Oratorio della Confraternita dei SS. Nazario e Celso di Multeco: Guida breve per una visita
L’Oratorio dei SS. Nazario e Celso si trova all’inizio di salita Monte Oliveto, su di una fascia sovrastante la via Antica Romana di Pegli. È una semplice costruzione a capanna ad una sola navata con una piccola abside quadrata orientata a sud est. Sulla facciata, che dà su uno slargo della salita ed è orientata a nord ovest, sono state chiuse le finestre di varie forme e dimensioni di cui restano testimonianze in alcune foto degli anni cinquanta del Novecento.
L’oratorio dei SS. Nazario e Celso e la chiesa di Monte Oliveto sul finire dell’Ottocento. (Particolare di una foto del 1895 pubblicata sul numero unico del Bollettino parrocchiale nel 1952)In primo piano, al centro verso destra, chiusa tra i muri dei terreni delle ville, la creusa detta “fratinn-a”, che provenendo dal litorale, dopo aver incrociato la via “romana”, cominciava a salire verso il poggio della chiesa di Monte Oliveto. Ancora oggi c’è la casa che è sull’angolo tra la Creusa e la via romana. La casa a più piani e la casetta sottostante, che si incontravano subito dopo l’oratorio, sono state demolite negli anni cinquanta. La foto evidenzia bene come la piazza della chiesa sia sostenuta da due imponenti muri, il cui spigolo incombe sul sottostante oratorio.
Sia sul lato a monte, che su quello verso il mare prospiciente la salita, sono addossate costruzioni realizzate in tempi diversi. La casetta che sorge a nord est, verso l’abside, potrebbe essere quella ceduta il primo marzo1620 per la somma di £ 400 (o in tanto materiale per la costruzione del Convento) dai Carmelitani alla Compagnia dei Disciplinanti (così veniva allora chiamata la Confraternita) perché fosse adibita a Sacrestia. L’attuale sacrestia è in un locale che si trova sul lato opposto ed è adiacente al piccolo vano ove è conservata la settecentesca cassa processionale del gruppo ligneo dei SS. Nazario e Celso. Tale vano ha un portone d’accesso sul suo lato nord, che forma angolo con la parte terminale della parete laterale dell’oratorio, che qui ha la porta d’ingresso.
Sovrasta la porta dell’oratorio un bassorilievo in pietra di Lavagna raffigurante Nostra Signora del Carmine e i SS. Nazario e Celso, che pare sia stato donato alla Confraternita dai superiori in carica nell’anno 1690. Davanti alle due porte, per la lunghezza della parete, c’è un risseu in ciottoli bianchi e neri con motivi simbolici e la data 1744.
L’Oratorio sorge sul sito ove era la vecchia chiesa dei SS. Nazario e Celso, che una tradizione fa risalire ai primi secoli della cristianizzazione della Liguria e che è citata in documenti a partire dalla fine del primo millennio. Dipendeva dalla Pieve di Santa Maria Assunta di Palmaro ed era divenuta sede della parrocchia di Multedo tra il 1200 e il 1300.
Nel libro dei decreti di Mons. Bossio, visitatore apostolico nel 1582, risultano note relative alla nuova chiesa di Santa Maria, di cui si sollecita il termine dei lavori di costruzione e alla vecchia chiesa parrocchiale dei SS. Nazario e Celso, nonché ad un oratorio sempre dei SS. Nazario e Celso, che si trovava nei terreni della villa Lomellini.
Terminati i lavori della nuova chiesa regolare del Monastero di Monte Oliveto, intitolata alla Natività di Maria SS.ma, il 12 Luglio 1584 vi era trasferita la Parrocchia «coi suoi redditi, reliquie, campane e ornamenti». La nuova Chiesa acquistava così come Contitolari i SS. Nazario e Celso, mentre la vecchia Chiesa, con atto notarile del 18 Dicembre 1584, veniva ceduta al patrizio genovese Bartolomeo Lomellini, in segno di gratitudine, per avere contribuito alla costruzione e all’abbellimento della nuova. La concessione aveva luogo a determinate condizioni e, precisamente, che la Chiesa continuasse ad essere totalmente dedicata al culto divino e che in nessun modo fosse adibita a usi profani. Nell’Archivio parrocchiale si conserva copia dei citati decreto ed atto notarile.
