Alle origini della parlata e delle tradizioni genovesi
LE CASTAGNE
Con l’avvento dell’autunno, il mio disappunto per il dover tornare fra i banchi di scuola, veniva mitigato dal fascino che questa stagione ha sempre esercitato su di me. Molteplici erano gli aspetti determinanti, ma uno su tutti era la comparsa di Sua Maestà La Castagna. Già era sufficiente osservarne i ricci caduti a terra, con relativa fuoriuscita del contenuto, per rallegrarmi, ma l’aspetto più accattivante era senza dubbio quello della sua fruizione. Entrava in scena allora la padella bucherellata (a poëla da rostïe) per preparare, appunto, le caldarroste che, una volta pronte come d’altronde bisognerebbe continuare a fare, venivano fasciate nella carta straccia (papê de strassa o papê matto) per essere poi avvolte in una salvietta (‘na piccaggetta). Il caldo umido all’interno ammorbidiva la buccia e sarebbe bastato un deciso strusciare (strofoggiâ) dell’involucro per ottenere un prodotto pronto all’uso esemplare. A questo punto mia nonna Giulin, la donna dalle mille risorse, estraeva l’asso dalla manica e schiacciava delicatamente ogni castagna con il fondo di un bicchiere in modo da ottenere dei medaglioni che, impilati quasi fino all’orlo in un altro bicchiere, venivano poi ricoperti con del vino rosso. Dopo una debita attesa avveniva la consumazione attraverso un religioso prelievo mediante un cucchiaino. Inutile dire che si trattava di una vera leccornia!
Ma la castagna poteva essere preparata in altre due maniere che, francamente, non hanno mai suscitato in me un particolare entusiasmo: la prima attraverso una bollitura dopo essere stata spogliata della buccia e di buona parte della pellicola interna (a luggia); la seconda, sempre in pentola a bollire, nella versione intonsa con la buccia. Nel primo caso si otteneva come prodotto le peæ o piæ, che venivano usate per preparare un piatto classico della sera: riso, castagne e læte. La bollitura integrale invece dava origine alle ballotte (i balletti) che, estratti dalla pentola, lasciavano un’acqua di cottura dal colore ambrato, dovuto alle sostanze coloranti contenute nella buccia che non aveva alcuna proprietà né alcun sapore. Da cui il detto genovese a l’è ægua de balletto, per indicare una bevanda insignificante. I balletti raggiungevano un certo grado di nobiltà quando venivano usati per la confezione della tradizionale collana nella ricorrenza dei Defunti del 2 novembre. In seguito, spogliate e fatte essiccare, le castagne diventavano una sorta di caramelle da ammorbidire in bocca prima di ingerirle dopo una piacevole e prolungata masticazione.
Allegri!!!
Nino Durante
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