-GATTI E MISFATTI-
Racconto a puntate di Pier Guido Quartero

CAP 13: PEO FRIGGE

L’appuntamento per il quale Peo si stava preparando, la mattina dopo, era importante. Non per l’argomento da trattare –raccomandare il Belinone per salvargli la patente- ma perché era importante la persona che avrebbe dovuto incontrare: un vecchio compagno di scuola che aveva fatto carriera in politica. Uno che, se avesse deciso di aiutarlo, avrebbe risolto la cosa.

Lavato, profumato e incravattato, fatto quest’ultimo che sottolineava l’eccezionalità dell’incontro in programma, uscì di casa poco dopo le nove, per recarsi all’appuntamento. Aveva tempo, e intendeva prendersela comoda, bevendosi un caffè al bar e leggendo il giornale. Non poteva immaginare che invece, per colpa di un fatto imprevisto, avrebbe dovuto correre per non arrivare in ritardo.

Aveva appena sceso una rampa di scale quando si trovò davanti una specie di granatiere. Era l’Elvira, la donna a ore che teneva in ordine, per quanto possibile, la casa di Ada. L’Elvira sarà stata alta un metro e ottanta, con una corporatura adeguata alla statura; il viso prognatico era incorniciato da ricci tinti di un colore fulvo. Indossava un grembiulone da lavoro a quadretti bianchi e rosa, col collettino bianco, che faceva contrasto con la sua aria da giocatrice di rugby.

Era intenta a guardare il vaso delle piante che Ada teneva sul ballatoio. Ora era rovesciato per terra, dietro al carrellino dove di solito era appoggiato.

-Ha visto a che punti…?- chiese al nuovo venuto.

-Cosa è successo?- domandò Peo, che non riusciva a raccapezzarsi.

-Cosa è successo non lo so, ma me lo immagino… La Signora sta chiamando il Perotti perché venga a vedere. Stavolta Peragallo non la fa franca: Le sembra il caso che si metta a fare degli scherzi di questo tipo?

-Peragallo? È stato lui?

-Visto non lo abbiamo mica visto, ma chi altri può aver combinato una cosa simile? Già ci mette sempre la carta delle caramelle, un’altra volta ci ha affogato le piante…

Peo era perplesso. Elementi certi non ce n’erano ed era difficile immaginare il neuropsichiatra nell’atto di svolgere azioni di commando contro i fiori della sua amica, ma era anche difficile pensare ad un’altra ipotesi…

Ada arrivò in quel momento. Aveva un diavolo per capello –e di capelli ne aveva tanti…

-Hai visto quello stronzo? Ho chiamato il Perotti che venga a vedere. Quello lì la deve smettere, se no…

Nel frattempo si era aperta un’altra porta sul pianerottolo e ne era uscita la Signora Currò, con gli occhi da miope sbarrati dietro alle spesse lenti degli occhiali. Cominciò subito uno scambio di considerazioni con le altre due donne. Si offrì di preparare un caffè per tutti, ma Peo, data un’occhiata all’orologio, si scusò:

-Sono in ritardo per un appuntamento importante. Devo scappare. Signora, Lei mi deve un caffè per la prossima volta…, e con quello dell’altro giorno fanno due…- e si mosse di fretta verso l’ascensore. Mentre le porte scorrevoli si chiudevano fece in tempo a vedere la testa scura di un gatto che faceva capolino dietro alla porta della Currò.

-Non mi ero mai accorto che avesse un gatto- pensò. Poi il suo pensiero si spostò al prossimo incontro con il vecchio compagno di scuola. Era un bel po’ che non si vedevano e Peo era un po’ timoroso e un po’ curioso all’idea di ritrovarlo dopo tanti anni. Soprattutto si chiedeva come avrebbe dovuto comportarsi: -Il potere logora chi non ce l’ha- si disse, citando una vecchia battuta di Andreotti- ma soprattutto può rendere molto antipatico chi ce l’ha…

Uscì veloce dal portone, allentando subito il nodo della cravatta sotto il morso della calura, e si precipitò a prendere un taxi.

Dieci minuti dopo era sotto l’austero palazzo dove il suo vecchio compagno, ora divenuto Onorevole, gli aveva fissato l’appuntamento.

