Gli autobus sono alla base di una società che vive e si muove. questo è il racconto personale di un autista, la sua formazione professionale ed umana
di Corrado Sotgiu
In molti spesso mi chiedono come sia nata la mia passione per la guida e per i mezzi di trasporto. Per rispondere a questa domanda, devo inevitabilmente far ritorno con la mente al passato
Crescere in una grande città come Genova, significa abituarsi fin da piccolo ad usufruire dei mezzi di trasporto pubblici per raggiungere la scuola, la parrocchia, il centro sportivo, la casa di parenti e amici, il centro città o i paesi limitrofi. Autobus, tram, metro, funicolare sono entrati, pertanto, a far parte della mia vita quotidiana fin dalla più tenera età, esercitando un certo fascino su di me.
Anche i treni hanno avuto un ruolo di rilievo nella mia infanzia e adolescenza. Erano i treni, infatti, il principale mezzo di trasporto che consentiva a me e alla mia famiglia di raggiungere la Sicilia dove trascorrevo i periodi delle vacanze scolastiche ed in particolare la stagione estiva. Ovviamente, anche traghetti, navi, aerei, hanno da sempre catturato la mia attenzione. Che meraviglia sentire il vento sulla pelle e osservare la vastità del mare e l’immensità del cielo dal traghetto che mi catapultava dalla Calabria alla Sicilia.
Ancora oggi adoro viaggiare in nave e subisco il fascino degli aerei che, solcando il cielo, collegano in un tempo relativamente breve luoghi lontanissimi tra loro. Inutile dire che, appena raggiunta la maggiore età, ho preso la patente B per guidare l’automobile a cui, nel giro di qualche anno, si sono aggiunte le patenti per la guida di camion e autobus, oltre che la Carta di Qualificazione del Conducente per il trasporto di persone (CQC). Prima di approdare al lavoro attuale di autista di bus di linea, ho lavorato per anni come autotrasportatore, distribuendo le merci più disparate in tutto il Nord Italia.
Fare l’autotrasportatore è un lavoro affascinante, perché consente di conoscere realtà nuove, località disparate ma, nello stesso tempo, è un lavoro che tiene per quasi la totalità della giornata e spesso pure la notte, lontano da casa e ciò mal si concilia quando s’inizia a mettere su famiglia. Tramite la selezione di un concorso, sono riuscito nel 2002, ad entrare a far parte del personale viaggiante della Tigullio Trasporti, trasformatasi in seguito in Ali e poi ATP e attualmente inglobata in AMT. Ricordo l’orgoglio del primo giorno in cui ho indossato la divisa: camicia azzurra, giacca blu e pantaloni classici grigi, il tutto reso più elegante da una cravatta a righe trasversali blu e carta da zucchero. La mia gioia e quella della mia famiglia fissata all’interno di uno scatto fotografico che riguardo nel tempo con gioia. Un in bocca al lupo, un abbraccio, un bacio e via, pronto a prendere servizio. Indimenticabili le riprese con la videocamera, mentre transitavo per la prima volta sotto casa e l’abbraccio di mia moglie e mio figlio ancor piccolo dalla fermata di Riva Trigoso.
Ricordi dolcissimi e memorabili nel tempo, raccontati sempre con gioia e nostalgia. Che dire, la mia vita e quella della mia famiglia, dalla mia entrata in Tigullio Trasporti, è letteralmente cambiata in meglio. Il lavoro su turni mi ha concesso maggiore flessibilità e libertà per coltivare le mie passioni e trascorrere finalmente gran parte del mio tempo libero a casa con i miei cari. Guidare gli autobus significa lavorare a stretto contatto col pubblico, per cui è fondamentale possedere un carattere estroverso, loquace, abile nel comprendere le persone con cui quotidianamente si viene a contatto. Occorre pazienza per interagire con le persone e, talvolta, capacità di mitigare gli animi. Essenziale è, ovviamente, l’amore innato per la guida, il conoscere e rispettare le norme di sicurezza stradale. È necessario essere un individuo indipendente (visto che si guida da soli), responsabile, dotato di compostezza e autocontrollo. Indispensabile la concentrazione, la prontezza di riflessi e la capacità di risolvere prontamente problemi imprevisti. In caso di emergenze, dovute ad incidenti o anomalie di servizio, bisogna comunicare tempestivamente i dettagli alla centrale operativa aziendale e fornire informazioni precise ai passeggeri al fine di mantenere la calma e l’ordine.
La mia esperienza come dipendente nel trasporto pubblico provinciale, dopo un breve periodo al lavaggio, è iniziata con la guida degli scuolabus nei paesini. Ero giovane, molto motivato e con una grande carica interiore. Al mattino, alle fermate sulle stradine dei paesi di campagna, le mamme facevano salire sullo scuolabus i loro bimbi diretti all’asilo/scuola che nel pomeriggio riaccompagnavo a casa. Con queste persone, dopo il periodo iniziale, si è instaurato un rapporto “quasi” di familiarità, conoscenza, amicizia. Nei paesi non c’è la frenesia della città. La vita scorre tranquilla e le piccole comunità si conoscono bene e si aiutano tra di loro. In breve tempo, sono entrato pure io, l’autista dello scuolabus, a far parte di quella realtà. Si era instaurata talmente confidenza che, se un bimbo non si fosse trovato alla fermata, sarebbe bastato un colpo di clacson, per far uscire il piccolo di corsa con una cartella più grande di lui e la brioche o qualche biscottino ancora da finire in mano. L’aria che si respirava sullo scuolabus era caratterizzata da calore e amicizia.
