Il Contastorie

Rubrica a cura di Roberto Gerbi
Il piacere di scoprire storie curiose, divertenti, drammatiche che un appassionato di libri ha ritrovato in biblioteche polverose, vecchie riviste e, qualche volta, in internet



UN BIZZARRO GARIBALDINO

C’è un quadro del pittore Vittorio Matteo Corcos, eseguito all’età di trent’anni, nel 1889, che ritrae il suo amico Yorick, pseudonimo di Pietro Coccoluto Ferrigni.

Vittorio Matteo Corcos – Yorick, 1889

Sotto l’aspetto di questo signore grassoccio, elegante, che passeggia tranquillamente, sarebbe difficile immaginare sia un eroe garibaldino che un bizzarro personaggio, inventore di feroci battute e di scherzi che anticipano di un secolo quelli del film Amici miei.

Di questo secondo aspetto si può comunque sospettare qualcosa dai disegni infantili dipinti sul muro, a sinistra, e che sono firmati Ada, la figliastra di Corcos, e ancora di più dai versi, appena leggibili sulla destra, che furono dettati dallo stesso Yorick:

“Se l’uomo qui dipinto al naturale

non è giovin, grazioso ed alto e snello,

se ne accusi il pennello:

non ci ha colpa, per Dio, l’originale”.

Pietro Francesco Leopoldo Coccoluto Ferrigni era nato a Livorno il 15 novembre 1836 da una famiglia di commercianti d’origine napoletana trasferitasi nella città toscana. Fu sempre estremamente restio ad usare il suo cognome nella dizione completa.

Dotato fin dall’infanzia di una memoria quasi prodigiosa, era in grado di ripetere, senza errori, conversazioni, discorsi e persino commedie ascoltate una sola volta. Nel libro Uomo allegro… Yorick, dove il figlio Mario raccolse aneddoti che lo riguardano, si racconta ad esempio di una beffa ai danni dell’amico Felice Cavallotti. Questi gli aveva letto dei versi dedicati all’attrice Virgilia Marini ma Yorick affermò che quei versi erano suoi e che anzi ne avesse “guastati due, che hai modificato a modo tuo”. Di fronte al risentimento dell’amico, li recitò dal primo all’ultimo, compresi i due versi “guastati” dal poeta, ridicendoli “come erano stati scritti prima”. Solo quando vide Felice Cavallotti alla disperazione, dubbioso di essere stato vittima di una reminiscenza, gli confessò ridendo di aver imparati a memoria i versi durante la lettura.

Il Ferrigni non ha nemmeno sedici anni quando, grazie a una speciale dispensa del Granduca vista la sua giovane età, affronta e supera gli esami di ammissione all’Università di Pisa. Si laurea in giurisprudenza, a Siena, nel 1857.

Già dal 1854 aveva iniziato a collaborare a fogli letterari e umoristici, adottando lo pseudonimo di Yorick, il buffone di corte nell’Amleto di Shakespeare. Dopo aver appreso che tale pseudonimo era già stato usato dallo scrittore Laurence Sterne, modificò inizialmente il suo in Yorick figlio di Yorick.

Gli eventi del 1858-1859 lo videro attivo nelle trame e nei progetti dei liberali toscani. Ai primi di aprile del 1859, si distinse fra quanti arringavano la folla in strada e distribuivano volantini per preparare la grande dimostrazione popolare che portò alla pacifica fine del Granducato di Toscana. Fu lui stesso a vergare, in bella calligrafia, l’ultimatum che decise Leopoldo II di Lorena a lasciare Firenze, in volontario esilio. Molti memorialisti, raccontando la giornata del 27 aprile, lo ricordano piccolo, grassoccio, gioviale, in giro per Firenze ad annunciare le notizie da una carrozza che ospitava anche la compagnia Meynardier, in scena al teatro del Cocomero.

