FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi


Nella rubrica Libri alla ponentina ulteriori informazioni sull’argomento.

Avvertenza il testo contiene parolacce.

 Nel precedente articolo “Parole, parole…parolacce (1)” abbiamo mostrato, in una rapida carrellata, che Greci e Romani facevano uso abbondante  delle parolacce, proprio come ai giorni nostri. Era, per forza di cose, un esempio limitato, ma attestazioni  di turpiloquio si riscontrano in tutte le civiltà – anche precedenti a quella greco-latina –  e in diversi testi della letteratura, di varie lingue ed epoche.(v.sitografia)  Le brutte parole, insomma, hanno antenati antichi e non di rado illustri, perfino Dante le usa, e Machiavelli in una lettera a Guicciardini esordisce con un bel Cazzus!.

Attestata  l’antichità e la diffusione di questa particolarissima funzione linguistica, vediamo ora di capire cosa sono  le parolacce e, soprattutto, perché le usiamo. L’analisi  del turpiloquio non è affatto cosa semplice, richiede infatti  l’apporto di diverse scienze umane, linguistica, psicologia, sociologia, diritto, antropologia, filosofia, storia e perfino neurologia.  Insomma, la questione è molto complessa e va ben aldilà della buona o cattiva educazione.

 Ma cos’è una parolaccia? Tutti lo sappiamo, ma darne una definizione precisa non è facile, e già questo ci induce a fare qualche riflessione.

Il testo principale di cui mi servirò per questa analisi è Parolacce di Vito Tartamella;

un’ampia ricerca interdisciplinare, nella quale l’argomento è trattato con grande serietà e umorismo al tempo stesso. Si tratta di un ponderoso volume, molto accurato, documentatissimo,  che  attinge a diverse discipline  con grande rigore metodologico; per ovvie ragioni mi limiterò ad alcuni concetti fondamentali. L’autore  conduce anche sull’argomento un sito interessante, approfondito e divertente. (v. sitografia)

Ciò che davvero distingue l’essere umano dagli altri animali è il linguaggio. Con la parola comunichiamo con i nostri simili, possiamo designare gli oggetti, ma anche evocarli   in loro assenza, riusciamo persino ad inventarne di inesistenti, dando loro un nome e una funzione.  Ci sono poi le parole magiche,  gli auguri, gli scongiuri; quelle che sanciscono uno stato giuridico: “vi dichiaro marito e moglie”; i giuramenti dei testimoni in tribunale e quelli pronunciati all’assunzione di una carica pubblica. Il linguaggio ha qualcosa di potente in sé, in molte religioni è la parola divina a creare il mondo. Le parole sono anche un mezzo per esprimere una vasta gamma di emozioni, positive o negative: rabbia, odio, frustrazione, gioia, intimità, umorismo. In  quest’ambito si colloca l’uso del turpiloquio.

Se è difficile dare una definizione puntuale e sintetica delle parolacce se ne possono però classificare tipi e funzioni. Le parolacce, innanzi  tutto, servono a “fare” qualcosa: sfogare la rabbia, eccitare, esprimere disgusto, far ridere, rafforzare il cameratismo (fra maschi soprattutto),  provocare e minacciare, emarginare, offendere.

Di seguito sono elencate quelle che Tartamella chiama risposte neurologiche a determinate situazioni e che si esprimono con parole scurrili.

IMPRECAZIONE

Se ci diamo la classica martellata sul dito, o arriviamo in stazione e il nostro treno sta partendo, è facile sbottare con una imprecazione, più o meno colorita, a scelta: Merda! Cazzo! Porca troia!  o peggio;  scagli la prima pietra chi non lo ha mai fatto, ad alta voce o fra sé. L’imprecazione in questo caso è un puro rafforzativo, come un punto esclamativo;  non si rivolge a nessuno, è uno sfogo automatico dell’aggressività o della frustrazione accumulata in una situazione di stress.  Se urliamo Merda! in  quel momento non pensiamo affatto agli escrementi, il significato della parola non è importante,  ciò che conta è solo scaricare la tensione.

