Parole, parole… parolle da gatta (4)
E dopo il re, sua maestà il Belin, trattato nell’articolo precedente: la regina. Anzi, le regine. Tre infatti sono i termini, in ordine gerarchico, per designare la vulva: MUSSA, GUERSA, FIGA.
Sempre dal citato dizionario di Dolcino cominciamo dal termine meno usato, comune fra l’altro ad altri dialetti: FIGA.
Na figa, una potta: sta ad indicare tout court ragazza o donna avvenente; analogamente: Tocco de figa, pezzo di potta. Per una bellezza fiabesca.
Notevole il proverbio citato da V.E. Petrucci: Quande a figa a l’é meuja, a cazze da lê, Quando la fica è matura, cade da sola.
Il secondolemma è GUERSA, guercia, termine icastico; più frequente di figa, ma meno di mussa. Sul dizionario occupa una colonna e poche righe. Riportiamo qualche modo di dire.
Battisene a guersa, infischiarsene, non preoccuparsi per nulla.
Pe ‘na guersa!, per nulla, a nessun costo.
Rompi a guersa, annoiare, importunare una donna.
Inequivocabile l’espressione:
A l’à a guersa ciù frusta de ‘na sciarbella, ha la potta più logora d’una ciabatta.
Al contrario:
Guersa streita, euggio largo, a l’é ‘na figgia de riguardo, potta stretta, occhio largo, è una ragazza di rispetto.
A n’ammassa ciù a guersa che a guaera, ne uccide più la potta che la guerra.
L’é mëgio fâse beccä a guersa da-i öxelli che mangiâ da-i vermi, è meglio farsi beccare la potta dagli uccelli, che mangiare dai vermi: epicureo invito a godere… finché la morte non lo impedirà.
MUSSA: la vera regina è indubbiamente lei. Il dizionario le dedica cinque colonne, con frequenti citazioni dall’Eneide in genovese di Niccolò Bacigalupo, poemetto nel quale il termine è ampiamente presente.
Il vocabolo sta ad indicare la vulva, ma per estensione figurata significa anche fandonia, frottola, fisima… ed entra in numerosi proverbi e frasi fatte.
L’esclamazione: Musse! Può assumere anche il significato di un fico secco, un bel niente.
D.: T’an daeto quarcösa? – R.: Musse! (D.: Ti hanno dato qualcosa?- Un bel nulla!).
Gian, mussa e pan, Gianni, potta e pane: si dice di individuo che circoscrive rigorosamente a ciò i propri interessi.
Mussa de faero, potta di ferro: di donna eccezionalmente robusta, molto energica.
Tocco de mussa, pezzo di potta: donna bella, procace.
Avei a mussa ch’a fumma, avere la potta che fuma: di donna molto sensuale o eccezionalmente energica.
Avei a mussa imbösa (ò inversa), aver la potta capovolta: essere in collera, o di pessimo umore.
Avèi ‘na mussa comme ‘na beretta, avere la potta come una berretta; e qualcuno aggiunge da laddri (da ladri), come se i copricapi di questi ultimi avessero una particolare capienza.
Avèine a mussa pinn-a, averne la potta colma: aver raggiunto il livello massimo di sopportazione, il livello di guardia della pazienza.
Battisene a mussa, battersene la potta: infischiarsene.
Fâ giâ a mussa, far girare la potta: mandare in collera.
Armaio (ò barca) da musse, armadio (o barca) da frottole: gran mentitore.
Avèi de musse pe-a testa, avere fisime.
Ëse pin de musse, essere pieno di fisime per il capo.
Fä ‘na mussa (ò de musse) commettere un errore, una sciocchezza (o degli errori, delle sciocchezze).
A-o ciocco, a me pä ‘na mussa, al suono, mi sembra una panzana: così si esclama quando si dubita di un’asserzione.
O l’à ciù musse pe-a testa che santi da-o letto, ha più fisime per il capo che immagini di santi attorno al letto.
Quande i cavelli dan a-o gianchin, lascia a mussa e datte a-o vin, quando i capelli prendono il bianchino, lascia la potta e datti al vino. Ma qualcuno contesta il consiglio: E mi invece fasso ä reversa, beivo o vin e vaddo pe guersa!, e io invece faccio il contrario, bevo il vino e vado per potta!