Dopo aver fatto conoscenza con Garibaldi, ne diventa segretario personale, nei mesi precedenti la partenza dei Mille. Di quel periodo è l’incontro con Vittorio Emanuele II. Samuele Ghiron, autore del volume Aneddoti della vita di Vittorio Emanuele II, racconta:

“Ferrigni (Yorick) luogotenente e segretario di Garibaldi, sul cadere del 1859, fu ricevuto da Vittorio Emanuele. Dopo aver parlato della missione che il Ferrigni aveva ricevuto da Garibaldi, il Re gli scaricò a bruciapelo questa domanda:

– E che ne pensano i toscani, di me?

– Maestà – rispose pronto Yorick – i toscani arrivati in prima linea, a marcie [sic] forzate, Dio sa con quanti stenti, sono rimasti dolorosamente colpiti dalla notizia dell’armistizio concluso a Villafranca.

– Lo so – rispose il Re – lo so… a Firenze hanno stracciato dalle cantonate i bollettini del Quartier generale… colla mia firma…

– Maestà, speravano tutti di farsi ammazzare per l’Italia, per voi, Sire…

– Uhm! – disse il Re – mi sarei fatto ammazzare anch’io, al bisogno; ma non si era più in tempo. Avevano fatto tutto senza di me; e quando giurai che avrei saputo continuare la guerra da me solo, l’Imperatore mi rispose: A votre aise… mais au lieu di un seul ennemi, vous pourriez bien en trouver deux. Che cosa avreste fatto voi… e i vostri toscani?”

Ferrigni raggiunse Garibaldi in Sicilia il 21 giugno 1860. Si comportò coraggiosamente nei combattimenti di Coriolo e Milazzo (17 e 20 luglio), ottenendo la nomina a capitano e una medaglia d’argento al valore; partecipò poi a tutta l’impresa dei Mille, fino al Volturno.

La battaglia di Milazzo in una stampa dell’epoca

Garibaldino sull’onda dell’entusiasmo giovanile e del clima avventuroso di quegli anni, rientrato nella sua Toscana riprese gradatamente l’abito a lui più congeniale del liberale moderato, fondamentalmente conservatore, decisamente favorevole all’unità d’Italia ma sempre più nostalgico della “Toscanina”, la piccola patria regionale che stava scomparendo. Gli si attribuisce la frase “L’Italia s’è potuta fare perché c’era Garibaldi: guai se ce ne fossero stati due”.

Riprese in seguito la sua attività di giornalista, come collaboratore di numerose testate, mantenendo sempre un approccio umoristico e la volontà di evadere nello scherzo i problemi sociali anche seri che talvolta, come cronista, gli capitava di incontrare.

Leopoldo Franchetti,[1] in una lettera a Luigi Capuana, lo definiva: “Ragazzo di molto spirito e d’ingegno, ma di pochi studi e di poca voglia di lavorare”.

Di carattere vivacissimo e allegro, fu noto per gli scherzi che era solito organizzare e per le sue battute, per cui era molto ricercato nei salotti della migliore società fiorentina.

Tra le sue battute più celebri si ricordano: “M’han domandato ieri cosa è una pelliccia. È una pelle che ha mutato bestia”.

“Pio IX sapeva poche cose, ma quelle poche, le sapeva male”.

Un giorno, gli viene presentato un critico fiorentino che ci teneva molto a farsi chiamare conte:

– L’avvocato Ferrigni, il conte Tal dei Tali

Yorick stese la mano a costui, chiamandolo semplicemente col cognome. Parlò poi per qualche tempo con lui, senza mai dargli del conte. Quegli ne rimase male, tanto che, nel prender commiato, sentendosi ancora chiamare col semplice cognome, disse con una certa alterigia mal contenuta:

– Sa, signor avvocato, generalmente mi dicono: conte.

E Yorick, sorridendo con bonaria indifferenza:

– Lasci dire… se ne dicon tante!

“Era mosso da un simile spirito […] quando chiedeva a una fantesca che s’era presentata per essere assunta al suo servizio, e vantava le infinite cose che sapeva fare:

– E l’arpa?

