FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi
Fiat lux. Schiariamoci le idee
Nel 1784 la rivista tedesca “Berlinische Monatsschrift” pose ai lettori la seguente domanda: Che cos’è l’illuminismo? Immanuel Kant rispose. A più di due secoli di distanza, una risposta ancora illuminante (scusate il bieco gioco di parole).
Su Wikipedia troviamo questa definizione.
L’illuminismo fu un movimento politico, sociale, culturale e filosofico che si sviluppò in Europa nel XVIII secolo (dal 1688 al 1789). Nacque in Francia, dove ebbe il suo massimo sviluppo, poi in tutta Europa, e raggiunse anche l’America.
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In senso lato, il termine “illuminismo” è passato a significare genericamente qualunque forma di pensiero di tipo razionalista che voglia “illuminare” la mente degli uomini, ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione servendosi della critica, della ragione e dell’apporto della scienza.
La risposta di Kant sarà lo sviluppo di questi concetti chiave: l’uso della ragione per l’analisi della realtà e per il miglioramento della vita pubblica. Una “postura di pensiero” (rif. Michel Foucault) che prevede il ragionare con la propria testa: l’autonomia di giudizio, di scelta e di confronto, ed espressione, liberi da imposizioni di verità da parte di qualsivoglia autorità o tradizione.
A questo punto si rende necessaria una premessa. Questo è un saggio filosofico che, pur nella sua brevità, affronta diversi temi; in questa sede non è possibile qui esaminarli tutti. Molto più semplicemente ci proponiamo di mostrare che l’assunto portante del lavoro kantiano mantiene intatta la sua validità dopo due secoli e, ahimè, non si è ancora realizzato. Vediamolo: tranchant, inequivocabile.
L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro.
Nelle grandi opere come in quelle minori, la filosofia di Kant sottende sempre l’ideale etico della dignità umana, la libertà di giudizio e di pensiero, del dissenso motivato, il rifiuto di farsi dirigere, passivamente, da istanze esterne: politiche, religiose, consuetudinarie. Sapere aude è il motto riassuntivo, che egli prende dal poeta Orazio; letteralmente: osa sapere, ovvero abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza. Il filosofo non fa sconti, è l’individuo stesso responsabile della propria minorità. Per pigrizia e per viltà, molte persone lasciano che altri pensino per loro e che, in buona sostanza, dirigano la loro vita. E sono proprio queste presunte autorità superiori, che, con tanta benevolenza si prendono cura di noi, a farci credere che diventare maggiorenni nel pensiero sia difficile e pericoloso. Lo fanno credere in special modo alle donne, dice Kant. (Peccato che poi non sviluppi il concetto).
Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Eppure […] tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare.
E, si può aggiungere, coloro che soggiogano le menti non si limitano alla descrizione dei rischi; la storia ci ha dato tragici esempi della crudeltà con cui sono stati puniti, in varie epoche, i tentativi di emancipazione intellettuale e di azione.
[…] È dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. […] È realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova.
La storia, dice Kant, ci ha mostrato come i popoli si sono ribellati, attraverso le rivoluzioni, da oppressioni di vario genere, dittature, governi dispotici, invasioni e conquiste. La nostra stessa nazione democratica è nata grazie ad una doppia liberazione: da una dittatura e da una invasione del nostro territorio.
Milioni di persone, acclamanti in piazza, avevano lasciato che altri pensassero per loro, si erano affidati, per un ventennio, ad un governo che aveva disposto della loro mente, con una propaganda ideologica capillare e invasiva, dirigendo anche le loro vite private, fino alla catastrofe finale nella quale si è rischiato di perdere l’indipendenza nazionale.
Si è resa necessaria una rivolta che ha richiesto lo sforzo e il sacrificio, anche estremo, di molte persone, tuttavia, tutto questo sarebbe stato inutile se non fosse stato seguito da un cambiamento radicale nel modo di pensare. E dopo la liberazione bisognò ricostruire tutto ciò che era andato distrutto, nella vita materiale e nelle idee.
Per quanto difficile e dura, la rivolta fisica all’oppressione è cosa relativamente rapida. Più lungo, arduo e tortuoso, il cammino che porta alla riforma del pensiero – allo spirito critico, alla capacità dei cittadini di esercitare libertà di opinione, sole condizioni per l’esercizio democratico – e che tuttavia non è mai raggiunta una volta per tutte. La liberazione del pensiero avviene a livello individuale, ma viene poi messa al servizio della collettività, nella dialettica democratica che regola i rapporti civili e sociali.
Per tornare alla nostra storia recente, la conquista dell’autonomia e dello stato democratico è stata possibile anche perché, nelle tenebre della dittatura, qualcuno aveva conservato quella luce della ragione che consentiva di analizzare la situazione e di comprenderne aberrazioni e ingiustizie, una luce che si è diffusa fra uomini e donne d’ogni condizione, che ha “rischiarato”, le loro menti, come dice Kant, e che ha portato alla vittoria finale.
Il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo, ed esso solo può realizzare il rischiaramento tra gli uomini.
Pubblico uso della propria ragione: la libertà di pensiero non è solo un diritto strettamente individuale, per quanto inalienabile, è strumento di buon funzionamento della comunità. Kant scriveva più di due secoli fa, ma le sue riflessioni, pur nate in un contesto diverso, mantengono tutta la loro attualità, perché sono universali ed hanno costituito il seme da cui è nata la concezione moderna dello Stato.
Lo studioso ha il dovere come cittadino di manifestare pubblicamente il suo pensiero sull’inadeguatezza e sull’ingiustizia delle leggi. Oggi noi sostituiamo studioso, con intellettuale e gli affianchiamo tutte le istanze democratiche e civili, variamente organizzate, quali giornali, associazioni, partiti, movimenti ecc. che partecipano al dibattito culturale e politico per il cambiamento. La sostanza, tuttavia, resta immutata: il diritto di esprimersi su tutto ciò che riguarda la cosa pubblica e di segnalarne, se è il caso, inadeguatezze o ingiustizie, al fine del loro superamento.