Proprio a tale scopo i Padri Carmelitani si impegnavano, riservandosi nello stesso tempo, l’esclusivo diritto, di celebrare nella vecchia Chiesa una Messa mensile «perché non avesse a venir profanata». Dal canto suo il Lomellini si impegnava a non alienare la Chiesa, anzi a cedere la Chiesa stessa alla Confraternita locale, quando questa fosse stata in grado di acquistarla. La Confraternita, dando in cambio il proprio vecchio oratorio ubicato nei terreni dei Lomellini, con licenza del Papa Sisto V, ne veniva in possesso il 4 maggio 1586.
La vecchia Chiesa parrocchiale era però in tale stato di rovina e di abbandono che si ritenne necessario ricostruirla per intero. Ciò avvenne tra il 1604 circa e il 1606 e il 28 Luglio 1607 il nuovo 0ratorio dei Disciplinanti cominciò la sua attività religiosa come Chiesa e come Sede dei «Bianchi».
L’interno
Nel fondo dell’abside, dietro l’altare maggiore in marmo, c’è una tela di Giovanni Agostino Ratti rappresentante il martirio dei santi titolari, con la quale i confratelli dell’Oratorio sostituirono quella dello stesso soggetto andata distrutta al passaggio degli eserciti dell’Austria e del regno di Sardegna nel 1746-47. Due piccoli altari sono in fondo alla navata: quello di destra ha una tela (sempre del Ratti e firmata) raffigurante la Madonna Immacolata e i Santi Sebastiano, Rocco e Lucia; in quello di sinistra, dagli anni cinquanta del Novecento c’è una statua lignea della Madonna del Carmine.
Sulla parete di fondo e nella parte iniziale delle due pareti laterali ci sono gli scanni lignei dei Priori e dei Confratelli del direttivo, scanni che sono completati lungo le pareti da una panca continua. In alto, sulla parete di fondo c’è la tribunetta lignea che sostiene un organo racchiuso in una cassa armonica; il tutto è ornato da intagli di legno dorato, su sfondo verde chiaro e disegni ornamentali
Tutto l’interno è affrescato.
Nel 1634 Lazzaro Tavarone portò a termine il ciclo di affreschi sui tre momenti del Giovedì Santo (la lavanda dei piedi, l’ultima cena, l’orazione nell’orto degli ulivi) e su otto episodi della vita dei SS. Nazario e Celso, ovvero il battesimo di Nazario ad opera di Papa Lino; Nazario che distribuisce i suoi averi ai poveri; Nazario che predica la fede di Cristo (tra i fedeli un attento piccolo Celso e la madre); il processo e la condanna; il mare in tempesta che si placa per le preghiere dei due santi; lo sbarco dei due santi sulla spiaggia della Foce a Genova; Nazario che promuove la costruzione di chiese lungo i paesi della riviera di ponente; Sant’Ambrogio, che a Milano, ritrovatone i corpi, li fa trasportare all’interno della città. Si può ipotizzare che il pittore nello scegliere gli episodi si sia potuto confrontare con Padre Schiaffino, che, presente nel Convento di Monte Oliveto nei primi quattro decenni del Seicento, alla vita dei due Santi ha dedicato un ampio spazio nei suoi “Annali ecclesiastici.
