano, in una frazione di Castelnuovo, oggi Castelnuovo Don Bosco, il 16 agosto 1815, viene ordinato sacerdote nel 1841. Fu il fondatore della congregazione dei salesiani (approvata dalla Santa Sede nel 1864) e della Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice (approvata nel 1872), alle quali affiancò (1875-76) la Pia Unione dei Cooperatori, come terz’ordine laicale. Nel 1875 mandò il primo gruppo di missionari in Patagonia, organizzando negli anni altre sette spedizioni missionarie salesiane in America Latina; svolse poi missioni diplomatiche ufficiose tra la Santa Sede e il governo italiano per la nomina dei vescovi nelle sedi vacanti. Fu autore di numerosi testi storici di carattere divulgativo e popolare (circa un centinaio tra volumi e opuscoli) e iniziatore del mensile Letture Cattoliche. La sua importanza nel campo pedagogico è affidata allo scritto su Il sistema preventivo nell’educazione della gioventù (1877) in cui espose i suoi principi educativi: prevenire non reprimere, secondo un progetto rivolto allo sviluppo della responsabilità personale e basato su “la ragione, la religione, l’amorevolezza” (e con riferimento in testi successivi anche ai concetti laici di civiltà, umanità e progresso); non sopravvalutare l’istruzione intellettuale e teorica ma incrementare piuttosto quella tecnica e professionale attraverso il tirocinio pratico in laboratori (pioniere delle scuole professionali, già nel 1851firmò un vero e proprio contratto di lavoro a nome di un giovane operaio); come frutto del suo “sistema” intravvede la meta ideale del “buon cristiano e onesto cittadino”. Ma l’importanza della sua figura è dovuta soprattutto alla forza della sua personalità di educatore che avvicinava a sé l’animo dei ragazzi anche più ribelli.
Beatificato nel 1929 e canonizzato nel 1934, è stato dichiarato nel 1989 da Giovanni Paolo II Padre e Maestro della Gioventù .
Morì a Torino il 31 gennaio del 1888.
Ignazio Alessandro Pallavicini conobbe Don Bosco nel 1850 quando, in compagnia dei senatori Federico Sclopis e Luigi di Collegno, trovandosi a Torino, sede (del Senato) del Regno di Sardegna, fu incaricato di una visita di controllo agli oratori di Don Bosco che di anno in anno si imponevano all’attenzione pubblica e suscitavano tante simpatie, benché non mancassero i suoi detrattori. Fu il senatore Pallavicini a riferire in senato i risultati della visita, caldeggiando l’erogazione di un sussidio per le opere di Don Bosco, ribattendo alle obiezioni di chi era contrario. La proposta venne approvata ma, una volta presentata al Ministro degli Interni, non produsse risultati. Durante il loro incontro il senatore Pallavicini si disse lieto di ospitare Don Bosco con i suoi ragazzi a Pegli, nella sua villa estiva.
Si trattò di una giornata intensa e gioiosa, come traspare dalle cronache di quella giornata. Don Bosco e i suoi ragazzi, che si dice in numero di cento, arrivarono alla stazione di Pegli nel mezzogiorno. Insieme al genero, il marchese Marcello Durazzo, Ignazio Alessandro gli si fece incontro, dicendogli: “ci voleva Lei, con i suoi figli a farmi uscire (…) Voglio io farle vedere questi posti”. E iniziarono la visita. Completato il percorso, quando furono al “Tempio di Flora” al cui interno vi è un gioco di specchi, i ragazzi parvero moltiplicarsi e il marchese Pallavicini, compiacendosi del fatto disse: “ veda quanti giovani ha!” “Oh i miei giovani sono in numero infinitamente maggiore” rispose. Ad un certo punto Don Bosco domandò al Pallavicini quale somma fosse occorsa per realizzare la villa. Gli rispose che aveva speso sette milioni. Don Bosco rimase alquanto pensoso, riflettendo a quanti giovani avrebbe sfamato con tanti denari. Egli però sapeva che la villa poteva definirsi un’opera buona, perché il marchese Ignazio Alessandro l’aveva fatta costruire in tempi economicamente difficili, in particolare per la povera gente. Si era infatti dato lavoro a trecentocinquanta operai che, per ben sei anni con esclusione delle feste, si erano adoperati per la costruzione di questa magnifica opera.
