FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi


Quando vogliamo rendere l’idea di un tentativo, ripetuto ostinatamente, di compiere un’impresa, ma senza risultato; quando parliamo di un enorme sforzo senza costrutto;  quando ci riferiamo ad una fatica inutile, che si ripete senza sosta, diciamo che si tratta di una fatica di Sisifo.

Il modo di dire, come spesso accade, viene ripetuto,  col passare del tempo diventa un luogo comune e la sua origine si perde. Eppure dietro ogni frase fatta si nascondono storie, vere o inventate, spesso epiche, che spiegano molto di ciò che siamo.

Sisifo è una grande figura del mito greco, poliedrica, multiforme, che si presta, come sempre accade a questi personaggi, a numerose interpretazioni. Fondatore della città di Efira (l’odierna Corinto) della quale diventò re, fu un uomo astuto e privo di scrupoli che non esitò mai a ricorrere all’inganno per ottenere i suoi scopi; riscuoteva ammirazione per l’acutezza della sua mente, ma aveva fama di gran mascalzone.

Dopo la sua morte fu relegato, nel Tartaro – la parte più profonda e oscura dell’Ade –  a spingere  un grosso macigno verso la cima di un’erta montagna per farlo passare dalla parte opposta. Ma questo, una volta arrivato in vetta, era destinato a rotolare  all’indietro. Per l’eternità.

Vediamo dunque la vicenda esposta  nel mito. La città governata da Sisifo, Corinto, era funestata dalla siccità e non si riusciva a trovare rimedio, ma come spesso accade, fu un evento inaspettato a risolvere il problema. Il dio fluviale Asopo, sotto le spoglie di un vecchio viandante capitò da quelle parti; era venuto in cerca della figlia, la ninfa Egina, rapita da Zeus (una delle sue innumerevoli “imprese” erotiche). Sisifo, che aveva visto i due amoreggiare, trovò il modo di trarne vantaggio: in cambio della rivelazione chiese, e ottenne, una fonte d’acqua perenne per la sua città. Zeus, nonostante fosse il re degli dei, scampò a malapena all’ira del padre di Egina, e naturalmente decise di farla pagare cara al delatore. Chiese al fratello Ade, dio dell’oltretomba, di mandare Thanatos, la Morte, a prendere Sisifo. Questi, che era, secondo Omero, il più astuto degli uomini, riuscì, con un inganno, ad incatenare, nei suoi stessi ceppi, il potente dio, al quale nessun vivente sfugge.

Questo della morte ingannata è un topos frequente nei miti, nel folclore e nelle fiabe di moltissime popolazioni, dalle società più complesse a quelle a struttura tribale. Un esempio, la canzone di Angelo Branduardi Ballo in fa diesis: la morte invitata a danzare, non riesce più a fermarsi e “del tempo non è più signora”.[1]

L’incatenamento di Thanatos aveva sconvolto l’ordine naturale, nessuno moriva più sulla terra, neppure in battaglia, cosa che Ares, dio della guerra, non poteva tollerare. Andò dunque egli stesso a liberare Thanatos e trascinò Sisifo nell’aldilà.

Ma non per nulla questi era considerato un astutissimo uomo: prima di morire aveva ordinato alla moglie di non seppellire il suo corpo. Per i Greci, e non solo, lasciare un morto insepolto era una grave empietà che avrebbe potuto scatenare le ire degli dei e dello stesso defunto. Quindi Sisifo ottenne dalle divinità infere il permesso di tornare sulla terra, giusto il tempo per ordinare alla moglie di celebrare un degno funerale, secondo l’uso. Inutile dire che non si fece più vedere da quelle parti. Alla fine però  Sisifo muore – il mito fornisce varie versioni –  e gli tocca il castigo che abbiamo visto. Vediamo perché.

