Un piano “ intelligente” per la gestione degli scarti liguri
Economia circolare dei materiali post consumo senza termovalorizzazione
di Federico Valerio
Nei primi giorni di agosto del 2023, la Giunta Regionale Ligure ha approvato la costituzione della Agenzia Regionale Rifiuti, affidandone la direzione commissariale a Monica Giuliano.
Compito primario del Commissario e’ quello di favorire la rapida realizzazione dell’impiantistica per gestire gli scarti liguri, sia quelli differenziati che quelli indifferenziati.
La presentazione dell’Agenzia parla esplicitamente di Trattamenti Meccanico Biologici (TMB) per l’inertizzazione delle frazioni non differenziate e di quattro impianti (uno per provincia) per la digestione anaerobica degli scarti biodegradabili differenziati alla fonte.
Si tratta di impianti a “freddo” che permettono, insieme al riutilizzo degli scarti differenziati alla fonte, l’ulteriore recupero di materia (vetro, cellulosa, metalli, compost, metano…) da immettere in nuovi cicli produttivi.
Negli interventi del presidente Toti e dell’assessore Giampedrone, con delega ai rifiuti, ha anche fatto capolino un trattamento “a caldo” non meglio precisato.
L’assessore Giampedrone ha accennato ad un impianto “Waste to Chemical” (Composti chimici prodotti dai rifiuti), senza fornire altri dettagli: e’ possibile che si tratti di un impianto in grado di trasformare scarti non riciclabili, prevalentemente plastiche miste, in composti chimici più semplici (metano, ossido di carbonio, idrogeno ?) da usare in apposite “raffinerie” per produrre polimeri, carburanti, oli. Restiamo in attesa di chiarimenti.
Il presidente Toti, invece, in alternativa ha confermato la sua volontà che la Liguria abbia finalmente un suo “termovalorizzatore” e si e’ sbilanciato a prevedere che possa avere una capacità annuale di 200.000 tonnellate e, se sarà il caso (quale ?) che possa avere anche una capacità maggiore (quanto?) , in modo che la Liguria possa offrire servizi di “termovalorizzazione” ad altre regioni (quali?).
Dove si faranno tutti questi impianti non si sa. La scelta della localizzazione sarà compito del Commissario che, bontà sua, prima consulterà i Sindaci interessati.
Una consultazione doverosa, ma siamo pronti a scommettere che il Commissario ignorerà le popolazioni direttamente interessate, saltando a pie pari, in nome della continua infinita emergenza italica, l’obbligo di coinvolgerle direttamente, come prevedono le procedure per la Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA).
A riguardo, anche Matteo Campora, assessore all’ ambiente, ai rifiuti e all’energia del Comune di Genova si è sbilanciato, preannunciando che il Comune darà parere favorevole, qualora la Regione chiedesse a Genova di ospitare il “ termovalorizzatore “sul suo territorio.
E anche in questo caso, ci scommettiamo, ai genovesi non sarà chiesto che cosa ne pensano.
E così, dopo ventiquattro anni dallo scampato pericolo di vedere un bel “termovalizzatore” sotto la Lanterna (http://federico-valerio.blogspot.com/2018/), sembra che si debba ricominciare da capo.
Come se nulla fosse successo, nel frattempo, in merito a moderne e “sostenibili” gestioni dei nostri Materiali Post Consumo, rese obbligatorie dalle Direttive Comunitarie e dal buon senso.
E visto che ci costringono a ribadire i tanti motivi per cui “termovalorizzare” i rifiuti è una scelta stupida, cominciamo a spiegare per quali motivi, un impianto che brucia scarti urbani, dal punto di vista energetico, non valorizzi un bel niente, anzi sia un costoso e insensato spreco energetico.
Gli unici scarti urbani degni di attenzione, ai fini energetici, sono le tante plastiche “usa e getta”. La plastica maggiormente presente nei nostri mastelli per la differenziata e’ il polietilene, sotto forma di imballaggi, film, flaconi per detersivi e contenitori di alimenti…
Per produrre un chilo di polietilene, partendo dal petrolio e arrivare al prodotto finito, occorre usare 76 MegaJoule (MJ) di energia, sotto forma di calore e elettricità, prodotti con petrolio, carbone, metano, fonti energetiche rinnovabili.
Un chilo di polietilene, sia nuovo che usato, ha un potere calorifico di 46 MJ: questo significa che bruciando un chilo di polietilene si produce energia termica pari a 46 MJ, una quantità nettamente inferiore all’energia usata per produrre quel chilo di polietilene usato impropriamente come combustibile: 76 MJ.
Ma per le inevitabili leggi della chimica, della fisica e della termodinamica, solo una parte di quei 76 MJ, con il “termovalizzatore”, si può trasformare in energia elettrica e calore utile.
Visto che l’efficenza dei termovalizzatori italiani oggi in funzione si aggira sul 25%, l’energia che un “termovalorizzatore” mette a disposizione, “valorizzando” con il suo incenerimento, un chilo di polietilene di scarto, si riduce a 12 MJ.
Con 12 MJ di energia, volendo, dopo aver estratto nuovo petrolio, averlo raffinato e trasformato in un impianto petrolchimico, in un nuovo polimero, si ottengono solo 160 dei 1.000 grammi di polietilene termodistrutti dall’incenerimento con recupero energetico!
E il bilancio energetico fatto per il polietilene, vale sostanzialmente per tutte le altre plastiche, così pure per carta e cartone.
E’ chiaro ora perché, ridurre la produzione di beni “ usa e getta”, riusare, riciclare, sono scelte prioritarie e obbligatorie per realizzare, in Italia e in Europa, una economia circolare, efficiente, in grado di durare nei secoli a venire, a basso impatto ambientale e climatico?