Dopo avere visto queste meraviglie i ragazzi furono fatti sedere sui sedili di maiolica collocati sui prati attorno al lago grande e, all’ombra del cedro del libano e della canphora, piante già a quel tempo maestose, fu offerta loro una abbondante merenda. Lo stesso vecchio marchese volle servirli, dimostrandosi compiaciuto della loro schietta allegria, suscitata anche dalle esecuzioni musicali che la banda dei ragazzi eseguiva.
La bella giornata si concluse nella chiesa parrocchiale di S. Martino con una funzione sacra: Finita la funzione Don Bosco si congedò dai suoi ospiti. La figlia Teresa, moglie di Marcello Durazzo lo ringraziò con effusione dicendogli: “ la sua visita ha portato un gran bene a papà, ho visto che non si sapeva distaccare da lei. Noi lo ringraziamo e a un ben rivederla”.
Avvenne che mentre Don Bosco s’allontanava con la sua comitiva, il marchese Ignazio Alessandro lo raggiunse accompagnandolo sino alla stazione del treno e parlandogli in tutta confidenza. Da allora i rapporti del marchese Ignazio Alessandro con Don Bosco continuarono sempre più spirituali. Si sono rintracciate lettere del Santo che lasciano intravedere come avesse sul marchese delle illuminazioni superiori, cosa del resto non insolita per Don Bosco. Il 4 agosto 1867 ad esempio gli scrive: “Sembra che il colera voglia farsi sentire a Genova: Ella e la sua famiglia siano tranquilli: la Santa Vergine li proteggerà, abbiano soltanto fiducia in lei”. In un foglio a parte unito alla lettera aggiunge: “per tre volte avrei dovuto mandarle il biglietto che le unisco … ora mi è per la terza volta comandato e ubbidisco”. E prosegue: “Giorno di Pasqua, Visitazione di Maria SS, Festa della sua Assunzione: dì al mio servo Ignazio che non tema di morire di morte improvvisa e viva più tranquillo di giorno e di notte. Frequenti, o meglio si cibi più sovente delle carni santissime del Divin Figliolo, promuova quanto può lo spirito di pace in famiglia per modo che cessando di vivere non nascano i semi della discordia”.
L’Apostolo della gioventù fu in rapporto non solo con Ignazio Alessandro, ma anche con la figlia Teresa e con il genero Marcello Durazzo. Essi non mancarono di aiutarlo finanziariamente.
Il Durazzo gli fu a fianco in faccende spinose relative alle scuole salesiane, nel 1878 contribuì notevolmente a sanare le forti passività che gravavano sull’opera di Don Bosco a Sampierdarena, la seconda dopo quella piemontese.
Siamo in grado di riferire altre notizie in merito ma ci fermiamo a questi accenni, visto che lo scopo di questo scritto riguarda principalmente Pegli.
Don Bosco venne ancora a Pegli ai primi del giugno 1884 mentre era in viaggio per Roma.
In seguito, anche se più volte richiesta una sua visita, non riuscì più ad effettuarla perché troppo pressato dagli impegni, anche quando era di passaggio a Sampierdarena, che si trova vicino a Pegli.
Per approfondire:
Alla ricerca di Ignazio Alessandro Pallavicini
Splendore di PEGLI e dei suoi personaggi
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Giacomo Walter Cavallo
Dopo 35 anni di lavoro bancario. a sessant’anni, ha conseguito la Laurea in Storia Moderna e contemporanea e di seguito la Laurea Magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Genova. Svolge attività di volontariato in ambito educativo e formativo come socio presidente dell’Organizzazione di Volontariato “Seniores Liguria”. E’ membro del direttivo dell’Associazione di Promozione Sociale “Amici di Villa Durazzo Pallavicini”
(la foto del tondino è tratta da uno scatto di Angelo Lavizzari)