I Greci non possiedono il concetto di peccato così come è inteso dal cristianesimo, contemplano piuttosto quello di colpa, per violazioni delle regole sociali o civili. Queste colpe, anche gravissime, come il matricidio di Oreste, vengono punite dal rimorso, personificato dalle Erinni, piuttosto che da una sanzione divina. Inoltre, di certi comportamenti, che noi consideriamo immorali, non si sentono responsabili perché li credono dovuti alla possessione di un dio.

Gli dei dal canto loro, non sono entità dotate di virtù morali, non è davvero la perfezione etica a caratterizzarli. Si distinguono dagli umani  per  l’immortalità, innanzi tutto, per l’immensa forza, per la capacità di sovvertire le leggi del cosmo. Sono in grado di assumere forme di animali, di elementi inanimati o fenomeni naturali. Sono violenti, vendicativi,  bugiardi, ingannatori, ladri, assassini, stupratori. La loro genealogia contempla parricidi, incesti, uccisione dei figli. E soprattutto poco importa loro del comportamento dei mortali; suscettibili e tirannici, puniscono molto duramente,  invece, fra tutte le colpe umane, quelle di lesa maestà, attraverso  le quali l’uomo vorrebbe arrogarsi prerogative divine, sovvertendo  l’ordine immutabile del cosmo.

I Greci dunque non si facevano nessuna illusione sulla natura umana, né su quella divina, che avevano concepito a loro immagine e somiglianza, come sempre avviene, e non il contrario.

Sisifo, come Prometeo, come Lucifero, come Eva, come altri ribelli di mitologie diverse, pur fragili e mortali quali sono, hanno il coraggio, la hybris, di disobbedire. Non piegano il capo, sfidano il potere delle entità superiori, mossi dal desiderio di conoscenza, o da quello di superare i limiti della propria natura, con la sola forza del loro ingegno, mettendo in discussione il potere divino.

 Sisifo è la perfetta esemplificazione dell‘humana conditio: soggetto come tutti alla disgregazione ed essendone consapevole, non l’accetta e si ribella, facendo appello a tutte le risorse della propria intelligenza.

Nel mito, nel folclore, nelle fiabe, si trova spesso la figura del furbacchione, dell’imbroglione che riesce a farla franca, che inganna chi è più forte o più potente di lui, in molti casi facendosi beffe perfino del diavolo. Si tratta però, sì di stratagemmi ingegnosi, ma semplici, non di rado grossolani, dovuti più all’astuzia spicciola che alla sottigliezza del pensiero.

L’inganno sisifeo è ben diverso: volto a sovvertire l’ordine cosmico, rivolge contro di esso le sue stesse armi, un po’ come nelle arti marziali, quando si usa la forza dell’avversario per gettarlo a terra.  Prendiamo l’incatenamento della Morte, qualche versione dice che Sisifo fa ubriacare Thanatos e lo incatena: no, non è da lui, uno stratagemma così semplice! Credo che sia più coerente col personaggio quest’altra: Sisifo chiede alla Morte come funzionano i ceppi, ed essa, per mostrarglielo, compiaciuta dell’efficacia di questa trappola, alla quale nessuno è mai sfuggito, si fa incatenare. Colpisce la Morte attraverso il suo orgoglio e la sua vanità.

Ma l’inganno più raffinato è quello messo in atto per la “libera uscita” dall’Ade. Sisifo ha  studiato  con lucido raziocinio il suo piano; la sua supplica,  di non rimanere insepolto, non può essere respinta dai reggitori dell’Ade: è una norma sacra, che essi stessi hanno stabilito e che i mortali devono rispettare. Insomma Sisifo fa una proposta che non si può rifiutare. E l’astutissimo uomo evade attraverso un buco nella rete di recinzione rappresentata dalle stesse norme culturali che regolano il passaggio al mondo di là.

 L’intelligenza, perché di questo si tratta, è più forte della morte, Sisifo compie la sfida a nome di tutto il genere umano.  Battere il nemico con le sue stesse armi, questa è una metafora che si presta ad illustrare molte contese, belliche, ma anche dialettiche,  di pensiero, sostenute a difesa di un’idea.  Nella realtà, gli uomini  non hanno potuto sconfiggere la morte biologica, ma sono riusciti a creare una sorta di immortalità lasciando traccia di sé, attraverso lo spazio e il tempo, con la cultura. (vedi in questa rubrica l’articolo E tu del tempo non sei più signora. La cultura vince la morte).