[…] nei riguardi della legislazione […] non si corre pericolo a permettere ai sudditi di fare uso pubblico della loro ragione e di esporre pubblicamente al mondo le loro idee sopra un migliore assetto della legislazione stessa, perfino criticando apertamente quella esistente.
Il diritto e il dovere e, aggiungerei, il coraggio, di esercitare la propria autonomia di pensiero, vale per tutti anche per gli uomini di chiesa, neppure l’autorità religiosa può imporre norme e principi indiscutibili. Un’affermazione rivoluzionaria. Il sacerdote non è libero perché esegue un incarico altrui, in una comunità. Ma al di fuori di questa, nel mondo,
egli gode di una libertà illimitata di valersi della propria ragione e di parlare in prima persona. Che i tutori del popolo (nelle cose religiose) debbano a loro volta rimanere minori a vita, è un’assurdità che tende a perpetuare nuove assurdità.
Nessuna chiesa ha il diritto di obbligare al mantenimento, immutabile, di certi principi religiosi, rendendo così continua ed eterna la tutela verso i suoi membri. Come dire, nessun dogma, i principi religiosi possono essere discussi e modificati: una bomba!
Non ci sono autorità al mondo, sovrani o parlamenti, che possano sancire l’immutabilità nel tempo di un principio, religioso o civile, vincolando così non solo miglioramenti e progressi, ma anche la libertà delle generazioni future, che sarebbero messe così sotto tutela, da idee altrui. Queste, dice Kant, sono perfettamente legittimate a respingere tali deliberazioni come illecite e delittuose.
In altre parole tutto si può discutere e cambiare, anche alla luce di nuove conoscenze. L’umanità costruisce le sue norme secondo uso di ragione, emendando via via gli errori. Solo questo può garantire il “rischiaramento” della coscienza e il progresso.Certo non è un procedimento lineare, né privo di ostacoli, ma è la sola guida cui attenersi.
Le considerazioni di Kant fanno riferimento ad un mondo limitato, la Prussia di fine Settecento, ma il punto fondamentale del rischiaramento e dell’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, ha valore universale, e può applicarsi anche al nostro mondo globalizzato.
Se dunque ora si domanda: «viviamo noi attualmente in un’età rischiarata?» Allora la risposta é: «no, bensì in un’età di rischiaramento».
Questa domanda che Kant si poneva nel 1784, in un contesto geopolitico limitato, noi possiamo estenderla, nel Terzo Millennio, all’intero pianeta, e riferirla a tutti gli aspetti individuali e sociali della vita dell’uomo. La risposta, purtroppo è NO. Neppure noi viviamo in un’età “rischiarata”. In alcune aree del globo si vive in democrazia, in agiatezza e con il conforto dei risultati della scienza e della tecnologia; ma anche all’interno dei paesi economicamente sviluppati, ci sono enormi sacche di povertà e disagio. Ci sono ancora troppi luoghi del mondo dove religione e potere politico tengono le persone in stato di minorità, intellettuale e fisica, con leggi oppressive e con la violenza i cittadini, le donne soprattutto. Luoghi in cui è impensabile esercitare il pubblico esercizio della propria ragione.
Kant, uomo del ‘700 illuminato, non poteva immaginare come si sarebbe svolta la storia in poco più di duecento anni dal suo scritto ad oggi. In un arco di tempo risibile, paragonato anche soltanto a quello trascorso dall’invenzione della scrittura, si è verificata un’accelerazione delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche, che farebbero gridare alla stregoneria i contemporanei di Kant.
Eppure il nostro progresso non si è esteso a tutti gli abitanti del globo, in alcune zone del quale mancano perfino cibo e acqua. Ci sono sempre le guerre, condotte con armi ben più “efficienti” di quelle dell’esercito prussiano. La violenza e il sopruso esistono sempre; e inoltre, grazie ad un uso perverso della tecnologia, finalizzato al profitto, stiamo segando il ramo dove siamo seduti, mettendo in atto una sistematica distruzione del pianeta. Tutto questo non è certo un buon uso pubblico della ragione da parte di una specie che si autodefinisce sapiens.
Per il nostro rischiaramento – che è un processo sempre in atto e non un dato acquisito una volta per tutte – oggi abbiamo strumenti inimmaginabili ai tempi di Kant. La circolazione delle idee è velocissima; le notizie arrivano in tempo reale, non possiamo ignorare quel che avviene nel mondo, anche in luoghi lontanissimi da noi; una grande quantità di informazioni, sono a portata di tastiera in pochi secondi; ma siamo più “rischiarati” dei contemporanei di Kant? Siamo proprio certi di esercitare liberamente e criticamente il nostro pensiero? Di esserci liberati dalla tutela di forze esterne? In altre parole siamo sicuri che nel gran mare dei dati che ci sommergono, che non ci danno il tempo di riflettere, non ci colga la tentazione di lasciare, per pigrizia intellettuale, che altri pensino per noi?
BIBLIOGRAFIA
Vincenzo Ferrone, Il mondo dell’illuminismo Einaudi
I.Kant, M.Foucault, J.Habermas, Che cos’è l’illuminismo Mimesis
Steven Pinker, Illuminismo adesso Mondadori
SITOGRAFIA
https://it.wikipedia.org/wiki/Immanuel_Kant
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Illuminismo
https://it.wikipedia.org/wiki/Illuminismohttps://it.wikipedia.org/wiki/Risposta_alla_domanda:_che_cos%27%C3%A8_l%27Illuminismo%3F