FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi
Leggere la città. Toponomastica viva
Via Andrea Vochieri1
Ho sempre pensato che se dovessi diventare una persona famosa (evento di astronomica improbabilità) scriverei nelle mie ultime volontà, al primo posto dell’elenco, il divieto assoluto di dedicarmi una via, una scuola o qualunque altra cosa. Questo, che sembra un sommo riconoscimento, è invece una maniera paradossale di oscurare e dimenticare colui che si era voluto onorare. Certo se diciamo via Garibaldi, l’immagine del fulvo eroe dei due mondi, avvolto nel tradizionale poncho, balza subito alla mente. Qualche reminiscenza scolastica la suscita piazza Cavour, il cui titolare ci scruta severo dai suoi occhialetti tondi, ma con piazza Tommaseo già abbiamo qualche problema. E Angelo Scribanti, chi era costui? Ed Evangelista Torricelli, a qualcuno evoca forse una lontana interrogazione di fisica? Sì, era “quello del barometro”.
A considerarle tutte assieme, le targhe delle vie recanti nomi e date di uomini (pochissime donne) che furono illustri, danno l’impressione, un po’ inquietante, di lapidi in un grande, improprio cimitero. Improprio, perché privo di sepolture, anzi brulicante di vita, affollato di veicoli e passanti, che si muovono freneticamente per scopi diversi, ma per la maggioranza dei quali il nome del defunto non rimanda più a nessuno, non evoca nulla. Non tanto perché spesso se ne ignorano vita e imprese, ma per un meccanismo mentale, che ci fa usare il nome della via per scopi puramente orientativi nello spazio, tralasciando personaggio ed epoca storica, che a quello scopo non servono. Ecco dunque perché non vorrei mai che il mio nome fosse associato ad una via o a una piazza, diventerebbe un semplice cartellino di riconoscimento.
Gironzolando su Internet, alla ricerca di qualche notizia per quanto vado scrivendo, mi sono imbattuta in un articolo del Post dove ho trovato questa citazione di Umberto Eco: “«...intitolare a qualcuno una strada è il modo più facile per condannarlo alla pubblica dimenticanza e a un fragoroso anonimato». Una dotta conferma ad una propria idea, ancorché modesta, fa sempre piacere. 2
La toponomastica mi ha sempre affascinato, in fondo la città con le targhe delle sue vie è un grande libro di storia a cielo aperto, non sistematico, più uno zibaldone che un trattato rigoroso, al quale le epoche storiche e le ideologie contingenti hanno aggiunto delle pagine; ma cosa ancor più interessante, molte pagine già scritte, sono state raschiate, come si faceva con le vecchie pergamene dei manoscritti, e ci si è riscritto sopra.
A Pegli abbiamo via Martiri della Libertà – via Martiri per brevità – punteggiata sui due lati da svariati esercizi commerciali. Questa denominazione è piuttosto recente; in origine, nei primi anni del ‘900, quando la cittadina era ancora indipendente, si chiamava via XX Settembre. Da vecchia insegnante mi verrebbe voglia di domandare un po’ in giro il perché di questa data, ma temo qualche imbarazzo da parte dei più giovani, meglio lasciar perdere. Un inciso, per indicare l’omonima, attuale via del centro genovese, moltissimi dicono “via Venti”, capito? Con l’avvento del fascismo e dopo l’unione con Genova la via venne dedicata ad un tal Corrado Quario squadrista, caduto nell’esercizio delle sue funzioni, presumo. Con il crollo del fascismo la via venne chiamata via della Marina Mercantile (nome più acconcio alla vocazione commerciale della Superba), dopo la Liberazione assunse quello attuale.3 A questo punto una certa qual malinconia mi assale, e qualche reminiscenza. Questo grande libro-città, costituito dalle targhe delle vie e delle piazze, può essere considerato una sorta di Ade che, invece di stare sotto terra, è sospeso sulle nostre teste. Ulisse ed Enea, (lasciamo perdere il padre Dante) ad un certo punto della loro avventura compiono una discesa agli Inferi, per consultare gli spiriti dei defunti, un gesto altamente simbolico. Per interpretare e affrontare il presente, dobbiamo volgere il capo all’indietro, verso il passato, conoscere e capire eventi e persone che ci hanno preceduto, la nostra memoria storica insomma. Gli eroi mitici di cui sopra hanno dovuto compiere speciali riti per imboccare la via segreta che porta all’oltretomba; a noi invece, fatte le debite proporzioni, basta metterci col naso all’insù, e leggere nome e date di una targa, questa volta non per per sapere se siamo arrivati a destinazione, ma per interrogare (magari con l’aiuto di Wikipedia) questa scarna epigrafe, per dare voce, anche solo per poco a coloro che, in varie maniere, ci hanno reso quel che siamo.
