Il Leudo, padroncino lento del mare
Dal Medioevo ai giorni nostri, la storia della tipica imbarcazione ligure
di Corrado Sotgiu
Ognuno di noi, ad un certo punto della propria vita, si è inevitabilmente soffermato a guardarsi intorno e a tracciare un bilancio dei propri rapporti con il paese in cui vive. Ineluttabile, per chi abita in un piccolo borgo marinaro come Sestri Levante, ritrovarsi a parlare con le figure umane che, per un verso o per l’altro, sono diventate parti integranti del paesaggio. Sono quelle persone che la gente del luogo conosce da sempre e che pure i viaggiatori, soliti ritornare nello stesso posto di villeggiatura, imparano ad amare.
Osservare i loro volti solcati dalle rughe del tempo, le loro mani ruvide per il duro lavoro e ascoltare le loro voci che riportano in vita storie lontane, diventa essenziale per conoscere a fondo il luogo in cui si vive. Tramandare di generazione in generazione le memorie di un’epoca lontana, di un mondo scomparso, di modi di vita totalmente cambiati dal corso del tempo, è essenziale per non dimenticare, per avere consapevolezza di chi siamo e da dove veniamo. Richiamare e mantenere vivida nel tempo la memoria delle nostre radici è dovere di tutti noi.
A Sestri Levante, uno degli angoli più magici della Liguria, ogni pietra e sasso parla della perfetta armonia tra l’uomo e la natura che lo circonda. L’incontro tra sabbia, acqua e cielo costituisce la magia del luogo. Bastano poche chiacchiere con la gente del posto, per ritrovarsi a parlare del mare e per capire quanto abbia rappresentato per i nostri avi. Commercio, pesca, turismo e tutti i mestieri che oggi classificheremmo con il termine indotto come i calafati, i maestri d’ascia, i maestri bottai e i salatori d’acciughe traggono la loro esistenza dal mare.
Un tempo la spiaggia era un cantiere a cielo aperto dove venivano aggiustate le barche, sistemate le reti, disteso il bucato a ridosso dei leudi e dove razzolavano persino animali da cortile quali galli e galline. Nella parte più a monte dell’arenile, mentre i bambini stavano vicini ai vecchi, che non perdevano occasione per narrare loro storie di mare, le donne aggiustavano le reti e rammendavano le vele dei leudi.
Sentire nominare più volte dagli abitanti del luogo la parola leudo, porta inevitabilmente a domandarsi: “Cosa sono i leudi?” Domanda semplicissima per i sestresi (o sestrini) che sono da secoli legati a questi mezzi di trasporto di una volta, diventati attrazione turistica e peculiarità del luogo ai nostri giorni. I leudi, chiamati così perché le loro forme panciute ricordano quelle del liuto, sono agili e piccole imbarcazioni (circa 15 metri di lunghezza con una capacità di carico di trenta tonnellate) che, dal basso Medioevo fino agli ultimi decenni del 1900 era possibile vedere solcare il mare del Tigullio. Peculiarità di questo mezzo di trasporto via mare, erano la tipica armatura a vela latina (probabilmente di derivazione araba), l’albero inclinato, il bolzone assai pronunciato della coperta e la forma affusolata dello scafo. Quest’ultima caratteristica era essenziale, perché permetteva all’imbarcazione di essere varata ed alata sulle spiagge.
Ciò era molto importante, in quanto la politica della Repubblica Genovese non permetteva la costruzione di porti che potessero risultare in concorrenza con quello genovese. I leudi, denominati “latini” a Sestri Levante e “rivenetti” a Riva Trigoso (entrambe le cittadine ne furono a lungo il regno), venivano impiegati per il trasporto di svariate merci, fra cui l’ardesia di Cogorno, le ceramiche di Albisola, le lastre di ardesia e pizzi fatti al tombolo, il carbone, la sabbia utile nelle costruzioni, il sale, l’olio ligure, il pecorino sardo, i barili di alici sotto sale e il vino.
