Il mondo in città – America latina: Ecuador, presidenziali e violenza
America latina
Ecuador, presidenziali e violenza
Cosa faremmo se il nostro paese, nel giro di 5 anni, passasse dall’essere sicuro come la Groenlandia a pericoloso come la Colombia o il Brasile?
Per fortuna dobbiamo soltanto sforzarci a immaginare lo scenario, ma non dobbiamo rispondere.
Invece i milioni di ecuadoriani, in patria e all’estero, si pongono il problema.
Dopo anni in cui il tasso di omicidi è calato costantemente (dal 2009 al 2017), l’Ecuador è passato da 5,7 omicidi ogni 100 mila abitanti nel 2017 a 25,5 nel 2022. Quasi cinque volte tante, e più di 4 omicidi su 5 sono legati al narcotraffico.
Il motivo principale per cui il paese si trova in questa spirale di violenza è che l’Ecuador è crocevia tra Colombia e Perù, entrambi paesi dove i cartelli producono e distribuiscono droga. Ma ancor di più è che i cartelli, anche quelli messicani, vogliono controllare il porto di Guayaquil, il terminal perfetto per collegarsi facilmente con gli USA e l’Europa.
La città perfetta da cui far partire la cocaina, città in cui i tassi di omicidi sono ancora più alti rispetto la media nazionale.
La guerra tra cartelli della droga è cominciata nelle carceri, all’incirca due – tre anni fa, ed è arrivata questa estate nelle urne: corruzione, violenza hanno dominato il dibattito pubblico e il candidato alla Presidenza Villavicencio è stato assassinato durante un comizio.
La tentazione della mano dura è dietro l’angolo e i modelli nel mondo e in America latina non mancano, come per esempio El Salvador. Eppure i candidati giunti al ballottaggio, che si terrà il 15 Ottobre, si presentano pronti a fare il duro lavoro delle riforme radicali e della lotta alla corruzione. Sia la socialista González che il centrista Noboa parlano di durezza verso la corruzione nella polizia, l’esercito, nelle carceri e altrettanta durezza verso le cause socioeconomiche della crisi.
Prima di tutto c’è da mettere mano alle carceri, dove dal 2020 oltre 500 omicidi sono stati commessi per mano del narcotraffico trasformatosi in gang una volta dietro alle sbarre. Le prigioni in Ecuador si sono trasformate in comunità autogestite dalla criminalità organizzata, ed è nelle carceri che il gruppo Choneros ha iniziato a dividersi in tanti diversi gruppi di narcotrafficanti in guerra tra loro.
Probabilmente l’emergenza potrà spingere il prossimo governo a mettere ordine e allentare la pressione al sistema carcerario dando i domiciliari a chi è dietro alle sbarre per reati minori, rendendo così i numeri più gestibili. Ma rimane comunque il fatto che diversi agenti nelle carceri hanno lasciato numerose armi finire direttamente tra le mani delle gang in prigione, e alcuni giudici abbiano riconosciuto troppo facilmente la buona condotta a leader criminali che sono poi tornati in Colombia a gestire i traffici di droga.
Quando la violenza dei numerosi cartelli della droga si è riversata dalle carceri alle strade il paese si è reso conto di come la polizia fosse priva di fondi e di mezzi, e che il successivo intervento dell’esercito sia stato un fiasco perché i militari non sono preparati a uno scenario simile.
Per cui l’uccisione del candidato Villavicencio il 9 Agosto sarà probabilmente l’inizio di un nuovo vortice di violenza, e non la fine. Il problema è troppo grande per essere risolto senza che lo Stato non sia costretto prima a dover dar battaglia. Intanto nelle retrovie il traffico di cocaina è destinato ad aumentare, poiché in Colombia aumenta la produzione della droga e circa un terzo esce dal paese attraverso l’Ecuador.
È difficile cogliere un solo punto d’origine della situazione attuale dell’Ecuador in merito al narcotraffico e la violenza, ma sicuramente le carceri hanno svolto un ruolo fondamentale.
Per quanto tardi però va dato merito all’elettorato ecuadoriano che nelle urne non ha risposto alla naturale paura con la mano dura o volgendo gli occhi altrove, ma hanno premiato due candidati che, tra mille difficoltà, vogliono intraprendere la strada in salita delle riforme.
L’Italia ha una delle peggiori situazioni delle carceri in Europa (sovraffollamento, torture e violenza, abuso del carcere preventivo, etc.). E siamo senza dubbio un paese di passaggio della droga oltre che di consumo.
Gli ecuadoriani, al di là delle difficoltà che incontreranno e della corruzione dilagante, ci insegnano a non voltarci dall’altra parte o riporre vane speranze in chi urla di più.
Lo Stato e il senso di comunità si affermano quando si è grado di lavorare assieme verso obiettivi comuni. L’augurio perciò che possiamo fare alla prossima o prossimo Presidente, e all’Ecuador tutto, è di saper remare nella stessa direzione fino a essere un paese meno violento, più sicuro e pacifico.