FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi


C’è la Storia, con la maiuscola, quella dei re, dei condottieri degli eserciti e delle conquiste, degli stati, delle guerre, dei trattati; quella che si studia a scuola insomma: le date e gli eventi, le interrogazioni, amata o odiata. Ma nel passato, remoto o recente, ci sono state persone semplici, ordinarie, la cui vita  era più o meno come la nostra, con gli stessi problemi,  con le stesse necessità quotidiane. Di ciò la Storia non si cura, o meglio non lo ha fatto per molto tempo, fino a quando non sono comparsi studiosi che hanno scoperto l’importanza di questo aspetto minore e negletto del nostro passato, svelandone   il valore intrinseco .

  Questo preambolo per introdurre un argomento insolito e apparentemente assai marginale: la storia delle righe e dei tessuti rigati.  La mia guida in questo percorso è Michel Pastoureau (1947) uno studioso davvero originale, brillante storico delle piccole cose, dalle quali riesce a far emergere le motivazioni profonde e i simboli che stanno alla base della  vita sociale, civile e religiosa.  Qui farò riferimento al libro La stoffa del diavolo  edizione Il melangolo,   che purtroppo non è di facile reperibilità.

Le righe, colpevoli  di un certo fastidio percettivo alla vista, hanno subito nel tempo riprovazione e riabilitazione, secondo l’epoca e il contesto. Nell’Occidente medievale, molti sono stati i personaggi reali o immaginari ai quali la società, la letteratura, l’iconografia, hanno imposto l’abito rigato, per lo più reietti ed emarginati: l’ebreo, l’eretico, il buffone, il saltimbanco, il lebbroso, il boia, la prostituta, il cavaliere codardo della Tavola Rotonda, il folle dei Salmi e il traditore Giuda. Tutte figure perturbatrici dell’ordine sociale e variamente connesse al diavolo. Da qui si dipana una storia inusuale, ma avvincente e avventurosa della stoffa rigata, e del suo potenziale ambiguo e sovversivo, fino alla riabilitazione (parziale) della nostra epoca dove spesso è associata alle immagini della freschezza e dell’igiene, i primi costumi da bagno, le magliette marinare. Non è facile dare un resoconto di questo testo, breve, ma denso,  mi  limiterò a fornire solo qualche esempio.

Nel 1254 il re francese Luigi IX, il Santo, tornò dalla Crociata portando con sé dei frati di un nuovo ordine mendicante, i Carmelitani che indossavano un mantello a righe.  I poveri frati vengono derisi e sbeffeggiati dalla popolazione, anche fuori della Francia, ma non rinunciano al loro mantello. Si scatena un conflitto che durerà decenni con l’intervento di diversi papi,  nel 1287 i frati si arrendono, ma non in tutti i paesi europei, e nel 1295 Bonifacio VIII sancisce con una bolla il divieto assoluto per i religiosi di portare abiti rigati. 

Dalla fine dell’età carolingia in poi ci sono molti documenti che provano che ai chierici era proibito indossare abiti a righe, divieti poco rispettati, vista l’insistente emanazione di decreti, accompagnati da condanne molto severe.

In seguito, invece, l’abito rigato, o un capo d’abbigliamento che le contenga,  saranno imposti ai bastardi, ai servi, ai condannati,  alle prostitute, ai saltimbanchi, ai buffoni e al boia affinché non vengano confusi con gli onesti cittadini; ma  l’imposizione delle righe  riguarda  anche i lebbrosi, gli infermi, gli zingari, gli eretici e talvolta, gli ebrei e tutti i non  cristiani.

Chiaro lo scopo di queste leggi, si tratta di imporre  una segregazione attraverso l’abbigliamento,  ognuno deve indossare l’abito adatto, prescritto per il proprio sesso per il proprio stato, per il proprio rango. La riga è il marchio per eccellenza, quello più visibile, per sottolineare la trasgressione, la discriminazione.

Anche nei testi letterari spesso  i “cattivi”, cavalieri traditori,  femmine adultere, figli ribelli, fratelli spergiuri, nani crudeli,  avidi servitori, indossano abiti a  righe.

 I personaggi negativi, a partire dalla metà del XIII secolo, verranno rappresentati, anche  in immagine, nelle miniature dei libri. Prime  le figure bibliche: Caino, Dalila, Saul, Salomé. Col passare del tempo la lista si allunga, oltre ai traditori della Bibbia si aggiungono quelli dei testi narrativi e letterari e una gran quantità di reprobi  considerati sovvertitori del buon ordine sociale, proprio  come quelli del mondo reale, delinquenti di vario genere,  portatori di gravi infermità, lebbrosi,  appestati, minorati, pazzi;  ma anche  valletti e servitori, saltimbanchi, prostitute;  e persino il fabbro assimilato ad uno stregone,  il macellaio che è un sanguinario,  il mugnaio che è un arraffone e un affamatore,  infine  i non cristiani e gli eretici. 