Il leudo della famiglia Castagnola, ad esempio, era solito viaggiare fino all’Elba per caricare botti di buon vino bianco. Nel 1714 persino la regina di Spagna Elisabetta Farnese, che soggiornò a Sestri Levante, usufruì di questa celebre imbarcazione locale per raggiungere il suo sposo Filippo V. Grazie ai leudi, la storia della Liguria, si è intrecciata con quella di tanti altri popoli, infatti, anche se i rapporti più intensi si svilupparono con le isole italiane, i commerci portavano verso la Francia, la Spagna e l’Africa settentrionale. I leudi erano imbarcazioni solide, che tenevano bene il mare anche se alcuni ebbero un triste destino come l’“Aiuto di Dio” che naufragò sulle secche toscane, allorché il timoniere si addormentò durante la bonaccia.
Sorte più benevola ebbe quello dei fratelli Castagnola che scampò ad una tremenda burrasca con onde enormi e venti a più di 100 km/h, grazie all’intervento provvidenziale della nave “Presidente Taylor”. A fine Ottocento-inizio Novecento, i leudi erano parti integranti della comunità locale, in quanto la loro gestione coinvolgeva intere famiglie. Al termine della stagione estiva, il ritorno a terra dell’imbarcazione, era caratterizzata dall’alaggio. Tutti si radunavano sulla spiaggia per scaricare le merci e partecipare alle manovre necessarie per metterli in secca al riparo dalle mareggiate invernali. Mentre un sestrese ci narra dell’importanza assunta dai leudi nell’arco della storia, inevitabilmente ci sovviene la domanda: “In quale periodo e per quale motivo, ad un certo punto, vennero arenati sulle spiagge, rinunciando per sempre all’utilizzo di questi preziosi mezzi di trasporto?” La risposta è semplicissima e si ricollega allo sviluppo delle infrastrutture di rete dei trasporti.
Fino alla Prima Guerra Mondiale, in Liguria, il leudo era ritenuto un mezzo essenziale per il trasporto delle merci in quanto il trasporto via mare consentiva di non intasare con pesanti automezzi la costa. Nel secondo dopoguerra, tuttavia, le migliorie apportate alla rete stradale e la costruzione delle autostrade, favorirono il trasporto su gomma e i leudi, tirati in secca non solo non punteggiarono più il mare, ma iniziarono a scomparire. Il loro ricordo rimase però vivido nella memoria delle genti e alcuni, col tempo, vennero sottoposti ad un’opera di restauro.
A tal riguardo, alla fine del nostro viaggio, è doveroso ricordare l’Associazione “Amici del leudo” fondata nel 2011 che si è occupata della restaurazione dell’ultimo leudo in grado di navigare denominato il “Nuovo aiuto di Dio”. Tale leudo, costruito nel 1925 in sostituzione dell’“Aiuto di Dio” naufragato vicino a Grosseto, apparteneva alla famiglia Zolezzi ed era adibito al trasporto di vino.
Era un’imbarcazione snella ed elegante in legno di pino in grado di trasportare 200 ettolitri di vino in botti poste sulla coperta lunata. All’interno facevano capolino un paio di cuccette e un armadietto per frugali provviste. A bordo solitamente erano presenti 4 marinai. L’originalità di questo leudo era il modo in cui avveniva lo sbarco delle botti: calate in acqua in prossimità della riva legate ad una corda venivano trainate sulla sabbia con la sola forza delle braccia dei marinai. Per l’alaggio occorrevano ben 50 uomini e 12 h di lavoro!
Dopo essere stato protagonista di svariate avventure, quali un sequestro durante la guerra e un naufragio, il “Nuovo Aiuto di Dio” fu trasformato in un’imbarcazione da diporto per essere, infine, accantonato sulla spiaggia di Sestri Levante. Soltanto nel 2011, grazie al lavoro encomiabile del maestro d’ascia scozzese Stewart Hyder e di molti volontari, fu sottoposto ad una laboriosa opera di restauro e “riportato in vita”. Il “Nuovo Aiuto di Dio”, durante l’estate, solca di nuovo il mare, mentre in inverno viene alato sulla spiaggia dei Balin nella Baia delle Favole. È oggi a disposizione delle scuole che tramandano nel tempo la cultura della vela latina e di tutti coloro che vogliano provare cosa significa navigare su questa storica imbarcazione. L’Associazione ne ha chiesto l’inserimento nel patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Corrado Sotgiu