Il Contastorie
Rubrica a cura di Roberto Gerbi
Il piacere di scoprire storie curiose, divertenti, drammatiche che un appassionato di libri ha ritrovato in biblioteche polverose, vecchie riviste e, qualche volta, in internet
L’ORVIETANO
Il più grande dei desideri umani è stato da sempre quello dell’immortalità fisica o almeno quello di prolungare la vita oltre i limiti stabiliti dalla natura. Fin dai tempi più remoti si cercò di raggiungere tali fini con formule magiche, con talismani e amuleti, ma specialmente con miracolosi preparati. L’oro potabile, la tintura d’acqua siderale o i sali astrali dei vecchi alchimisti, l’essenza di spirito di sale di Bacone, i bezoardi del Conte di Saint-Germain, l’elisir vitale di Cagliostro, il risolvente flogistico di Innocenzo Della Lena sono solo alcuni dei tanti elisir di lunga vita proposti nei secoli agli ingenui e agli illusi.
Un caso particolare e oggi poco conosciuto è quello dell’Orvietan, un amaro erboristico ottenuto dalla macerazione in soluzione idroalcolica di ventisette erbe officinali, pressate a mano con piccoli torchi e poi filtrato a telo.
La storia inizia nel 1603, quando Girolamo Ferranti, il primo a farsi chiamare “L’Orvietano”, ottiene dal Comune di Orvieto la licenza di vendita sulla pubblica piazza. In pochi anni, grazie all’opera capillare di venditori ambulanti, l’Orvietano raggiunge le piazze di tutta Europa. La presenza di questi personaggi, spesso ciarlatani che si esibiscono in veri e propri spettacoli di piazza, è testimoniata da decine di stampe popolari.
Ci restano i documenti delle concessioni di vendita in piazza rilasciate nel 1609 per la vendita nel Granducato di Toscana e nel 1623 per Venezia.
In Francia, Cristoforo Contugi, anch’egli detto “L’Orvietan”, inventa il simbolo con il sole, per incartare la sua medicina e distinguerla dalle numerose imitazioni. Nel 1647 ottiene da Luigi XIV, che ne era abituale consumatore, il privilegio esclusivo di vendita in cui si legge, tra l’altro: “Se si prende anche il detto Orvietano nella quantità di un pisello la mattina a digiuno dissolto nel vino o nel brodo caldo, oppure in pillola corroborerà il calore naturale aiuterà meravigliosamente la digestione, e eviterà i dolori di stomaco, la difficoltà di respirare, l’alito cattivo, e inoltre impedirà che i vapori salgano al cervello, i quali potrebbero causare distillazioni sul petto”. L’Orvietano vi è consigliato per le morsicature di vipere e cani rabbiosi, i dolori addominali, le coliche ventose e renali, le malattie infettive e persino la peste.
Il successo di questa panacea durò per circa duecento anni, attraverso numerose ricette più o meno segrete, per poi diventare sinonimo di tutte le formule che sfruttano la credulità popolare.
Charles de Brosses, uno dei più acuti tra i viaggiatori del Grand Tour, descrive i banchi dei venditori d’Orvietan in piazza San Marco a Venezia, tra la folla di uomini e donne, turchi, greci, dalmati, levantini, giocolieri, frati che predicano e marionette.
Un fatto interessante sono le tante citazioni dell’elisir, fatte da scrittori famosi.
Molière, nella commedia-balletto “L’amore medico”, del 1665, lo fa acquistare da Sganarello come medicina per il mal d’amore della figlia:
SGANARELLO
Olà, signore, vi prego di darmi una scatola del vostro orvietano, che vi pago a pronta cassa.
IL CIARLATANO (cantando)
L’oro di tutti i climi che circondano l’Oceano
può forse pagare questo miracoloso segreto?
Il mio rimedio, con le sue rare virtù, guarisce
più malanni di quanti non si possa numerarne in un anno:
La scabbia,
La rogna,
La tigna,
La febbre,
La peste,
La gotta,
Il vaiolo,
Il prolasso,
Il morbillo.
O grande potere dell’orvietano!
SGANARELLO
Signore, io sono convinto che non basta tutto l’oro del mondo a comperare il vostro orvietano; comunque, eccovi qui una moneta da trenta soldi: per piacere, prendetela.
IL CIARLATANO (cantando)
Ammirate le mie bontà, e a quanto poco vi vendo
questo tesoro meraviglioso che la mia mano dispensa.
Con questo potrete sfidare in tutta sicurezza
tutti i mali che su di noi l’ira del cielo riversa:
La scabbia,
La rogna,
La tigna,
La febbre,
La peste,
La gotta,
Il vaiolo,
Il prolasso,
Il morbillo.
O grande potere dell’orvietano!
Alessandro Manzoni, nel “Fermo e Lucia”, lo impiega come esempio:
“Donna Prassede teneva per regola generale che a voler far del bene bisogna pensar male: la sua voglia di dominare, di operare su gli altri, che anche ai suoi occhi proprj prendeva la maschera di carità disinteressata, era come il ciarlatano, che non dice mai a chi viene a consultarlo: «voi state bene»; perché allora a che servirebbe l’orvietano?”
Lo si trova citato nell’Enciclopedia di Diderot e d’Alambert:
“Orvietan” famoso antidoto o contravveleno così chiamato perché fu inventato e dispensato da un operatore che era di Orvieto in Italia, che ne faceva esperementi pubblici su se stesso prendendo differenti dosi di veleni”.
Lo si trova anche citato da Voltaire, Chateaubriand, Balzac, in una lettera di Leibnitz e in due romanzi di Robert Scott: insomma l’invenzione di un erborista di Orvieto è diventata un pezzo di cultura europea.