 Curiosa è l’evoluzione della figura di San Giuseppe e il suo rapporto iconografico con le righe. Egli  è stato, per lungo tempo in Occidente un personaggio svalutato, al limite del ridicolo e del grottesco. Nel teatro  religioso medievale viene rappresentato come uno sciocco inetto, o un avaro o un ubriacone allo scopo di suscitare il riso negli spettatori; addirittura il suo ruolo viene ricoperto molto spesso  dallo scemo del villaggio. Le  immagini dipinte o scolpite lo raffigurano come un vecchio calvo e vacillante,  mai raffigurato da solo, mai in primo piano, ma sempre in posizione defilata rispetto alla Vergine e  al Bambino.   Dal Rinascimento si assiste alla sua “riabilitazione”, da  vecchio tonto si trasforma poco alla volta  in un uomo più dignitoso,  nel vigore degli anni, raffigurato come padre putativo o artigiano carpentiere; ma ancora a lungo conserverà una certa ambiguità, viene infatti  raffigurato nelle vetrate, nelle miniature, nelle pitture su tavola  con calzoni a righe,  non più denigrato come nel Medioevo, ma non ancora del tutto promosso. La rigatura non è più un marchio d’infamia, come visto precedentemente, ma sta ad indicare uno status di diversità, di anomalia: non è un comune mortale, è padre e non è padre, figura necessaria, ma in qualche modo imbarazzante. Il rischio è quello di credere al concepimento naturale di Gesù, un’eresia che farebbe crollare tutto l’impianto teologico della salvezza.  La rigatura sta a testimoniare questo status incerto.

 Bisognerà attendere il 1870  per vederlo proclamato patrono della Chiesa universale. 

Da quanto detto è evidente che le righe non sono una semplice decorazione di superfici di diverso materiale, ma possiedono una forte valenza simbolica che è interessante approfondire.

Nel Medioevo pochissime persone sapevano leggere, la comunicazione di idee e valori  avveniva per immagini.  La struttura delle superfici era il supporto per trasmettere  attraverso le immagini contenuti e idee astratte.  Le principali strutture di superfici sono tre: la tinta unita, il punteggiato e il rigato.

La tinta unita non è molto frequente, le tecniche dell’epoca non consentono di ottenere superfici perfettamente omogenee e inoltre gli artigiani non amano gli spazi vuoti e li decorano con motivi vari.

Il punteggiato è una superficie di unico colore, impreziosita da decorazioni diverse disposte regolarmente: punti, stelle, anelli, trifogli, gigli di Francia. Il punteggiato esprime la solennità, la maestosità, la sacralità. Lo troviamo per esempio nello stemma dei re di Francia, azzurro seminato di gigli d’oro; e nel mantello della Vergine  punteggiato di stelle o di altri motivi d’oro o d’argento. A questa struttura corrisponde, in negativo,  il maculato nel quale le piccole figure sono disposte senza ordine ed hanno forma irregolare: macchie,  motivi informi che trasmettono l’idea di confusione, disordine, trasgressione:  è l’opposizione al sacro, è il demoniaco, ecco perché spesso le creature sataniche sono maculate. Riferito al corpo umano il maculato rimanda alla pelle impura di certe malattie molto frequenti all’epoca, coloro che  ne erano affetti – lebbrosi, scrofolosi, pustolosi- erano messi al  bando.

Il rigato è il contrario sia della tinta unita che del maculato, è una superficie visivamente ritmata, in movimento: indica,  con i suoi colori, il passaggio da uno stato all’altro; Lucifero e gli angeli ribelli sono spesso rappresentati coperti da righe orizzontali simbolo della loro caduta. Il rigato inoltre ha un forte impatto visivo, si impone immediatamente allo sguardo, spicca su ogni altra forma e colore, è “diverso”  e quindi il passo è breve,  dalla diversità visiva a quella sociale: gli emarginati, i reietti in quanto diversi dagli altri membri della società vengono marchiati  con le righe, che li rendono anche immediatamente riconoscibili.

Ciò vale anche per gli animali, quelli col pelame rigato o maculato sono creature da temere, la tigre la iena, perfino la zebra nel Medioevo è considerata pericolosa. Anche i cavalli che non hanno un manto uniforme sono considerati inferiori; nei testi letterari l’eroe monta un cavallo bianco, l’antagonista cavalli di molti colori, pomellato, baio, pezzato.

Riassumendo: la rigatura rappresenta un’anomalia sia  rispetto all’uniformità della superficie a tinta unita che  a quella armoniosa   della superficie  punteggiata,  con le sue le piccole figure disposte regolarmente. Questa caratteristica puramente percettiva assume  un valore  metaforico e si sposta sul piano sociale. Le righe  stanno alle forme “regolari” come i devianti  stanno ai buoni cittadini; l’abito rigato è imposto ai reietti come marchio dello scostamento dalla norma, li identifica,  li separa dalla parte sana della società e li rende immediatamente visibili.

Ma l’avventura della “stoffa del diavolo” continua.  A  mercoledì prossimo.

,[Continua…]

Grazia Tanzi

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