Ecco allora che ad un’ora incerta, in un crepuscolo ideale, mi appoggio alla ringhiera che si affaccia da via Vespucci sull’imbocco della creusa, che porta il nome di Salita Andrea Vochieri mazziniano 1796-1833.
–G. Buona sera, Andrea.
–A. Cerea4, Madama.
–G. Sai Andrea, è da molto tempo che volevo parlare con te, avevo preso informazioni sul tuo conto, ed ora è arrivato il momento.
–A. Spero non dalla polizia sabauda, madama.
–G. Oh, no davvero! Oggi abbiamo altre fonti. Ma soprattutto io ho altri scopi. Lo sai che siamo nati lo stesso giorno? Io un secolo e mezzo dopo, eppure ora stiamo parlando.
–A. Aspettavo da tempo che lei si fermasse, madama, ma va sempre così di fretta, come tutti quelli che passano di qui. E non degnano di uno sguardo la mia targa.
–G. Io l’ho guardata da subito, da quando sono venuta ad abitare in questo quartiere – lo dico a mia discolpa – e ho cercato notizie su di te. Anche se andavo di fretta, sappi che non ho mai mancato di rivolgerti un muto saluto.
–A. Sono felice che ora lei abbia trovato il momento giusto per fermarsi.
–G. Andrea, vedi che strana cosa è il tempo, tu che sei nato tanto prima, sei tanto più giovane di me, per questo mi viene spontaneo darti del tu.
–A. L’unica cosa che può sconfiggere il tempo, madama, è la memoria, e se non basta la nostra c’è quella dei libri.
–G. Sarebbe lunga da spiegare Andrea, ma oggi, a distanza di quasi due secoli dalla tua morte, noi abbiamo tanti mezzi, oltre ai libri, per mantenere vivo il passato, ciò che manca è la volontà. Ma vedi, ora io sono qui proprio perché voglio mantenere vivo il tuo ricordo. La targa è qui, a Genova, in una regione che ha tanti legami con la tua. Noi oggi siamo una Repubblica, Andrea, e l’Italia è unita, ed anche io. che sono una donna, ho diritto di voto.§
–A. Forse non posso proprio capire l’epoca, così diversa, nella quale lei vive, madama, lei vota! Forse qualcuno ne avrà parlato ai miei tempi, ma…
–G. Ci sono voluti molti anni e molto sangue per arrivare a questo diritto per tutti, donne comprese, e prima ancora per costruire l’Italia che tu e il genovese Mazzini, sognavate, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Poi sono successe altre cose, terribili, ma non è di questo che ora dobbiamo parlare, sei tu ora quello che deve raccontare.
–A. Lei lo sa, madama, sono piemontese, di Alessandria. Si capisce anche dal mio accento! Mio padre era un notaio, ed io dopo gli studi classici, mi iscrissi all’Università di Torino per studiare legge. In quella grande città, noi giovani studenti mal sopportavamo il cupo potere della monarchia sabauda, volevamo la Costituzione, la libertà, ci sentivamo italiani. Avevamo un grande sogno ed eravamo pronti a dare anche la vita. Diventai avvocato ed esercitai, anche se per poco, la professione nella mia città. Ho sempre pensato che le leggi dovessero garantire i diritti e la libera espressione dei cittadini, non essere strumento di oppressione.
