FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi


Il Piccolo Principe. Il rovescio della storia (3)

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Il penultimo capitolo è quello nel quale la storia termina, il più tragico, il più enigmatico, il più straziante, e il più rimosso; quello meno presente, almeno nel circuito dei lettori comuni che si esprimono sui social e su internet.

Siamo alla conclusione, l’aviatore ripara il motore e grazie al principino trova un pozzo.

 Dovrebbe quindi essere pronto alla partenza, anche per il piccolo principe è giunto il momento di tornare al suo asteroide.

Una sera l’uomo assiste ad uno strano dialogo fra il principino e il serpente, che già abbiamo incontrato.

   «… Sicuro. Verrai dove incominciano le mie tracce nella sabbia. Non hai che da attendermi là. Ci sarò questa notte».

 Ero a venti metri dal muro e non vedevo ancora nulla.

 Il piccolo principe disse ancora, dopo un silenzio:

 «Hai del buon veleno? Sei sicuro di non farmi soffrire troppo tempo?»

 Mi arrestai, il cuore stretto, ma ancora non capivo.

 «Ora vattene,» disse, «voglio ridiscendere!»

 Allora anch’io abbassai gli occhi ai piedi del muro e feci un salto!

C’era là, drizzato verso il piccolo principe, uno di quei serpenti gialli che ti uccidono in trenta secondi. Pur frugando in tasca per prendere il revolver, mi misi a correre, ma al rumore che feci, il serpente si lasciò scivolare dolcemente nella sabbia, come un getto d’acqua che muore, e senza troppo affrettarsi si infilò tra le pietre con un leggero rumore metallico. Arrivai davanti al muro giusto in tempo per ricevere fra le braccia il mio ometto, pallido come la neve.

Si comincia ad intuire qualcosa,

«Ometto caro, hai avuto paura…»

Ma rise con dolcezza:

 «Avrò ben più paura questa sera»

«Sarà un anno questa notte. La mia stella sarà proprio sopra al luogo dove sono caduto l’anno scorso…»

Ricordiamo quello che disse il serpente nel primo incontro col bambino:

«Posso trasportarti più lontano che un bastimento», disse il serpente. […] «Colui che tocco, lo restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella…»

Sarà il serpente a riportare il principino al suo asteroide. L’appuntamento con il funesto traghettatore è per quella notte stessa.

Quella notte non lo vidi mettersi in cammino. Si era dileguato senza far rumore. Quando riuscii a raggiungerlo camminava deciso, con un passo rapido. Mi disse solamente: «Ah! sei qui…»

 E mi prese per mano. Ma ancora si tormentava:

 «Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero…» Io stavo zitto.

 «Capisci? È troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. È troppo pesante». Io stavo zitto.

 «Ma sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze…» Io stavo zitto.

[…] Fece un passo. Io non potevo muovermi.

 Non ci fu che un guizzo giallo vicino alla sua caviglia. Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia.

Ora cerchiamo di districarci fra i significati di questa conclusione, e non sarà facile. La sorte del principino era stata programmata e preannunciata in un capitolo precedente: il serpente lo ucciderà con un morso del suo rapido veleno, un suicidio concordato. Ma che senso ha questa morte? Sarà la sua anima a tornare all’asteroide, visto che il suo corpo è troppo pesante e resterà sulla terra come una vecchia scorza abbandonata? Il quesito è volutamente lasciato senza risposta. Il giorno dopo non ci sarà più traccia delle spoglie mortali del piccolo.

Prima dell’attimo fatale fra il bambino e l’uomo si svolge un colloquio che mi ha ricordato gli ultimi istanti dei condannati a morte, la morte di Socrate, con il condannato che consola chi resterà; mi sono anche venuti alla mente gli ultimi minuti di coloro che hanno compiuto il suicidio assistito, così come sono stati raccontati dai parenti.

Ora mi domando e domando: tutto questo è adatto ad un bambino? Ai bambini, non si può,  e non si deve nascondere la realtà della morte, bisogna parlarne nei modi e nei tempi opportuni, che variano secondo le circostanze e i soggetti, non ci sono regole fisse. Qui non siamo di fronte alla morte di un vecchio, o di un malato di qualunque età, o della vittima di un incidente. Qui c’è un bambino che sa che morirà tra pochi istanti, che andrà lui stesso verso il serpente che lo ucciderà. Manifesta la sua paura, di soffrire soprattutto, anche se cerca di consolare l’amico dicendogli che sarà su una stella e che lo guarderà dall’alto, mentre l’amico stesso lo potrà vedere non cercando la sua stellina, troppo piccola, ma guardando l’intero firmamento. Ora questa teoria della sopravvivenza, pseudo poetica, come nello stile di tutto il testo, può bastare a placare l’angoscia di un bambino che legge queste righe? Che tipo di traccia può lasciare nella sua mente? Io stessa, che della morte di persone care, ho avuto dolorosa  esperienza, sono rimasta molto turbata.

Ormai sono passati anni dalla scomparsa del principino, ma sempre  l’aviatore si chiede,

«Che cosa sarà successo sul suo pianeta? Forse la pecora ha mangiato il fiore…»

 Tal altra mi dico: «Certamente no! Il piccolo principe mette il suo fiore tutte le notti sotto la sua campana di vetro, e sorveglia bene la sua pecora…» Allora sono felice. E tutte le stelle ridono dolcemente. […] Guardate il cielo e domandatevi: la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto cambia…

E la conclusione?

Ma i grandi non capiranno mai che questo abbia tanta importanza. Appunto!

FINE

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