Piccole storie in bianco e nero
Ognuno di noi ha un cassetto, una vecchia scatola piena di foto in bianco e nero di persone, forse parenti, di cui oramai si è persa memoria. Guardarle una ad una, cercare di ricostruire un ricordo, risalire ad un nome, ad un’epoca, sembra un’impresa dovuta, un piccolo riconoscimento ad una vita compiuta. Anche la rete è diventata un immenso vecchio ripostiglio di volti a cui tuttavia è possibile restituire una memoria grazie alle tracce che vengono conservate negli archivi e nelle infinite interazioni che ora sono possibili. Questa rubrica è il frutto del tentativo di riportare alla luce queste memorie
Patrizia Brugnoli
Ise Frank (1897 – 1983)
Ise Frank è stata un personaggio fondamentale per il Bauhaus, il movimento che ha cambiato la storia del design. Il suo nome è tornato sulla scena culturale grazie ad un libro di Jana Revedin pubblicato di recente: “La signora Bauhaus”.
Questa, in breve, la sua storia.
Quando a 26 anni Ise conobbe il suo futuro marito non ne ebbe una grande impressione, In effetti, Walter Gropius, il famoso architetto fondatore del movimento Bauhaus, non era un grande oratore. Tuttavia, Ise seguì con interesse la conferenza sulla filosofia del movimento e decise di approfondire la conoscenza di quel quarantenne un po’ segaligno e poco comunicativo
Benestante di famiglia, Ise abbandonò la carriera di scrittrice, si sposò nello stesso anno e si dedicò al Bauhaus a tempo pieno, diventandone il riferimento organizzativo e divulgativo: ogni testo, ogni articolo pubblicato da Gropius veniva redatto e corretto da lei. Ma l’apporto di Ise fu anche tecnico in quanto contribuiva alla definizione dei progetti ideati: tra tutti si ricorda la progettazione della cucina funzionale, che rappresenta ancora oggi il riferimento per la cucina moderna così come la conosciamo, elettrodomestici compresi.
Per la sua costante presenza e l’importanza del suo lavoro, fu soprannominata “La Signora Bauhaus”.
Ise Frank Gropius fu anche la prima a manifestare preoccupazione per l’evoluzione politica della Germania, e a presagire i pericoli della salita al potere del partito nazista. Iniziò infatti a tessere una fitta rete di corrispondenze e a proporre esposizioni anche fuori dal Paese, al fine di garantire al movimento una risonanza che avrebbe reso difficile chiudere la scuola o, nel peggiore dei casi, fornire agli artisti i contatti per poter continuare a svolgere il proprio lavoro anche all’Estero. Ideò e produsse anche una serie di scritti, corredati dagli scatti dell’amica fotografa Irene Hecht, che sopravvissero alla Seconda Guerra Mondiale e, ancora oggi, danno testimonianza degli arredi, delle attività, della vita all’interno della scuola del Bauhaus, ma anche degli interessi e dei viaggi della signora Bauhaus.
Il partito nazista ne fece presto uno dei suoi obiettivi e ne decretò la chiusura nel 1933. Dopo di che ci fu letteralmente una diaspora. Ise e Gropius fuggirono prima a Londra e poi negli Stati Uniti dove a Gropius fu chiesto di insegnare ad Harvard. Ise immaginò di poter dare il suo contributo da donna colta ed emancipata alla cultura statunitense: si sbagliava, forse per la prima volta, ma si sbagliava. I suoi articoli vennero rifiutati uno dopo l’altro dall’editoria, succube al patriarcato della società americana del tempo, che intendeva limitare le pubblicazioni femminili alla sola organizzazione domestica e familiare.
Ise si impegnò quindi, ancora una volta, a migliorare la stesura delle opere del marito che, gentilmente, le dedicò quei testi. Partecipò anche alla trasformazione della propria casa in un manifesto del Bauhaus e la donò alla Società storica del New England che ancora si occupa dei restauri e del mantenimento di un monumento che ad oggi conta decine di migliaia di visite.
E’ di una qualche consolazione vedere che il lavoro interessante e di alto livello delle donne del Bauhaus viene oggi rivelato e posto all’attenzione del pubblico che merita.
Per approfondimenti di facile lettura proponiamo:
https://www.dinamopress.it/news/le-donne-del-bauhaus/
oltre al libro citato all’inizio della nostra storia: “La Signora Bauhaus”, di Jana Revedin.