–G. E l’hai data la tua giovane vita, e dopo di te, per decenni e decenni molti altri, giovani e meno giovani, e anche donne, l’hanno perduta in nome di un’idea grande, che guardava ad un futuro migliore.
_A. Quante folli speranze portavamo in cuore! Confidavamo nel nostro re, Vittorio Emanuele I di Savoia, il condottiero che avrebbe liberato il Lombardo- Veneto dalla dominazione straniera e concesso la Costituzione. Invece appena salito al trono soffocò il nostro Piemonte con uno spietato regime assolutistico.
–G. Be’, Andrea, abbiamo constatato anche noi, a distanza di un secolo, e a quale prezzo, che dei Savoia proprio non ci si può fidare.
–A. Eravamo forse ingenui, madama, ma il giovane Carlo Alberto aveva dato speranza a noi ardenti universitari torinesi. La nostra pacifica manifestazione contro l’Austria, nel gennaio del 1821, fu soffocata nel sangue, ed egli, solo della famiglia reale, ci manifestò la sua solidarietà. Il fuoco della libertà che divampava in Spagna e in altre zone d’Italia infiammò anche noi, ci vedevamo già tutti uniti, napoletani e siciliani, a combattere per l’ideale comune. Anche parte dell’esercito era con noi, avevamo negli occhi il tricolore che sventolava sulla cittadella di Alessandria.
–G. Sono passati due secoli Andrea, eppure dopo quella infelice insurrezione, altre ne sono seguite, e non solo qui, nella nostra Italia; alcune vittoriose e pagate col sangue di troppi. In tutto il mondo, ora nel momento in cui parliamo, ci sono ancora popoli e gruppi di persone che combattono contro la sopraffazione e la negazione dei diritti. Forse tu faresti fatica a comprendere alcune rivendicazioni, ma credi, il motivo è sempre lo stesso: l’affermazione della dignità della persona umana, dei suoi diritti fondamentali, di cui troppi sono ancora privi.
–A. Sembravamo vicini alla vittoria. I generali emisero un proclama, con il quale si propose l’adozione di una Costituzione, sul modello di quella appena promulgata in Spagna. Ma Vittorio Emanuele I, dopo aver cercato, inutilmente, di ricondurre i militari all’obbedienza, abdicò in favore del fratello Carlo Felice, che si trovava a Modena in quel momento. La reggenza fu affidata al principe Carlo Alberto, il quale concesse la Costituzione e l’amnistia agli insorti, ma le sue incertezze i suoi dubbi, la sua insicurezza, il suo voler l’appoggio del nuovo re, furono fatali. Le forze della Restaurazione, in armi, soffocarono ogni speranza. Il debole Carlo Alberto, sotto pressione ci abbandonò al nostro destino. Io fuggi a Barcellona, poi al mio ritorno, fui per due anni sotto sorveglianza.
–G. Quindi seguì per te un breve periodo di pace, il matrimonio, tre figlie; l’esercizio della professione. Ma una nuova cospirazione fu quella fatale.
–A. Sì, dopo dieci anni, ci riprovammo, ancora una volta senza successo, mi arrestarono nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 1833, per la delazione di un sergente. Ero considerato particolarmente pericoloso, perché ritenuto responsabile di aver esteso le fila della cospirazione nell’esercito. Mi rinchiusero in un’angusta cella della caserma Beleno nella Cittadella di Alessandria. Alla mia condanna, nel corso del processo, contribuirono altre delazioni, di quattro furieri, e l’aggravante delle mie invettive contro Carlo Alberto che non volli mai ritrattare. Se lo avessi fatto, avrei forse avuta salva la vita, e se avessi denunciato i compagni avrei ottenuto la libertà. Ma non c’è nulla di più spregevole del tradimento, dei compagni e delle proprie idee, nulla di più abbietto, non avrei potuto vivere col peso di una simile colpa. Sarei stato giustiziato, ma a testa alta e con l’onore immacolato.
