Libri alla Ponentina – Il giunco mormorante
Nina Berberova “Il giunco mormorante” ed. Adelphi
A Parigi allo scoppio della seconda guerra mondiale, due amanti – lei emigrata russa, lui svedese – devono separarsi, lei resta, lui rientra in patria. Si rivedranno, casualmente, dopo sette anni a guerra finita, in Svezia.
Da questa esile trama – come rivelato da brevi e incisivi tratti di matita – emerge il disegno del raccolto mondo interiore della voce narrante (la scrittrice stessa evidentemente) la cui storia, così intima e personale, tuttavia si proietta, anzi prende avvio, sullo sfondo e per causa di avvenimenti che coinvolgono il mondo grande della Storia. Il 1 settembre del 1939 ha inizio la Seconda Guerra Mondiale, il 2 settembre, di sera, l’amante della protagonista prende l’aereo che lo ricondurrà in patria; lei per un caso fortuito riuscirà a stare con lui anche lungo il tragitto in autobus fino all’aeroporto. Una proroga concessa dal destino prima della separazione definitiva. “…qualcosa che la mia ragione non riusciva a comprendere, pur sapendo che doveva sforzarsi, che non ci sarebbe stata un’altra occasione – né domani, né dopodomani, forse neppure fra un anno.” I sette anni che trascorrono prima del nuovo incontro sono delineati – per riprendere la metafora del disegno – con brevi tratti espressivi, appena accennati, ma fortemente evocativi per il lettore. Le difficoltà della vita quotidiana in guerra, affrontata con caparbia volontà di agire, l’occupazione tedesca, la violenza contrapposta alla riflessione intellettuale, gli echi della “guerra di prima”, quella che ha portato nella città l’esule comunità russa, che pare non sfuggire a un destino di persecuzione. Tutto questo nelle 79 pagine della versione a stampa, un vero miracolo letterario.
Ci sono alcuni aspetti prettamente femminili che mi piace mettere in risalto. Uno è quello della forza d’animo della protagonista, che di fronte alle difficoltà, anche quando è devastata dal dolore, agisce, non si ripiega mai su se stessa. Lavora sia manualmente che intellettualmente, e va avanti, durante i momenti bui dell’occupazione e in quelli dolorosi della solitudine.
Un altro è quello della volontà di capire, quando lei incontrerà il suo antico amante tenterà disperatamente di chiarire con lui, di comprendere il perché di un’assenza non solo fisica, ma di comunicazione, non ha mai risposto alle sue lettere (poi si saprà perché).
E infine quello di ciò che l’autrice chiama la no man’s land, ovvero la terra di nessuno, il luogo segreto e fertile dell’interiorità femminile, un luogo di libertà e di pensiero, nel quale la solitudine è un valore, un rifugio dove riflettere e riprendere le forze; un luogo dove nessuno ci può colpire, dove siamo al sicuro dai colpi nemici. Non a caso si tratta di una locuzione bellica, definisce propriamente la zona neutra di terra che divide due trincee, due eserciti o due stati contrapposti, un luogo extraterritoriale rispetto al conflitto.
In maniera specularmente negativa si pone il personaggio maschile; la sua fuga immediata verso il proprio paese, neutrale, il giorno dopo la notizia della guerra, già fa capire con chi abbiamo a che fare. E va bene non tutti possono essere eroi, ma lasciare la donna che si ama (ma davvero la si ama?) in un momento tanto grave…
Lei ha continuato ad amarlo per tutti i sette anni di separazione, pur andando avanti con le sue occupazioni e i suoi doveri. Lui si è rifatto una vita, ha trovato moglie, ma non è questo il punto, quest’uomo si è lasciato condurre, docilmente da qualcuno che ha disposto le cose per lui, e lo ha rinchiuso in una confortevole gabbia, tenendogli fuori ogni minimo contrasto. Ha barattato l’amore con la tranquillità.
Come si vede da una piccola, esile, quasi insignificante storia emerge un mondo di riflessioni e di connessioni, questo fa la letteratura, quella vera.