Alle origini della parlata e delle tradizioni genovesi
GIOCHI DI STRADA: LA ZARDOA
La zardoa o ziardoa (a Voltri gioddoa) era una specie di trottola di legno la cui forma ricordava una pera, con un perno metallico nella parte inferiore su cui farla girare. Per far ciò occorreva avvolgerla lungo le sue pareti scanalate con una cordicella di cotone intrecciato (a taragninn-a) e, a operazione ultimata, si lanciava con decisione verso terra tenendo il capo della taragninn-a. Si doveva centrare un cerchio tracciato con il gesso o con un pezzo di mattone, e il regolamento prevedeva chela trottola (certo che continuare a chiamarla così rischio l’anatema, ma dovrò farlo per non essere troppo ripetitivo) dovesse girare su se stessa con regolarità. Nel caso in cui succedeva il contrario si pagava pegno sistemando la trottola (sic…) dentro il cerchio alla mercé degli altri concorrenti che dovevano cercare di colpirla per farla uscire dal cerchio e, solo in quel caso, il suo proprietario ritornava a giocare. Ma poteva anche accadere che la zardoa, centrata in pieno, si spaccasse in due come una mela e allora l’autore del tiro killer aveva il diritto di appropriarsi del pernetto metallico in quanto vigeva la regola dello “spaccalegno piggia færo.”
Tutto ciò, inevitabilmente, causava il disappunto se non addirittura le lacrime del proprietario che, in un certo qual modo, avrebbe dovuto recitare il mea culpa in quanto si spaccavano più facilmente quelle di legno di cattiva qualità, come le zardoe tornite con il pino, che noi chiamavamo col dispregiativo “pimpinaccio”. Certo, costavano molto meno di quelle di tek o di rovere, ma in questo caso, allora come non mai, emergeva la validità del detto “chi spende de ciù spende de meno.”
Allegri!!
Nino Durante
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