Il Tavarone ambienta alcuni episodi nella Multedo e nella Genova del seicento: in quello dei poveri purtroppo notevolmente deteriorato dall’umidità, sono riprodotti sullo sfondo al centro l’edificio dell’Oratorio, a sinistra la torre della Villa Lomellini e in alto a destra (ormai illeggibile) la chiesa di Monte Oliveto; la predica avviene davanti al portone laterale (quello detto di San Gottardo) del duomo genovese di San Lorenzo, con sullo sfondo la chiesa di Sant’Ambrogio e del Gesù; lo sbarco propone la Foce con gli edifici del Lazzaretto, una scena di pesca, una villa e per ultima la vecchia chiesa di San Nazaro (quella abbattuta definitivamente con la costruzione nel Novecento di Corso Italia).
Un anacronismo è presente anche nell’affresco dell’Ultima cena: se si osservano gli edifici dipinti sullo sfondo si vedono due cupole sormontate dalla mezzaluna islamica a ricordare ai multedesi che Gerusalemme era allora territorio mussulmano. Da sottolineare altri due particolari: sul piedistallo della colonna che chiude la scena a destra, sono riportate la firma dall’autore e la data 1634 (LAZARUS TAVARONUS PINXIT ANNO DNI MDCXXXIV); in primo piano in basso al centro, a tradurre in modo icastico le parole del Vangelo di Giovanni (“Satana entrò in lui) è ritratto un demone ghignante che tiene una catena stretta al piede di Giuda. Il demone non era stato, invece, inserito nell’Ultima Cena, che <tavarone aveva nel 1626 affrescata per l’Ospedale di Pammatone e che, salvatasi dopo i bombardamenti della II guerra mondiale, è stata trasferita sulla parete della navata destra del Duomo di San Lorenzo.
Da notare che sulla volta, in un ovale entro il quale sono rappresentati i due santi “palmiferi”, il pittore si è firmato con le iniziali L T F, ovvero Lazzaro Tavarone “fecit” ed ha segnato la data 1631.
Il citato Ratti nel 1749 rifinì gli affreschi con disegni floreali, architettonici ed ornamentali, che completano e danno risalto ai vari quadri del Tavarone.
Sulla parete verso l’altare maggiore è affrescato l’episodio dell’Annunciazione, mentre sulle pareti a fianco e sopra i due piccoli altari e nel Sancta Sanctorum sono rappresentati, in mezzo agli ornati architettonici, Santa Maria Maddalena dei Pazzi, San Martino, San Giovanni Battista, Sant’Agostino, S. Pietro, S. Paolo, San Francesco, Santo Stefano, San Benedetto e Santa Teresa d’Avila. Sulla volta dell’abside, Dio Padre benedicente.
Il Crocifisso rappresentante Gesù agonizzante (attribuito al Maragliano e detto il “tartaruga” per il caratteristico rivestimento della croce), già esposto sull’altare maggiore e successivamente appoggiato a metà della parete di sinistra, è attualmente ai lati dell’altare. Come si legge in una richiesta presentata alla Curia nel 1896 dai superiori dell’Oratorio Pio Casanova e Tommaso Parodi, i confratelli si riunivano nella notte del Venerdì Santo per svolgere “esercizi devoti” davanti a questa venerata immagine, cui fin dal 1749 l’arcivescovo mons. Saporiti aveva annessa indulgenza di 40 gg.
Testo a cura di Silvio Zavattoni, steso rivedendo gli scritti di Don Luigi Montaldo alla luce dei documenti conservati nell’archivio parrocchiale, dei manoscritti di Agostino Schiaffino, degli studi più recenti sulla pittura genovese) Edizione settembre 2011 Stampato in proprio dalla Parrocchia
. Per approfondimenti vedi di Silvio Zavattoni il capitolo su Multedo in CUP (a cura di Maria Ricci),
Pegi nomen a fontibus Pegli, Multedo e S. Carlo, arte e storia delle Chiese, Genova, Erga Ed. 2010
–Rielaborazione grafico-digitale dall’originale a cura di Antonello Rivano–
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