Dimentichiamo ora il contenuto osceno che pure, ammettiamolo, ci ha strappato più di un sorriso, e consideriamo l’aspetto strettamente linguistico e psicologico di questi termini e locuzioni.
Questa è la parlata del popolo incolto, non di rado analfabeta; di gente che tira avanti con fatica, che durante l’anno ha poche occasioni di divertimento e di gioia. Oltre l’abbondanza occasionale dei pranzi durante le grandi feste religiose c’è il sesso: consolazione, conforto, fuga momentanea da guai e dispiaceri, ancor più che il cibo.
In questa similitudine le due gioie della vita vengono fuse in un’immagine fortemente evocativa… Avei ‘na mussa ch’a pa ‘na pappïa de trippa, avere una potta che sembra un cartoccio di trippa.
Dunque non è un caso che termini che definiscono organi e comportamenti sessuali siano al centro della lingua e fonte inesauribile di similitudini, metafore, giochi linguistici, proverbi, modi di dire.
Come si è detto precedentemente, la parlata volgare – sia essa oscena, scatologica, blasfema – nasce dalla necessità prorompente di dare sfogo a forti emozioni: pulsioni legate alle fonti profonde e universali del vivere e alla incombenza ineluttabile della morte.
A mussa a l’é un stampo, a vitta a l’è un lampo, la potta è uno stampo, la vita è un lampo. Un proverbio che, pur nella sua stringatezza, non sfigura accanto ai versi del carpe diem e del quant’è bella giovinezza. La consapevolezza della caducità del vivere, del tempo che passa, è la stessa e accomuna gli esseri umani di ogni epoca, censo, cultura.
Vita e morte, binomio inscindibile del nostro destino:
De becciä se peu moï, de mussa se vive, di chiavare si può morire, di potta si vive.
E il sesso – irriverente, satirico, forte antidoto alla paura – è presente nella situazione in cui la morte non è un destino biologico, ma è voluta dall’uomo stesso: la guerra.
A. Schmuckher, “Canti popolari liguri”,Genova, 1970, pag. 141:
A moggé de Cecco Beppe / a l’ea in ta croxe rossa: / pe få guari i sordatti a ghe dava ûn po de m… Bon, bon, bon, a-o rombo do can- non!
La moglie di Cecco Beppe / era nella croce rossa: / per far guarire i soldati/dava loro un po’ di p….!/ Bon, Bon, bon, al rombo del cannon!
E per concludere:
Moï a l’è l’ûrtima mussa che se fa, morire è l’ultima sciocchezza che si compie.
Trovo questo aforismo di una grandezza poetica straordinaria, oltre che di notevole valore linguistico in senso stretto. Rinuncio alla tentazione di analizzarlo per lasciare a chi legge il piacere di assaporarlo e di abbandonarsi alle suggestioni che può suscitare.
Mi limito ad una riflessione sulle altre accezioni, non più letterali, del termine: mussa come bugia, come fisima, capriccio, fissazione, sciocchezza.
Difficile azzardare ipotesi sul percorso che dalla designazione dell’organo genitale in quanto tale, ha portato a questi altri significati figurati. La cosa è accaduta anche per il termine belin. Intanto, il fenomeno designa, linguisticamente, una grande capacità di simbolizzazione, di metaforizzazione. Dal punto di vista psicologico potrebbe rappresentare un tentativo di smorzare la forte carica emotiva e sacrale di tutto ciò che è legato al sesso e alla riproduzione. Non dimentichiamo che in antico queste funzioni erano associate a precise divinità.
Un esempio della ricchezza lessicale e della grande capacità di metaforizzazione (non di rado poetica) della lingua genovese è rappresentata dai seguenti sinonimi.
Antonia, Barbanella, Bernarda, Bombonea, Brigna, Cassarolla, Castagna, Chitära, Çigheugna, Cilla, Ciornia, Farfalletta, Figa, Filomena, Filiberta, Fucciara, Gaggia, Gatta, Guersa, Lasagna, Lelloa, Lucia, Migninn-a, Mortä, Mostardea, Mostardella, Muccin, Pantalinn-a, Parpaggieua, Parrocchia, Pàssoa, Patatta, Pattonn- a, Peonia, Petacca, Sanfornia, Sciaccanoxe, Scigo, Teiga, Troffia.