PROFANITÀ

È l’uso di espressioni e termini religiosi in contesto profano, Madonna! Santo Dio! Oh Signore!  Chi non ha mai usato simili interiezioni? Eppure non si dovrebbe, in obbedienza al Secondo Comandamento, e per non svilire i nomi divini usandoli per bassi interessi umani.

BESTEMMIA

 È l’attacco diretto alla divinità e a tutto ciò che le attiene; è la massima sfida che l’essere umano può lanciare: quella all’Ente Supremo. Per il credente che si è sentito trascurato è una sorta di vendetta  e un modo per ottenere attenzione, senza contare l’esaltazione procurata da una simile  sfida.  La bestemmia dell’ateo, invece, è irrisione  verso i credenti, spesso scanzonata e umoristica.

 Va detto, tuttavia, che in molti casi, in alcune regioni italiane soprattutto, la bestemmia è diventata quasi  un intercalare, o un esercizio di irriverente fantasia su divinità e santi per suscitare il riso.

La bestemmia, in Italia, è più frequente nelle regioni che appartennero allo Stato Pontificio e, in generale nei Paesi a forte componente cattolica.  Jonathan  Swift, in un divertente e caustico racconto, propone una tassa sulle bestemmie per risanare le casse dello stato irlandese. Un provvedimento, a suo dire, sicuramente efficace vista la grande diffusione del fenomeno, soprattutto nell’aristocrazia.

La bestemmia in molte religioni è il più grave dei peccati, punito anche con la morte. In Italia è stata  reato penale fino al 1999, ora è sanzionata con un’ammenda.

IMPRECAZIONI SESSUALI E SCATOLOGICHE  (riferite agli escrementi)

In Italia la scarica emotiva avviene attraverso termini sessuali (Cazzo! Figa!), in Francia, Germania e Paesi anglosassoni  attraverso quelli scatologici (Merda!). Non è tanto il loro significato che entra in gioco,  quanto la soddisfazione di infrangere un tabù.

Una curiosità: Oh merda! pare essere l’ultima espressione più frequente incisa nella scatola nera in caso di disastro aereo. In questi casi le parolacce servono a scaricare ira repressa o paura  e non coinvolgono nessun interlocutore.

Molto spesso invece il turpiloquio svolge un’azione psico-sociale, come la definisce Vito Tartamella. La parolaccia, diversamente dall’imprecazione, diventa fortemente evocativa e viene diretta contro un preciso bersaglio. Qualche esempio.

ECCITARE

Rivolgere una parolaccia a qualcuno vuol dire costringerlo ad evocare il sesso o gli escrementi, funzioni legate alla sopravvivenza, della specie nel primo caso,  dell’individuo nel secondo: riproduzione e metabolismo. Gli studi antropologici inoltre hanno messo bene in evidenza riti e credenze legati al potere rigeneratore di queste due vitali funzioni; dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.  Ricordiamolo ogni volta che ci scappa uno di questi termini.

OSCENITÀ

Le oscenità possono essere usate per esprimere e suscitare la pulsione sessuale, spesso gli amanti lo fanno reciprocamente; ma anche nelle molestie, possono quindi diventare una forma di violenza sessuale verbale.

Un’altra funzione delle parole oscene può essere quella di affermare la propria libertà, parlare esplicitamente è ribellarsi alla repressione sessuale, alle convenzioni, al conformismo.

SCATOLOGIA

Le buone maniere e la pulizia ci impongono di  ripulirci accuratamente  da escrementi e da  altre secrezioni corporali e di non parlarne in pubblico.i   Questi tuttavia,  in quanto prodotti del nostro corpo, e legati a sensazioni di piacere e a lontani ricordi infantili, conservano una  ambivalente attrattiva. Non di rado incontriamo persone che ne parlano con un certo compiacimento. I bambini sono attirati dalla cacca, in fondo è il loro primo prodotto, e non ne provano disgusto in origine, anche perché i genitori la tengono in gran considerazione, si preoccupano se non la fa.

Come già detto, gli studi antropologici hanno attestato numerosissimi riti,  che a noi   suscitano disgusto, incentrati sulla forza magica, beneaugurante, di diverse secrezioni umane. Il libro di Tartamella, al quale rimando,  ne cita diversi.

