FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi
Abbiamo già incontrato Michel Pastoureau negli articoli dedicati alla “stoffa del diavolo” ovvero ai tessuti rigati. L’autore è uno storico particolarissimo, forse unico, un brillante studioso delle piccole cose, dalle quali riesce a far emergere le motivazioni profonde e i simboli sottesi alla vita sociale, civile e religiosa, ed anche a quella economica. Il suo interesse prevalente si è rivolto ai colori, materia apparentemente marginale, ma che nelle società umane ha una valenza fortemente simbolica. Attraverso lo studio dell’uso dei colori si comprendono i valori di una società e il loro mutare nel tempo. Sarà dunque Pastoreau a farci da guida in questa esplorazione cromatica.
Tutto il nostro mondo è colorato, o meglio noi abbiamo una certa capacità visiva di vedere i colori, non tutti gli animali li vedono nello stesso modo. Siamo talmente immersi nei colori che non li consideriamo quasi più, se non per scelte specifiche e particolari: un abito, le pareti di casa, l’auto, cose tutto sommato secondarie, non vitali. Invece i colori rivestono un ruolo importantissimo nella vita sociale e simbolica dell’uomo; fanno capolino in molti modi di dire, segno che se ne stanno nascosti nei meandri della nostra psiche, ma pronti a balzar fuori all’occorrenza. Chi non ha mai passato la notte in bianco? o è andato in bianco? o deve mangiare in bianco? o è diventato bianco come un lenzuolo per la paura. Il verde è un bel colore richiama alberi e prati, ma essere al verde o verde di rabbia, non sono proprio condizioni desiderabili, ma c’è sempre il verde speranza. Ma se si è di umor nero, o si vede rosso per l’ira? E che dire della fifa blu?
I colori hanno significati nascosti e determinano il nostro comportamento individuale e collettivo spesso a nostra insaputa, hanno una storia antichissima e sorprendente e, a saperli interrogare, ci svelano molto della nostro passato, dell’evoluzione dei costumi, della mentalità collettiva e perfino dell’andamento dell’economia.
Prima di addentrarci in questo mondo affascinante però, definiamo il soggetto per evitare equivoci.
Dice Pastoureau:
Pubblicitari, informatici, designer, creatori di campionari e anche fisici, tutti magnificano i milioni, addirittura le decine di milioni di colori ormai accessibili o che ci circondano. Che cosa possono essere mai milioni di colori? L’occhio non può distinguerli e il linguaggio non può dar loro un nome.
I colori in realtà sono in tutto undici, di cui sei di base: bianco, rosso, nero, verde, giallo, blu; e cinque secondari: rosa, arancione, viola, grigio e marrone. Tutti gli altri sono soltanto sfumature, non sono colori veri e propri, sono solamente variazioni di colore.
Studiare i colori non è facile, la fisica ne dà una definizione scientifica, ma non è questo ciò che qui ci interessa. Se parliamo di blu, di rosso o di verde, tutti capiamo di che si tratta, anche se per ciascuno di questi colori possiamo individuare qualche sottospecie: il verde bandiera, il giallo limone, il rosso ciliegia.
Ma ora prendiamo la tavolozza e intingiamo il pennello nel blu.
Il blu è un colore molto diffuso e apprezzato in Europa, e in Occidente in generale. Considerato elegante nell’abbigliamento, è presente nella bandiera europea e in quella dell’ONU, se ne va per il mondo in camicia e jeans, ma… non è sempre stato così, il raggiungimento di questo suo “stato sociale” ha richiesto un lungo cammino attraverso i secoli e lo sviluppo delle idee.
Per molto tempo il blu non è stato presente o ha avuto una cattiva reputazione. Non lo troviamo nei dipinti rupestri, per l’antichità non era neppure un vero colore al pari del bianco, rosso e nero. Unica eccezione l’Antico Egitto, che ci ha lasciato splendidi oggetti di colore verde-azzurro ottenuto con una ricetta a base di rame purtroppo perduta.
