Cristoforo Bonavino, alias Ausonio Franchi, questo sconosciuto
Cenni di Storia e Antropologia del territorio a cura di G.Walter Cavallo
Cristoforo Bonavino nacque a Pegli, sulla sua casa natale era apposta una lapide, trasferita poi in vico Condino, cuore del centro storico, modificandola cosi: Cristoforo Bonavino, nato a Pegli il 27 febbraio 1821, apostata col nome di Ausonio Franchi, seppe ritrovare le vie del vero e dalla tenebra dell’errore assurgere all’eterno splendore del pensiero cristiano. Nel centenario della sua morte i cittadini q.m.p”.
Con l’aiuto del professore pegliese Luciano Malusa e della dottoressa Fiorenza Taricone cerchiamo di conoscere la personalità dello studioso (e polenista) entro il contesto risorgimentale e post-risorgimentale in cui ha vissuto e operato.
Nato da Gianbattista Bonavino, fabbricante di tessuti, e da Caterina Traverso in una famiglia numerosa, dimostra fin da giovane spiccate doti di intelligenza. Per i figli del popolo che apparivano “portati” per lo studio si apriva di solito la via del seminario: ed anche Cristoforo fece i suoi studi avviandosi alla carriera ecclesiastica. A tal proposito scrive il professor Malusa: “ Dai documenti e dalle testimonianze che abbiamo, dubito che avesse la vocazione, ma si sentì attirato al sacerdozio per la profondità dei misteri della religione cristiana e per le possibilità che per un prete sveglio e intelligente c’erano di aprirsi al mondo della cultura e alla ricerca delle verità più alte”.
Iniziati nel 1837 gli studi nel seminario di Genova, come professore di filosofia il Bonavino incontra un giovane prete, Salvatore Magnasco, che tanta parte avrà nella conversione dell’apostata Ausonio Franchi. Per la sua dialettica e ingegno fu notato dal vescovo di Bobbio, Antonio Maria Giannelli, che cercava sacerdoti per la sua diocesi. Il Bonavino, trasferitosi al seminario della cittadina del piacentino nel 1840, stimato dal vescovo, ancora chierico viene nominato prefetto di studio e professore di filosofia e, una volta ordinato sacerdote nel 1843, entra nella piccola congregazione fondata da vescovo Giannelli, degli oblati di S. Alfonso Maria de’ Liguori, legati da voti particolari di umiltà e carità. Il vescovo Giannelli voleva che i suoi preti non si perdessero in complesse disquisizioni teologiche, mentre Cristoforo Bonavino non si accontentava della fervida pietà e dell’impegno di sacerdote. Dopo un anno dalla sua ordinazione, nel 1844 lascia Bobbio. Il vescovo Giannelli comprende che quel giovane doveva cercare un’altra strada: non era tagliato né all’obbedienza né allo “stare alle regole”. In questi anni di formazione di Bonavino si assisteva allo scontro che vedeva contrapposti i Gesuiti e Rosmini, filosofo (1797- 1855) patriota e liberale, religioso, a motivo della pubblicazione da parte di questi del Trattato della coscienza morale. Interpretando il rigorismo etico di quest’ultimo come tendenza al giansenismo, alcuni gesuiti avevano intrapreso una forte polemica. Ci dice ancora il professor Malusa: “ non sappiamo se il Bonavino conosceva il lavoro del Rosmini ma una cosa è certa:egli riteneva improbabile e dannoso il modo di affrontare i casi di coscienza che teneva la teologia, in particolare quella ligure, nelle sue accentuazioni forzatamente anti-giansenistiche. Il giansenismo assume allora per lui un ruolo di contrapposizione alla chiesa istituzionale, una specie di tendenza nel cristianesimo alla purificazione dalle pastoie del ritualismo lassistico. Questa posizione lo avvicina solo casualmente al Rosmini, in quanto lo spirito dell’etica rosminiana gli è estraneo”.
Dal 1845, anno del suo rientro a Genova, Cristoforo Bonavino fu sovente in contrasto con le autorità ecclesiastiche parendogli che la mentalità del clero fosse in contrasto con l’intelligenza e la ricerca disinteressata della verità. La politica fece il resto. Si disse che fu traviato da Vincenzo Gioberti (filosofo e uomo politico 1801-1852), prete pure lui, e sostenitore di un cattolicesimo civile. “A Bonavino” sostiene il professor Malusa, “pareva più adeguato ai tempi di considerare il cattolicesimo nella sua valenza di liberazione anche politica”. Il giovane prete si diede all’insegnamento, tanto in strutture comunali quanto ecclesiastiche. Partecipò con convinzione alla rivolta di Genova, contro le truppe del Re di Sardegna e, verso la fine dell’anno 1849, si sentì svuotato da ogni interesse per le motivazioni che gli consentivano di portare l’abito talare. La crisi della stessa prospettiva giobertiana lo privava di un ulteriore motivo per continuare a credere nel ruolo positivo della chiesa. Nel 1849 viene sospeso a divinis. La sua apostasia, vissuta sotto lo pseudonimo di Ausonio Franchi ( traducibile in Libero Italiano, secondo il professor Malusa), segna l’inizio della sua produzione filosofica. Lasciato l’insegnamento si dedica agli studi e alle pubblicazioni.