TURPILOQUIO UMORISTICO

Le parolacce vengono spesso usate per suscitare il riso, fin dai tempi più antichi.

Danno un senso di libertà, di trasgressione, abbassano il livello delle cose serie che ci opprimono.

Tutti abbiamo riso alle barzellette “sporche” spesso molto più divertenti di quelle neutre. Le barzellette consentono di dar sfogo in modo socialmente accettabile alle pulsioni aggressive e sessuali: alla base del riso c’è sempre un po’ di violenza.

ACCORCIARE LE DISTANZE

 Spesso fra maschi ci si rivolge, scherzosamente e affettuosamente, usando parolacce: Come stai testa di cazzo? Ciao stronzo!  E altre finezze. Questo uso amichevole e gioioso del turpiloquio sfrutta, anziché la carica offensiva, il senso di libertà e di trasgressione, tende a creare complicità e ad avvicinare.

ATTIRARE L’ATTENZIONE

Se vogliamo esprimere profonda irritazione sicuramente “Non mi rompete i coglioni!” è più efficace di “Non mi rompete le scatole!”.

Le parolacce rinforzano in vari modi le espressioni: un traffico della Madonna, un giornale del cazzo, un posto di merda.

Vengono usate nei dialoghi privati, ma anche  in contesti più ampi, come nei titoli di film, libri, canzoni, suscitando non di rado reazioni scandalizzate.

INSULTARE

Le parole sono pietre, si sa, e se sono parolacce fanno molto più male. Nell’insulto il turpiloquio viene utilizzato con il preciso intento di ferire, è l’uso più violento che se ne può fare.

La potenza verbale della parolaccia così scagliata tende a svilire l’interlocutore, a colpirlo nell’orgoglio; Sei una merda!  ad escluderlo da un gruppo Terrone!  a maledirlo  invocando sul suo capo  le peggiori calamità Ti venga un colpo!  in  quest’ ultimo caso è evidente l’ancestrale funzione magica che l’uomo attribuisce alla parola.

Tuttavia, fanno notare alcuni psicologi, Freud in testa,nella storia dell’umanità l’uso dell’insulto rappresenta un notevole progresso rispetto all’attacco fisico. Se ci pensiamo una guerra a parolacce, per quanto cattive, non ha mai ammazzato nessuno.

Per concludere riporto le parole dell’antropologo Ashley Montagu, citate nel libro di Tartamella:

«Le parolacce sono parole sparate, parole cariche di esplosivi, parole investite con la potenza degli dèi, parole cariche della potenza proibita dell’osceno. Parole violente, e profanamente contagiose, scurrili, rudi, squalificanti, sporche, parole che possiedono un’alta carica emotiva. Sono proiettili verbali».

A questo punto dovrebbe essere chiara la funzione delle parolacce: esprimere e trasmettere emozioni. L’emozione è il più antico e fondamentale stato psichico dell’essere umano; si è formata molto tempo prima della ragione ed è uno strumento indispensabile nella gestione dei rapporti umani, gli individui privi di emozioni sono malati mentali. Facile dedurre quindi che il turpiloquio ad essa così legato è difficilmente sopprimibile, e in qualche caso indispensabile. Questo tuttavia non ne giustifica l’uso indiscriminato, tutto dipende dal contesto e dalla sensibilità del parlante. La parolaccia, per assolvere efficacemente  il suo compito, dovrebbe essere usata come un medicinale, quando davvero  serve e alle dosi giuste.

BIBLIOGRAFIA

Vincent Hunink (curatore) Felice è questo luogo. 1000 graffiti pompeiani. Ed. Apeiron

Neleo di Scepsi (curatore) Come insultavano gli antichi Ed. il melangolo

Vito Tartamella Parolacce Ed. StreetLib

SITOGRAFIA

https://www.focus.it/cultura/storia/breve-storia-delle-parolacce-dalluomo-primitivo-a-beppe-grillo?modal-open=01

https://www.sciencewriters.it/2010/05/01/vito-tartamella/

https://www.parolacce.org/author/vito-tartamella/

https://www.netflix.com/it/title/81305757

Grazia Tanzi

(Informazioni sull’autore)

image_printScarica il PDF