 Nel mito, tuttavia, con gli dei non si può averla vinta, si sa, e  alla fine viene il momento di pagare il fio. Abbiamo visto quale è stato il terribile castigo.

Tiziano Vecellio_Olio su tela Madrid, Museo del Prado

Anche in questa situazione, la figura di questo scaltro ribelle diventa emblematica e si presta a molte interpretazioni, come certi oracoli volutamente criptici e ambigui.  Questa è la grandezza della narrazione mitica, non svela verità, non prescrive, allude, suggerisce, stimola le associazioni, invita a guardare dentro di noi, perciò riesce a parlarci attraverso i secoli.

Innanzi tutto il castigo non umilia Sisifo, non sarebbe stato possibile con un uomo così fiero e sagace. Le opere pittoriche che lo rappresentano ci mostrano un uomo nel pieno della forza fisica, i muscoli  tesi e pronti allo sforzo, non un dannato accasciato e avvilito. Affronta il supplizio dignitosamente, con lo stesso coraggio di cui aveva dato prova nella sfida. A me piace vedere in lui il simbolo di tutti coloro che sono stati imprigionati perché si sono rivoltati contro il potere e la sopraffazione: neppure in questa situazione china il capo perché è stato ben consapevole della difficoltà e dei rischi della lotta, e pronto ad assumerli.

Sisifo che trasporta il masso 1920 _Franz von Stuck

Molte le diverse interpretazioni della fatica sisifea. Qualcuno ci ha visto l’eterno percorso del sole che sale e ricade; o l’incessante fluire delle onde che vanno e vengono battendo la riva del mare. Il poeta Lucrezio vede in questo sforzo senza esito la ricerca del potere, vacua aspirazione, ambizione che distoglie l’uomo da una vita saggia. Il filosofo Friedrich Gottlieb Welcker lo interpretava come la continua ricerca, mai appagata, della conoscenza.

Ma una delle più importanti rivisitazioni è quella del filosofo Albert Camus che nel saggio  Il mito di Sisifo ne fa il simbolo dell’assurdità dell’esistenza. Queste le sue parole.

Sisifo è l’eroe assurdo, tanto per le sue passioni che per il suo tormento. Il disprezzo per gli dei, l’odio contro la morte e la passione per la vita, gli hanno procurato l’indicibile supplizio, in cui tutto l’essere si adopra per nulla condurre a termine. E’ il prezzo che bisogna pagare per le passioni della terra. Nulla ci è detto su Sisifo all’inferno. I miti sono fatti perché l’immaginazione li animi. In quanto a quello di cui si tratta, vi si vede soltanto lo sforzo di un corpo teso nel sollevare l’enorme pietra, farla rotolare e aiutarla a salire una china cento volte ricominciata; si vede il volto contratto, la gota appiccicata contro la pietra, il soccorso portato da una spalla, […] Al termine estremo di questo lungo sforzo, la cui misura è data dallo spazio senza cielo e dal tempo senza profondità, la meta è raggiunta. Sisifo guarda, allora, la pietra precipitare, in alcuni istanti, in quel mondo inferiore, da cui bisognerà farla risalire verso la sommità. Egli ridiscende al piano.

 E’ durante questo ritorno che Sisifo mi interessa. Un volto che patisce tanto vicino alla pietra, è già pietra esso stesso!

 Vedo quell’uomo ridiscendere con passo pesante, ma uguale, verso il tormento, del quale non conoscerà la fine. Quest’ora, che è come un respiro, e che ricorre con la stessa sicurezza della sua sciagura, quest’ora è quella della coscienza. In ciascun istante, durante il quale egli lascia la cima e si immerge a poco a poco nelle spelonche degli dei, egli è superiore al proprio destino. E’ piú forte del suo macigno.