Allontanatosi dalla visione conservatrice della chiesa, difesa a quel tempo dai gesuiti, si trovò più in sintonia con quella parte di clero che era desiderosa di riforme e cambiamenti. Consigliato da Vincenzo Gioberti, fondò riviste di critica religiosa, politica e sociale. La polemica è la caratteristica principale della sua produzione. Ausonio Franchi in “Studi filosofici e religiosi. Del sentimento”, ci dice che “la religione così nella coscienza degli individui come in quella dei popoli, precede la filosofia; e la cognizione dell’assoluto è prima un simbolo di fede che un sistema di metafisica”.
Per l’ex prete, né il dogma né il mito possono connotare la religione; eppure essa non è destinata ad essere superata dalla filosofia. La convivenza operosa delle due realtà dovrebbe produrre effetti positivi, ma i poteri della ragione non possono venire esagerati – pena la caduta di ogni pretesa di un razionalismo sano e moderato. Quindi le conclusioni di Ausonio Franchi, polemico con i maggiori filosofi del momento, tendono allo scetticismo. L’apporto del filosofo pegliese alla creazione di una opinione pubblica incline all’unificazione nazionale fu notevole.
Nel 1852 viene eletto consigliere comunale a Genova e mantiene la carica sino al 1854. Nello stesso anno si trasferisce a Torino in quanto non sopporta più l’ambiente ligure che lo individua come il prete apostata.
Aveva lasciato Genova per recarsi in una città che i genovesi detestavano.
Seguono anni di ristrettezze e di prove rilevanti per il cui approfondimento vi rimando al mio “Splendore di Pegli e dei suoi personaggi”.
Un interesse di natura storica e culturale gli fa riprendere la lettura di San Tommaso, il cui rigore argomentativo appaga i suoi dubbi portandolo, dice il professor Malusa “a una vera e propria conversione”
Nel 1879 inizia la redazione della Critica, voluminosa ritrattazione dei suoi scritti principali, una critica radicale delle sue sicurezze, che lo induceva a sicurezze razionali basate su un solido impasto di adesione religiosa e verifica dei fatti. Tommaso d’Aquino, cristiano per vocazione e frate, aveva cercato di dimostrare la razionalità di molte delle verità che conducono alla religione rivelata. Il suo vecchio insegnante di filosofia, monsignor Magnasco, ora divenuto arcivescovo di Genova, lo aveva sempre seguito, con la preghiera e con l’attesa: l’incontro tra i due dopo tanti anni era ormai nelle cose. Ausonio Franchi aperse l’animo al suo all’antico professore: non rinnegava nulla del suo passato, chiedeva però di poter seguire in filosofia S. Tommaso. La conversione procedette per gradi: si fecero più frequenti le visite ai parenti di Pegli. Una volta lasciato l’insegnamento a Milano, dopo avere lasciato i suoi libri alla Biblioteca Ambrosiana matura l’idea di ritirasi a Genova: chiede di poter essere ammesso al sacerdozio, nel silenzio, nella solitudine. Nel 1889 scrive l’atto di abiura.
La conversione suscitò scalpore, ma il convertito non si curò più di tanto delle accuse: si era ritirato presso i Carmelitani di Genova. La Santa Sede concede la piena assoluzione dalle censure. L’unico momento “pubblico” per il filosofo convertito si ha nel 1890 quando viene ricevuto da Papa Leone XIII che lo aveva voluto conoscere. Nel 1892 viene a mancare l’arcivescovo Magnasco. Siamo al momento del suo ritiro più stretto: trasferitosi nel convento dei carmelitani di Sant’Anna a Genova celebra per la seconda volta la sua prima messa.
Gli ultimi anni furono esemplari: l’orgoglioso filosofo, il polemico giornalista, il sottile scettico lasciarono il passo ad un pio sacerdote che chiedeva solo di essere dimenticato.
Muore santamente a 75 anni il 12 settembre 1895, benedetto dal Santo Padre Leone XIII.
Pegli gli ha dedicato la piazza antistante al palazzo Doria e lo ospita nel suo cimitero di San Martino.
E poi su Cristoforo Bonavino alias Ausonio Franchi calò il silenzio.
Per approfondimenti sulla Storia e Antropologia del territorio:
Alla ricerca di Ignazio Alessandro Pallavicini
Splendore di PEGLI e dei suoi personaggi
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