Notevoli anche i seguenti derivati.
MUSSEZZÂ: Pavoneggiarsi, prodursi in smancerie.
Musseggiare, rende benissimo anche in italiano, e può essere esteso a tutti i generi, essendo una categoria dello spirito!
MUSSIGUA: Ragazzetta; saccentella. Usato un tempo anche Mussiguinn-a, bambina furba, vivace.
Anche questo termine è straordinario! Tutta una certa maliziosa vanità femminile condensata in una parola.
Infine, qualche citazione dal libro complementare E parolle da gatta, sempre di Michelangelo Dolcino nell’edizione riveduta e ampliata da Nino Durante, della quale troverete una recensione in Libri alla Ponentina di oggi.
Scrive l’autore nella prefazione:
Nella presente opera, insomma, ho inteso considerare – pur rimanendo nell’ottica genovese – ogni possibile accezione dell’amore umano, dal più sublime a quello più sconsolatamente p ed effimero […]
Il libro è un’autentica miniera, non solo di parole e modi di dire, è soprattutto una affettuosa rievocazione storica di usi popolari riguardanti il fidanzamento e il matrimonio, ricordi preziosi di un mondo scomparso. Il volume è reperibile, lo consiglio vivamente.
Ed ora la coppia protagonista delle battaglie amorose: OMMO e DONNA che diventano MAJO e MÖGGE
Ommo da donne, uomo da donne: individuo d’intensa attività amatoria.
L’ommo majòu o l’è ‘n oxello imbragòu l’uomo sposato è un uccello legato.
Quande l’ommo o vegne vëgio e o no pêu ciù peccâ, o piggia o Segnö co-e bonn-e e o s’accosta a l’artä: quando l’uomo diventa vecchio e non può più peccare, prende il Signore con le buone e s’accosta all’altare.
A donna a l’e’ bonn-a fin ch’a pi- scia, l’ommo fin ch’o s’addrissa; la donna è valida finchè piscia, l’uomo finchè si rizza.
L’ommo o l’é comm’e o cravetto, o ch’o meue zoeno, o ch’o diventa becco. L’uomo è come il capretto, o muore giovane, o diventa becco.
Majo de legno, marito di legno, amante.
Majo, malanni e guai, no mancan mai, marito, malanni e guai non mancano mai.
Paziensa, Ortensia: mëgio cûrto che sensa, pazienza Ortensia, meglio corto che senza.
Mëgio majo vëgio che ninte, meglio marito vecchio che niente.
«Quando a donna a vegne vêgia a perde ogni virtù, a pelle a ghe s’arrappa e a chitâra a no sûnna ciû» – «Quando la donna diventa vecchia perde ogni virtù, la pelle si raggrinzisce e la chitarra non suona più. (non dipenderà dal suonatore?)
Da-o mâ, sâ; da-a donna, mä. Dal mare, sale; dalla donna, male.
Il seguente non è il massimo del romanticismo.
No gh’è donna sensa amô, no gh’è merda sensa cû; non c’è donna senza amore, non c’è merda senza culo.
Lagrime de donna, fontanna de malissia. Lacrime di donna fontana di malizia.
A mögge di ätri a pä sempre ciù bella: la moglie degli altri pare sempre
Chi à moggë bella, tûtti ghe vêuan ben, chi ha moglie bella, è amato da tutti.
Chi piggia moggë pe-i dinae, o se ne pentiä ciù che di sò peccae: chi prende moglie per i quattrini, se ne pentirà più che dei suoi peccati.
L’ommo ch’o vêu vive in paxe, o la- scia comandâ a moggë e lë o taxe: l’uomo che vuol vivere in pace, lascia comandare la moglie e lui tace.
Questa sì che è saggezza popolare!
NOTA La grafia del genovese è materia complessa e controversa; non avendo le competenze per affrontarne i problemi mi sono limitata a riprendere quella dei libri consultati. Eventuali refusi, potrebbero essere dovuti alla trasposizione del testo dal cartaceo al file. Se me ne sono sfuggiti me ne scuso.
BIBLIOGRAFIA
Michelangelo Dolcino
E parolle do gatto ed Erga
Michelangelo Dolcino Nino Durante
E parolle da gatta Ed. Erga