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Il mondo in città- Vicino Oriente: La terra trema, ma i confini non crollano

Vicino Oriente

La terra trema, ma i confini non crollano

C’è un dramma che si aggiunge alle strazianti storie che sono giunte dalla Turchia e dalla Siria a seguito del terremoto: le differenze e i problemi negli aiuti a causa dei confini.
La società turca è da anni che è fratturata tra chi conduce una vita più secolare, e chi ha vissuto questi ultimi vent’anni con Erdoğan al potere come una liberazione per professare più liberamente la propria religione, dopo decenni di laicismo a volte un po’ forzato. Ma nelle settimane della tragedia, la società turca si è trovata unita nella solidarietà, e nel riconoscere i suoi vizi e virtù.
Lo stesso non si può dire in Siria, dove alle macerie della guerra civile si aggiungono quelle della terra che trema; per distinguere le une dalle altre bisogna guardare se tra il cemento crescono l’erba e i fiori. Se l’erba e i fiori crescono già allora quelle rovine sono figlie delle bombe, altrimenti sono più recenti e si deve allora scavare e cercare i morti e i vivi.

Inoltre, in Siria gli aiuti vanno al rilento, soprattutto perché il dittatore al-Assad, dalla capitale Damasco, vuole cogliere l’occasione per allargare il suo controllo su altre parti del paese poiché, nonostante stia vincendo la guerra civile anche grazie alle bombe di Putin, solo alcune regioni accettano la sua autorità. Così chiede che gli aiuti non vadano direttamente alle zone colpite nel nord ovest del paese, controllate per lo più da vari gruppi ribelli, ma passino da lui, attraverso specifiche strade.
Se la Turchia quindi è collegata alla comunità internazionale e la solidarietà degli altri paesi è arrivata, in Siria, al-Assad coglie l’occasione per riallacciare i rapporti internazionali specialmente con alcuni paesi della Lega araba e rinforzare il legame speciale con l’Iran che da sempre lo sostiene, ma mettendo in secondo piano il supporto ai terremotati.
L’occidente invece si limita a controllare che le sanzioni contro il regime siriano non siano troppo limitanti, e così gli USA le ha in parte allentate per permettere di far arrivare qualcosa in più. L’unità del popolo turco ha però dei risvolti drammatici e non ha saputo seppellire del tutto la divisione tra chi è con o contro il Presidente Erdoğan.
La zona colpita, il sudest della Turchia con Gaziantep come città principale, è zona di confine con la Siria e perciò molti rifugiati che scapparono dalla guerra civile si trovano nell’area. L’area coinvolta dal terremoto è grande, come da Roma a Milano, e i rifugiati siriani lì sono centinaia di migliaia, e alcune migliaia stanno ritornando in Siria dopo aver vissuto la discriminazione negli aiuti; vittime del “prima i turchi”. Una reazione che è figlia di un sentimento nazionalista, ma anche dell’esasperazione per i ritardi negli aiuti e lo sconforto nel vedere due decenni di sviluppo edilizio crollare in pochi minuti. In entrambi i casi le colpe ricadono sul Presidente Erdoğan che ora vede a rischio la sua rielezione.
Anni di crescita economica spinta dal cemento, di condoni facili, di scelte dello Stato in funzione di chi ti vota, in aggiunta all’inflazione galoppante che mina l’economia da anni, si stanno scontrando con la realtà del terremoto.
I turchi possono vedere che laddove le regole edilizie sono state rispettate le case sono ancora in piedi, e che dove tradizionalmente si vota Erdoğan gli aiuti sono arrivati più facilmente. Storie che dovrebbero suonare familiari in Italia, seppur su scala differente.