I Romani lo consideravano il colore dei barbari, ritenevano le donne con gli occhi azzurri di facili costumi (chissà poi perché) e gli uomini ridicoli.
Non c’erano neppure le parole precise per definirlo. Le lingue neolatine quando hanno cominciato a costituirsi hanno dovuto ricorrere a prestiti: blau di etimo germanico, azraq dall’arabo; i Greci confondevano i termini blu, grigio, verde. Nella Bibbia è presente solo lo zaffiro e pochi sono i termini per definire i colori.
Nel Medioevo i colori delle cerimonie religiose privilegiavano bianco, rosso, nero e verde; ma all’improvviso tra il XII e XIII secolo fa la sua apparizione trionfale il blu.
La causa non è materiale come si potrebbe pensare, quale la tecnica di fabbricazione delle tinte, ma religiosa. La teologia in questo periodo definisce il Dio dei cristiani un dio di luce, e la luce è azzurra, almeno quella del cielo. A noi può sembrare strano, ma è in questo periodo che cominciano ad essere dipinti i cieli azzurri, che prima erano neri, rossi, bianchi o dorati. In questo periodo inoltre prende l’avvio il culto mariano, la Madonna dunque comincia ad essere rappresentata col manto celeste; a me è capitato di sentir parlare ancora, per una certa tonalità di azzurro, di “colore manto della Madonna”. La Vergine diventa, per usare un’espressione un po’ irriverente, una promotrice del blu, una sorta di influencer ante litteram. Il colore blu da barbaro e disprezzato quale era fa un balzo fino al trono divino.
Questi secoli sono anche quelli in cui gli individui cominciano ad essere classificati, compare l’uso del cognome per esempio; nascono gli stemmi di famiglia, compaiono le insegne degli artigiani e delle botteghe; servono più colori per creare il massimo delle combinazioni, e il blu è il benvenuto, insieme al verde e al giallo.
Nel 1140 viene costruita la chiesa dell’abbazia di Saint-Denis, un trionfo di colori fra i quali il blu con la funzione di dissipare le tenebre attraverso una simbolica luce divina.
Nell’ambito religioso ci si interessa molto ai colori, al blu in particolare. Fra gli uomini di Chiesa ci sono pittori e tintori, ma anche scienziati che ne indagano la natura. Per alcuni il colore è luce e quindi di origine divina, per questo deve essere utilizzato in abbondanza. Ma a questa tendenza cromofila si oppone la cromofobia di quelli che sostengono la natura materica, spregevole, del colore che quindi deve essere bandito dalla Chiesa. Fra questi Bernardo di Chiaravalle, secondo il quale i colori turbano la relazione che si deve stabilire, fra i fedeli e Dio.
Il blu divinizzato tuttavia si diffonde non solo nei luoghi sacri e nell’arte, ma conquista anche la società laica, adottato dal re di Francia, in pochi anni si diffonde fra l’aristocrazia.
La moda del blu ha come conseguenza un notevole sviluppo della tecnica, i tintori mettono a punto procedimenti per ottenere dei blu sempre più vividi e brillanti. Notevoli le ripercussioni economiche; aumenta vertiginosamente la richiesta di guado[1] la coltivazione diventa intensiva con notevoli profitti per le zone in cui si pratica. I mercanti di robbia, [2] la pianta da cui si ricava il rosso, corrompono il mastro vetraio di Strasburgo perché dipinga di blu il diavolo sulle vetrate delle chiese, per danneggiare i concorrenti.
La Riforma protestante si occuperà anche dei colori dando la preferenza al bianco, al nero, al grigio e al blu. Il pittore calvinista Rembrandt utilizza una gamma di colori molto povera, monocroma; la tavolozza del cattolico Rubens invece è un trionfo cromatico. La scelta dei colori è un problema morale anche per la Controriforma che stabilisce il nero, il grigio e il blu per l’abbigliamento maschile, le cose, come si vede, non sono poi così cambiate.
A partire dal XVIII secolo la marcia del blu diventa inarrestabile in Europa. Nei primi anni del 1700 viene scoperto il blu di Prussia, dalle Antille arriva l’indaco[3]con potere colorante più efficace del guado e a costi minori perché lavorato dagli schiavi; le zone produttrici del guado si impoveriscono a spese di quelle che importano la nuova materia.