Nelle fredde giornate invernali, l’atmosfera veniva scaldata da canzoncine intonate tutti assieme. Indimenticabili i sorrisi dei bimbi, le loro domande innocenti, spontanee e a volte divertenti. Ricordo una volta in cui, ad un bimbo straniero di origini marocchine, ho detto di conoscere la sua madrelingua. Mentre farfugliavo monosillabi e sillabe scomposte, il piccolo mi ascoltava con attenzione scrutandomi con i suoi grandi occhioni castani e, alla fine del mio “discorso”, con l’ingenuità e la dolcezza propria dei più piccoli, mi ha detto: “Io non ho capito niente!”. Durante il periodo natalizio, ero inondato di regalini e di bigliettini affettuosi. Quell’atmosfera familiare e calorosa, costituisce ancor oggi, un dolcissimo e nostalgico ricordo. Col trascorrere del tempo, oltre agli scuolabus, mi sono occupato del servizio disabili, ovvero del servizio di trasporto pubblico finalizzato alle attività di scuola, lavoro e tempo libero delle persone con diversi tipi di disabilità. Questo periodo mi ha cambiato la vita perché il rapporto quotidiano molto stretto mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi nuovi. Penso dì essere cresciuto molto e mi sono sentito arricchito, le mie priorità sono cambiate così come i valori attribuiti alle cose intorno. Ecco se voglio riassumere questa mia esperienza posso dire che penso di esserne uscito come un uomo migliore, capace di guardare alla vita in maniera più positiva, riuscivo a guardare il bicchiere mezzo pieno piuttosto che vederlo mezzo vuoto. Dopo il lavaggio, gli scuolabus, il servizio disabili, ho lavorato nelle caotiche vie di Rapallo e, in particolar modo, sulla tratta S. Margherita Ligure-Portofino. La maggior parte degli utenti che usufruivano del servizio pubblico erano turisti provenienti dai più disparati Paesi, in particolar modo tedeschi, inglesi, russi. In questo caso, ovviamente, data la brevità dell’incontro, non s’instaurava un rapporto d’amicizia come durante il servizio scuolabus, disabili o nelle tratte utilizzate dai soliti lavoratori e casalinghe, ma ugualmente interessante è stato il confronto con altri mondi, culture, mentalità e modi di vita. Infine, dopo qualche anno dalla presa in servizio come autista di bus, mi sono avvicinato a casa iniziando a dedicarmi alle tratte tra Sestri Levante, Chiavari e dintorni. Il tempo sembra volato.
Ormai sono 20 anni che faccio questo lavoro e ne ho imparato a conoscere i punti di forza e di criticità. Io amo il mio lavoro fin dal primo giorno, perché mi piace essere indipendente e, allo stesso tempo, avere contatto quotidiano con le persone. Alla fine, chi usufruisce dei mezzi pubblici sono generalmente sempre gli stessi: gente che si reca al lavoro; studenti; casalinghe che dalle alture scendono in centro a fare la spesa, andare al mercato o svolgere altre commissioni; persone anziane sole che si recano ogni giorno, con il sole, la pioggia, il caldo o il gelo a fare un giretto, sfruttando l’occasione di stare in compagnia sull’autobus che per loro diventa quasi un punto di ritrovo. Dalla mia esperienza personale, posso affermare che il bus diventa per molte persone un luogo in cui socializzare e sentirsi meno soli. Le persone, durante il tragitto che le porta alle loro destinazioni, parlano, si raccontano e interagiscono con gli altri.
L’autobus diventa così un crocevia di esperienze di vita. Mi piace la socialità che si viene a creare.
A volte capita che le signore di paese ti portino le uova o qualche verdura, ortaggio o frutta dal loro orticello, mentre alcune bidelle, che amano dilettarsi in cucina, ti offrano dolcetti, rendendoti, in tal modo, partecipe delle festicciole tenutesi a scuola. I bambini, poi, sono dolcissimi e ti mostrano il loro affetto con un tenero abbraccio o ti fanno sorridere con le loro domande curiose o con affermazioni divertenti.
Purtroppo, negli ultimi due anni, questa socialità si è andata frantumando, a causa dell’epidemia da covid 19. Il numero ridotto dei passeggeri, i distanziamenti, le mascherine, la catenella che segnala la separazione tra gli utenti e l’autista, hanno creato una sorta di distacco, d’isolamento. L’aria che si respira è più fredda, preoccupata, tetra. Mi auguro, come tutti del resto, che si ritorni presto alla normalità perduta. Ovviamente, come in tutti i lavori, non sono tutte rose e fiori. Mentre si guida, occorre prestare molta attenzione e bisogna essere anche assai calmi, perché spesso ci si ritrova in coda o immersi nel traffico con auto, scooter, bici che spuntano da tutte le parti e si fanno largo a colpi di clacson.
Sulle alture, durante le gelide giornate invernali, può capitare di trovare la strada ghiacciata o le vie ricoperte di neve non ancora spalata. Talora, può succedere di vedersi tagliare la via da animali selvatici come lepri, cerbiatti, cinghiali. Una volta, mi è capitato pure di dover avvisare le forze dell’ordine per la presenza sul Bracco di un asino bianco. Sulla strada che conduce a S. Stefano d’Aveto, intorno al lago di Giacopiane, è facile pure trovarsi di fronte gruppi di bellissimi cavalli selvaggi. La gente, inoltre, non è sempre amichevole. Capita d’incontrare persone arroganti, irascibili, per cui occorre avere un carattere fermo e calmo che sappia mitigare gli animi. Un lavoro, dunque, con i suoi pro e i suoi contro, come tutti i lavori, del resto, che però io amo dal primo momento e che non cambierei con nessun altro al mondo!
Corrado Sotgiu