– Che arpa?

– Domando se sa suonare l’arpa. In casa mia, la cuoca, dopo pranzo, deve suonarci l’arpa. Se lei non sa suonar l’arpa, mi rincresce, non fa per noi”.

Una volta si buscò una contravvenzione per aver orinato “fuori dal romito recinto vespasiano. Pieno di rimorso e di rossore per la colpa commessa, non ebbe che un desiderio: quello di espiare, di sapere quante lire di multa doveva versare. E di pagarle senza ritardo. Corse trafelato in municipio ed aprì affannosamente, l’uno dopo l’altro, gli usci degli uffici, chiedendo ad alta voce: “Scusino, è qui l’assessore del p…o?”. dopo cinque o sei di queste clamorose irruzioni, fu pregato di non cercare più quel tale assessore e di considerarsi perdonato, purificato, restituito alla vita civile, lindo come un panno di bucato”.

Quando, proprio a Firenze, nel giugno 1870, si progettò di dare vita a Il Fanfulla, un quotidiano nuovo, più leggero nella forma se non nella sostanza, moderno, vario negli interessi, Ferrigni prese parte da protagonista all’avvenimento.

Agli esordi fu proprio lui a redigere, sotto falso nome, le seguitissime e appassionanti corrispondenze dal fronte della guerra franco-prussiana, che compilava senza muoversi dalla redazione del giornale, con l’aiuto, dei dispacci d’agenzia e della sua vivissima fantasia.

Settore preminente della sua attività giornalistica fu quello della critica teatrale, in cui si resero evidenti i limiti di una preparazione estetica piuttosto carente. Le sue opinioni, come afferma Benedetto Croce, si rivelavano fondate su “concetti confusi e superficiali”. Ma anche in questo campo le sue battute furono spesso impagabili:

“Parlando di un’attrice, sulla quale gli si domandava un parere, trovò questo modo semplice di giudicarla:

Mi ricordo che faceva una parte nella Bella e la Bestia: e non era la “Bella”.

Yorick fu anche un affermato conferenziere. Il 28 febbraio 1882, alla Mostra Solenne della “Società di Scoraggiamento delle Belle Arti” di Firenze, tenne, con enorme successo, una conferenza su I bottoni. “Dopo aver dimostrato con validi argomenti “l’influenza dei bottoni sullo sviluppo dell’arte” e successivamente “l’influenza dell’arte sullo sviluppo dei bottoni”, dette l’annunzio che si accingeva anche a fornire le prove “dell’influenza dei bottoni sull’arte dello sviluppo”.

Quel giorno iniziò a partire da Adamo ed Eva, che “si vergognarono del nudo, il quale costituisce il primo elemento dell’arte; e ricorsero alla foglia di fico… Rimedio peggiore del male, perché le mezze nudità sono sempre più maliziose delle nudità intere; e, ad ogni modo, la foglia di fico resse pochissimo tempo al suo posto, com’era da aspettarsi, per l’impossibilità di fissarsela addosso stabilmente. Se la nostra prima madre si fosse potuta abbottonare la foglia, forse il genere umano avrebbe evitato le conseguenze del peccato originale”.

Anche nella sua professione di avvocato non evitava di burlarsi di giudici e colleghi.

“Avendo assunto il patrocinio d’una delle parti, in una causa di annullamento di matrimonio, si sentì dire dal suo avversario, Pasquale Stanislao Mancini:

– Forse lei, avvocato, ignora che dovremo discutere davanti al Tribunale della Sacra Rota, dove si parla in latino.

– Lo so, lo so – rispose Yorick – Ella invece, eccellenza, forse non sa che, poi, la stessa causa va difesa davanti alla Cassazione, dove bisogna parlare italiano.”