–G. E proprio di tradimento, anzi di alto tradimento, fu l’accusa che ti portò davanti al plotone d’esecuzione. Come è facile volgere le parole a proprio vantaggio: un sogno di giustizia e di libertà è tradimento per il potere. Se si potesse abbracciare un’ombra, lo farei Andrea, ti stringerei forte, per dirti che il tuo sacrificio non è stato inutile.
–A. Cerea, madama. Devo andare, vada a casa anche lei, non è bene che una signora sola sia in giro col buio. Vada e racconti la mia storia.
–G. Addio Andrea, la racconterò la tua storia, spero che la leggano in tanti. Eri un uomo giovane e vigoroso, intelligente, un marito e un padre amato; avresti potuto condurre una vita agiata, rispettata, tranquilla, nella tua città, ma hai sacrificato tutto ad un ideale che fosse di beneficio per tutti, anche per noi, dopo quasi due secoli.
Il 20 giugno 1833 Andrea Vochieri fu condannato a morte ignominiosa, fucilazione alla schiena, per delitto di alto tradimento, fu giustiziato alle 7 e 30 del mattino il 22 giugno ad Alessandria, sulla piazza d’armi fuori porta Marengo. Venne condotto al luogo dell’esecuzione scortato da un tamburo maggiore e dodici tamburini perché non potesse farsi sentire dal popolo. Legato e inerme, prossimo alla morte, eppure faceva paura, il potere sa quanto siano pericolosi certi uomini e certe idee. Si dice anche che fu fatto passare sotto le finestre della sua casa, dove c’erano la sorella, la moglie, le figlie, un’estrema, crudele, inutile vendetta. Pare anche che il plotone d’esecuzione fosse composto da tiratori inesperti che lo straziarono senza ucciderlo, si rese necessario il colpo di grazia alla tempia. Il suo cadavere, gettato nei fossi del bastione, fu sorvegliato perché nessuno venisse ad onorarlo, ma il giorno dopo lo si ritrovò coperto di rose.
Questo il suo testamento spirituale, una lettera trovata nella sua cella.
«Miei figli, questo è l’unico tesoro che vi lascia vostro padre prima di morire per la sua patria. Moglie mia, conserva questo scritto ad eterna memoria di tuo marito e fa che sia d’insegnamento ai miei figli ed amici. Italiani fratelli, io muoio tranquillo perché, quantunque calunniato e tradito, seppi tacere per non compromettere alcuno dei miei fratelli. Io muoio tranquillo, perché non ho voluto riscattare la mia vita dal tiranno, piemontese, come mi venne offerto, con il tradimento e con lo spergiuro. Io muoio tranquillo perché vero e costante figlio della Giovine Italia.
Infine io muoio o Italiani, imprecando con l’estrema mia voce a tutti i despoti della terra e loro alleati. Infiammatevi ad unirvi e a sacrificare il vostro sangue per la libertà, indipendenza e rigenerazione della infelice nostra patria.»
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1.La via è una breve traversa a metà di via Vespucci, prosegue con la creusa che costeggia Villa Doria e sbocca nuovamente in via Vespucci all’altezza del campeggio.
2.Pape Satàn Aleppe Via le vie! Umberto Eco ed. La nave di Teseo
3.Ho preso queste notizie sul sito Pegli da scoprire, dove peraltro non vengono citate le fonti, per cui relata refero, riservandomi di informarmi meglio, se qualcuno volesse fornire documenti più precisi o indicazioni su come trovarli gliene sarei davvero grata.
4. Tipico saluto piemontese
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