Di Iris Alemano
Sarebbe troppo facile dire che il Convegno di sabato 14 ottobre (Leggi anche Pegli, al Museo Navale un convegno sull’emergenza educativa) organizzato dalla Congregazione S. Maria ad Nives e da Mondo Nives sia nato dalla scia emozionale dei raccapriccianti fatti che hanno coinvolto bambini e adolescenti in diverse parti d’Italia negli ultimi mesi dell’altrettanto angosciante situazione che stravolge il nostro mondo.
Troppo facile e altresì profondamente scorretto: troppo facile perché i sentimenti di sconcerto e denuncia hanno una presa immediata nel nostro spazio emotivo allertato da sentimenti contrastanti di pietas, per le vittime, e di condanna irrevocabile, per coloro che tanto dolore hanno causato.
Ma tutto questo, se nell’urgenza, ci fa sentire “dalla parte del Bene” e quindi del nostro quasi automatico scarico di coscienza, dall’altra stona in quella parte più autentica di noi, ove risiede uno spazio dedicato alla domanda più profonda: ma gli adulti dove erano quando si perpetravano, spesso nei mesi se non negli anni, quei gesti disumani, efferati nel momento e agonia perpetua nei ricordi?
Dove erano? O meglio e più onestamente: dove eravamo e dove siamo noi, genitori, insegnanti, educatori, allenatori, cittadini consapevoli e doverosamente rivolti al Bene Comune quando siamo stati direttamente coinvolti o fortunosamente solo testimoni indiretti di manifestazioni di disagio?
È eccessivo questo esame di coscienza? Qualcuno dirà:” Io ci penso ai miei figli.” E ancora: “Nelle mie classi sono vigile e attento.”, “Nel mio spogliatoio continuo a richiedere correttezza e rispetto.”: in una frase riassuntiva “Tutto questo non mi riguarda. Chi ha un problema se lo risolva”. Ci crediamo indenni, vaccinati dal nostro orgoglio autoreferenziale di sapere tutto e di sapere fare bene tutto. E di conoscere il bene di chi ci sta accanto.
Eppure, anche nei nostri contesti, spesso, si verifica inatteso e bruciante l’inciampo, l’atto inaspettato è per questo ancor più deludente ai nostri occhi, che ha generato violenza, ancorché solo psicologica, tra i nostri ragazzi e ragazze, tra i nostri bambini e bambine. I fenomeni di cyberbullismo sono all’ordine del giorno e le chat scolastiche tra adulti ne sono l’aspetto più immediato e inquietante.
Ce lo dicono i rapporti delle Forze dell’Ordine, la presa in campo dei Servizi Sociali e Terapeutici che da un osservatorio di privilegio indesiderato constatano l’aumento di eventi degni di essere attenzionati e presi in carico. Un aumento non solo quantitativo, ma altresì qualitativo per la natura dei gesti, spesso degni degli articoli più pesanti del nostro Codice Penale e dell’altrettanto rilevanza medica di protocolli sanitari, un tempo dedicati ad adulti feriti da esperienze prolungate di disumanità e malattia.
E poi, elemento che deve tutti noi preoccupare, l’età sempre più precoce di coloro che sono coinvolti in manifestazioni di disagio e, in molti casi, devianza.
Anche nel nostro contesto, nel nostro territorio: non dobbiamo scegliere altre zone d’Italia per trovare elementi di attenzione. L’urgenza e l’emergenza è accanto a noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre classi, nelle nostre squadre. I relatori del Convegno hanno una conoscenza profonda di quanto tangibile e prossima sia questa emergenza educativa.
Siamo noi che dobbiamo riflettere su cosa eventualmente non ha funzionato, su cosa è mancato nel nostro agito, cosa ci ha fatto perdere l’attimo per cui la nostra faticosa costruzione dell’atto educativo ha generato l’opposto di ciò che desideravamo.
Fare di più? Certo ma direi con più cautela: fare stando insieme nel quotidiano, Esser-Ci, avendo cura, come diceva Don Milani, del profondo di ciascuno, scovando il talento, l’aspirazione e la domanda di futuro, perché ciascuno di noi anela al domani, dovendo vivere un oggi che riserva paure, insidie, false chimere, facili scorciatoie che possono nascondere voragini di annientamento e dolore.
Non esiste la patente da genitore, ed anche se le università e le federazioni oggi si affannano a costruire percorsi specializzanti per docenti e istruttori non esistono protocolli certi e procedure infallibili perché non si verifichino situazioni ove può emergere il problema.
Quello che il Convegno vuole sollecitare è la costruzione virtuosa di una rete di persone che, consce della loro fallibilità, trovino nel dialogo, nella schiettezza e nell’impegno la costruzione di contesti ove muoversi sia faticoso, ma produttivo, ove conoscere l’altro significhi conoscere sé stessi nel rispetto reciproco, ove la mia difficoltà diventi motivo di ascolto e opportunità di crescita per tutti.
Il Convegno può essere un varco: individuale, di coppia, collettivo. Ma la consapevolezza è riassunta una frase di Papa Francesco: “Nessuno di salva da solo”. E quindi cogliamo e costruiamo questa opportunità.
Iris Alemano
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