In una delle sue opere più divertenti, Tribunali umoristici, del 1886, ci offre le sue esperienze come avvocato e cronista giudiziario. Uno dei racconti riguarda il processo di Bernardo Mezzocchi, detto Sudiciume:

– Siete accusato di contrabbando, per essere passato nel mese decorso dalla porta della città, in carrozza, con un maiale, senza pagar la gabella. Che cosa avete da dire?

– Prima di tutto ho da dire che non era un maiale.

– O che cos’era?

– Era una…. non vorrei perdere il rispetto al bel sesso dei giudici… una…

– Ho capito! ma è precisamente lo stesso. E poi?

– E poi quella bestia non era con me. Pratico meglio….

– O come mai l’hanno trovata in carrozza con voi?

– E che vuol che sappia? Delle… già m’intende… se ne trovano anche in chiesa.

– Vi consiglio di dire la verità e non di far dello spirito.

– Io venivo dalla stazione, ho preso un posto in quella carrozza senza occuparmi di chi c’era dentro…

– Ma voi seguitate a burlarvi del Tribunale!… Nel vostro interrogatorio, davanti al giudice d’istruzione, avete detto di aver comprato il maiale fuori di porta.

– Ah!… è quel maiale lì, sor Presidente? Allora quel maiale è un altro paio di maniche. Sicuro che l’ho comprato!… Avevo un tenero figlio, malato di tosse canina e gli hanno ordinato dei brodi ristretti per difenderlo dagli attacchi di tosse… Allora io…

– Un maiale intero per un brodo ristretto?

– Era per difenderlo dalla tosse. Se le par troppo, mi condanni per eccesso di difesa!

Una risata omerica interrompe la risposta del Mezzocchi. Il Pubblico Ministero lancia delle occhiate furibonde sull’imputato, che fa una di quelle facce bestialmente ingenue da disarmare qualunque giudice draconiano,

L’avvocato difensore perde la bussola fra le risate generali, e prendendo le mosse dalla precedente vita intemerata di Sudiciume, raccomanda le sorti del maiale alla clemenza dei Giudici. Bernardo Mezzocchi, è condannato a un mese di carcere e a cinquanta lire di multa.

– A questo modo – brontola il povero padre andandosene verso l’uscio – la cura della tosse canina è proibita!…

Non dobbiamo infine dimenticare che Yorick è l’autore di quello che Americo Scarlatti definisce Un piccolo capolavoro della letteratura senza senso: “una minima poesia di tre sole strofette, dettate dall’indimenticabile Yorick per la Strenna dell’Associazione della Stampa periodica in Italia nel 1881, e da lui intitolata Parole per musica. Queste “parole” per mettere in canzonatura le insulsaggini di certe romanze:

Quando, talor frattanto,

Forse sebben così,

Giammai piuttosto alquanto

Come perchè bensì;

Ecco repente altronde

Quasi eziandio perciò,

Anzi altresì laonde

Purtroppo invan però!

Ma se per fin mediante,

Quantunque attesochè,

Ahi! sempre, nonostante,

Conciossiacosachè!”

A Yorick sono anche attribuiti i seguenti versi, che satireggiavano i poeti romantici allora in voga:

“Una nave che salpa dal porto

saltellando con passo scozzese,

è lo stesso che prendere un morto

per pagarlo alla fine del mese.

Salto di Socrate,

bacio di Giuda,

la donna è nuda…

Waterloò!”

Yorick morì a Firenze il 13 dicembre 1895, mantenendo fino all’ultimo la sua ironia:

“Assalito contemporaneamente da varie e pur gravissime malattie, mentre stava sul letto doloroso, scrisse una cartolina ad un amico in cui descriveva, scherzando, d’esser diventato bianco, rosso e verde, e finiva: Viva l’Italia! Due giorni dopo moriva”.


[1] Leopoldo Franchetti (1847-1917); il “Corriere della Sera” del 18 maggio 2018, con un pessimo refuso nel titolo, lo definisce “padre del merdionalismo”.

(https://lanostrastoria.corriere.it/2018/05/18/leopoldo-franchetti-nel-centenario-della-scomparsa

Roberto Gerbi

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