Il portinaio lo guardò distratto, mentre entrava nell’atrio. Evidentemente doveva esserci la coda dei clienti tutti i giorni, e la sorveglianza era abbastanza rilassata. Prese l’ascensore che portava al terzo piano. Suonò al campanello sotto la targa di ottone della Fondazione. La porta si aprì automaticamente. Una signorina con un paio di gambe incredibili, ben evidenziate dalla minigonna nera, era seduta ad una scrivania in vetro e acciaio.

-Desidera?- gli chiese senza sorridere.

-Desidero vederti come mamma t’ha fatta- disse lui dentro di sé. Poi, a voce alta: -Ho un appuntamento con l’Onorevole…-

La ragazza diede un’occhiata al video del computer ultimo modello appoggiato alla scrivania.

-Traverso eh?- la sua voce faceva capire che di Traverso era pieno il mondo –Dovrà avere un po’ di pazienza. C’è una persona dentro per una cosa importante e c’è già un altro che aspetta…

-Dice che faccio in tempo a prendermi un caffè e a comprarmi un giornale?

-Faccia come crede- rispose Miss Gambalunga alzando le spalle -ma tenga presente che tra mezz’ora l’Onorevole deve uscire per un impegno…

Peo decise di rischiare. La persona che doveva passare prima di lui avrebbe avuto bisogno di qualche minuto per esporre il suo problema: se faceva in fretta poteva riuscire a rientrare in tempo. E poi non voleva dargliela vinta alla ragazza…

Si bruciò la bocca bevendo il caffè di corsa e pagò il giornale senza aspettare il resto. Dopo cinque minuti era seduto in sala d’attesa, sudato marcio e con il fiato grosso, con la giacca attaccata alla spalliera della sedia e il giornale aperto. L’uomo davanti a lui guardava il muro con lo sguardo fisso e le spalle curve. Dalla finestra aperta entrava l’aria calda e puzzolente della città.

Se ne stettero lì, ignorandosi, ancora per un quarto d’ora; poi, finalmente, la porta dello studio dell’Onorevole si aprì e questi ne uscì, tenendo per il braccio con fare cordiale un uomo magro, dal naso aquilino e con un ciuffo di capelli radi che gli pendeva sulla faccia, che arrivava sì e no all’altezza delle spalle del compagno.

Imponente come mole e come statura, con un lungo volto pallido che, a causa del doppio mento abbondante, andava allargandosi verso la base, assumendo la forma di un uovo incorniciato da baffi grigiastri, l’importante personaggio dava l’impressione di dilatarsi a vista. Doveva essere un bel problema per i sarti che dovevano vestirlo: bastava guardare le grinze che attraversavano nel senso della larghezza il panciotto sbottonato, come se le cuciture fossero tese al di là di ogni possibile resistenza.

La testa spuntava diritta dal collo robusto; gli occhi, con le borse gonfie, guardavano dall’alto in basso con alterigia, ai due lati di un naso adunco e aggressivo, nobile e importante nella vasta circonferenza pallida del volto.

-Nun te preoccupà, ce penzo io. ‘A commissione se rriunisce ‘a settimana prossima. Li mettemo sotto come gnente…- Come quasi tutti quelli che gravitano sulla Capitale, l’Onorevole aveva preso un accento romanesco niente male. Lui e il suo ospite borbottarono ancora un po’ a bassa voce mentre si avvicinavano alla porta, dove si scambiarono una solenne stretta di mano.

-Pure questa è fatta- disse alla segretaria –Che cc’è ora?

-C’è il Dott. psspsspss- bisbigliò la ragazza -e poi il Dott. psspsspss, ma si ricordi che tra dieci minuti deve uscire, che c’è l’incontro con psspsspss…

-Allora muoviamoci, faccia accomodare il primo- Uno sguardo neutro alla sala d’aspetto e l’Onorevole rientrò nel Sancta Sanctorum.

Il compagno d’attesa di Peo si precipitò dietro di lui senza neanche aspettare che la segretaria gli dicesse qualcosa. La porta si chiuse. Peo friggeva.
[Continua…]

Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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