Il Romanticismo ne promuove l’ulteriore diffusione, il giovane Werther celebre personaggio del libro di Goethe indossa una giacca blu e un panciotto giallo; i giovani europei si vestono di blu e i poeti ne celebrano la malinconica bellezza. Ancora oggi ricordiamo il celebre brano Almost Blue e il blues genere musicale il cui nome deriva dall’espressione “to have the blue devils” (letteralmente: avere i diavoli blu) col significato di “essere triste, agitato, depresso”. (Wikipedia)
E poi arrivano, nel 1850, i jeans creati dal sarto ebreo Levi Strauss; concepiti inizialmente come indumento da lavoro, negli anni ‘30 del ‘900 diventano un indumento informale, casual, da indossare nel tempo libero. Negli anni ‘60 sono, ma per poco, simbolo di ribellione, perché dice Pastoureau un indumento blu non può essere veramente ribelle.
Anche la politica si appropria del blu che in Francia diventa il colore dei repubblicani, mentre i monarchici sono bianchi e i clericali neri. Be’ noi abbiamo per i nostri politici le auto blu.
Per il blu, secondo Pastoureau, si prevedono ancora anni di successi, perché è un colore benvoluto da tutti, tanto dalle persone fisiche quanto dalle persone morali: le organizzazioni internazionali, l’ ONU , l’ UNESCO , il Consiglio d’Europa, l’Unione europea, tutti hanno optato per un simbolo blu. Lo si sceglie per eliminazione, dopo aver scartato gli altri. E un colore «gattamorta», che non disturba e riscuote l’approvazione di tutti. Proprio per questo, ha perduto la sua forza simbolica. Anche la musicalità del termine è pacata, attenuata: blu, bleu in francese, blue in inglese… È liquido e dolce. Se ne può fare un uso smodato dice Pastoureau, secondo il quale chi ama il blu si schiera con le persone perbene, i conservatori. Se lo dice lui…
Tuttavia la canzone Nel blu dipinto di blu (Volare) di Migliacci Modugno, da cui ho preso il titolo, alla sua apparizione al Festival di Sanremo nel 1958 suscitò non poco scalpore, costituì il punto di rottura con la precedente tradizione melodica. Ricordo ancora il commento della mia maestra, pia e tradizionalista,che prevedeva scarso successo per la canzone, be’ il resto è storia, anzi microstoria, apparentemente leggera come Le mille bolle blu di Mina, per vederle fatevi baciare dalla persona giusta, possiamo dare noi un consiglio a monsieur Pastoreau.
E infine non dimentichiamo che la Terra è detta il pianeta azzurro perché così appare vista dallo spazio.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Michel Pastoureau Piccolo libro dei colori Ed. Ponte alle Grazie
Michel Pastoureau Blu. Storia di un colore Ed. Ponte alle Grazie
PER APPROFONDIRE
Riccardo Falcinelli CROMORAMA Ed. Einaudi in particolare i capitoli Azzurro costoso, Indaco spettrale, Blu Bovary
Philip Ball Colore Una biografia Ed. BUR
DISCOGRAFIA
SITOGRAFIA
Cieli stellati https://www.didatticarte.it/Blog/?p=2267
[1] Isatis tinctoria (altrimenti conosciuta con il termine di guado o gualdo) è una pianta biennale della famiglia delle Brassicacee (o cruciferae). Il guado fa parte delle cosiddette “piante da blu”, da cui si ricava un colorante di questo colore.
[2] La robbia comune o garanza (Rubia tinctorum L.) è una pianta della famiglia delle Rubiaceae.Rubia tinctorum. Il suo nome vernacolare (robbia dei tintori) è dovuto al fatto che dalle sue radici i tintori ricavavano il colore detto “rosso di garanza” o “rosso adrianopoli”.
[3] Ottenuto dalle foglie fermentate di Indigofera tinctoria arbusto delle Fabacee.