 Se questo mito è tragico, è perché il suo eroe è cosciente.

 In che consisterebbe, infatti, la pena, se, ad ogni passo, fosse sostenuto dalla speranza di riuscire?

 L’operaio d’oggi si affatica, ogni giorno della vita, dietro lo stesso lavoro, e il suo destino non è tragico che nei rari momenti in cui egli diviene cosciente.

 Sisifo, proletario degli dei, impotente e ribelle, conosce tutta l’estensione della sua miserevole condizione: è a questa che pensa durante la discesa.

L’assurdo è la condizione ineludibile, di partenza, dell’uomo, ci viene dal nostro essere gettati nel mondo, direbbe Heidegger. Dobbiamo prenderne coscienza e se non vogliamo soccombere, col suicidio, dice Camus, dobbiamo noi stessi diventare artefici del nostro destino e darle un senso. L’arte e la filosofia lo possono rappresentare e mostrare l’assurdo  a chi forse non lo percepisce, ma non ci si può fermare qui, si arriva al bivio: soccombere, farsi travolgere dalla squallida routine dell’abitudine bruta e cieca; o rivoltarsi prendere in mano il proprio destino, creare il proprio senso, recuperare consapevolezza e dignità,  e libertà.

L’arte, può aiutare ad acquisire la consapevolezza dell’assurdo; rappresenta, denuncia, mostra, non ha intenti moralistici né di redenzione, non offre soluzioni né tanto meno giudica, sta al lettore, allo spettatore,  l’interpretazione, la presa di coscienza, la scelta etica, la solidarietà, il senso di fratellanza laico, la consapevolezza di far parte di un universo materiale dal quale ci differenziamo perché siamo in grado di pensarlo. Nessun richiamo a mondi trascendenti offerti dalla religione, che divide anziché unire ed offre misere consolazioni. Questo il punto, il rifiuto della violenza contro i nostri simili e l’ambiente; la lotta senza fine anche se il traguardo è lontano e i passi avanti pochi e sempre a rischio di arretramento: Sisifo appunto!

II Sisifo di Camus è in grado di dare una risposta di dignità e libertà, di rivolta sia ad una scelta eteronoma, quale la religione, che ad una ripetitività vacua e abitudinaria.

 Secondo Camus l’assurdo può essere analizzato e non conosciuto, “Questo inafferrabile senso dell’assurdo, allora, può forse essere da noi colto nei mondi differenti, ma fraterni, dell’intelligenza, dell’arte di vivere o semplicemente dell’arte”. Nel libro infatti ci sono analisi di opere filosofiche e letterarie.

Molto efficace la descrizione della presa di coscienza, dell’affacciarsi dell’assurdo alla vita quotidiana, anche dell’uomo comune:


E avviene così che la scena si sfasci. La levata, il tram, le quattro ore di ufficio o di officina, la colazione, il tram, le quattro ore di lavoro, la cena, il sonno e lo svolgersi del lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì e sabato sullo stesso ritmo… questo cammino viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo. Soltanto, un giorno, sorge il “perché” e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore. “Comincia”, questo è importante. La stanchezza sta al termine degli atti di una vita automatica, ma inaugura al tempo stesso il movimento della coscienza, lo desta e provoca il seguito, che consiste nel ritorno incosciente alla catena o nel risveglio definitivo.” Qui sta il punto: un risveglio per Camus è possibile, c’è una speranza, ma non un risultato definitivo, il masso continua a rotolare.

BIBLIOGRAFIA

Sisifo AA.VV. Pelago ebook

Albert Camus  Il mito di Sisifo Bompiani

SITOGRAFIA

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Sisifo

https://www.elicriso.it/it/mitologia_ambiente/sisifo/


[1] https://youtu.be/l3UGmsy94_A?si=fnSMuE2Y8VKq7gNd

Grazia Tanzi

(Informazioni sull’autore)

image_printScarica il PDF