Un Natale molto diverso da quelli attuali, molto diverso… Si abitava con la mia famiglia a Serravalle Scrivia, in una villa padronale, Villa Adela, in cima ad una collina. Si era fuggiti dai bombardamenti di Genova e, grazie a mio nonno materno che aveva conoscenze ad Alessandria, avevamo trovato questa abitazione, che per me resta nella memoria come una dimora fantastica.
Di Lucio Ranieri
Arrivato a cinque anni, i miei ricordi di vita iniziano da quel posto. Campagna attorno, con tutti i suoi misteri di vita, animali da cortile da vedere e vivere. Meraviglie come le notti buie illuminate da lucciole, o grandinate con palle di ghiaccio grandi come il pugno del nonno Angelo.
Ricordo ancora il rumore delle tegole del tetto frantumate e mio nonno in controluce sulla porta che tiene in mano questi misteriosi proiettili venuti dal cielo. Primavere con esplosioni di gemme fiorite che volavano nel vento. Zia Maria che mi insegna a trovare sotto le foglie secche del bosco, le viole. Quel profumo intenso. Il Ghiaccio degli inverni che entrava in casa. Il catino dell’acqua per lavarci nella stanza da letto e la voce di mia zia che urla con meraviglia: “guardate, si è ghiacciata l’acqua nel catino”. Mamma che scende nel giardino vestita di scialli con un secchio di acqua bollente per sghiacciare la pompa del pozzo. I ricordi dei bambini sono piccole sequenze indelebili per tutta la vita. Il buio di quelle sere attorno alla brace della stufa. I grandi che parlano tra di loro. Nonna Amina con l’attizzatoio gira le patate nella brace. L’attesa e il sapore…Sere? Magari si sarà stati lì al buio, alle 7 di sera, altro che le lunghe notti di adesso. E i grandi che parlavano e si parlavano. Quanto abbiamo perso, abbagliati da uno stupido schermo, di conoscenza fra noi. Me ne sto andando dietro i ricordi che si affollano in fila per affiorare.
Natale, dunque. Mamma in attesa di mia sorella Lilia, il pancione e la preoccupazione di papà di dover percorrere due chilometri nel buio e nella neve alta in un inizio del travaglio di notte per raggiungere l’ospedale in paese. Circondati da una guarnigione tedesca che aveva montato una batteria contraerea per la protezione del ponte sullo Scrivia; i nostri rapporti erano buoni con loro. Spesso, a sera, ci venivano a trovare: un bicchierino di rosolio del nonno, due chiacchiere difficoltose dei grandi con quella lingua ostica, molti sorrisi. Fu durante una di quelle visite che papà riuscì ad avere la promessa che non gli sparassero addosso in un’inattesa uscita notturna da casa. Di quel Natale ho solo due sequenze indelebili. Svegliarci, a notte fonda, da un rumore improvviso, un fragore. Qualcuno batte sulle inferriate delle finestre del pianoterra, in cui erano sistemate le camere da letto, in un modo forsennato, risa, schiamazzi. Tratti di periodi tra i miei genitori. – “Non accendere” – “Sono loro, sono ubriachi” – Sento la sicurezza di mio padre e il timore in mia madre. Registro il tutto a quasi cinque anni, nel buio fitto.
Altra sequenza. Ci siamo spostati al primo piano, evidentemente perché vedo che mio padre accende la luce e apre le persiane guardando in basso. Notte, ora silenziosa. La voce di mamma che mi tiene in braccio e dice a papà: “via di lì, ti sparano”. Papà, sicuro, che grida a voce alta: – “Chi siete? Che volete?” – Nessuna risposta. Ultima sequenza natalizia e questa me la sono portata dietro tutta la vita a ricordarmi in quali natali si può imbattere un bimbo. Mi sveglio di nuovo a piano terra, nel letto dei miei genitori. Mamma non c’è, ma nel letto c’è zia Maria, la sorella, impiegata a Genova. Deve essere arrivata nel frattempo, se sta nel letto sotto le coperte con me. – “Mamma è andata a partorire in ospedale; per la paura di stanotte le si sono rotte le acque e sono usciti tutti, anche i nonni, per accompagnarla. Buon Natale, nipote mio! Ti hanno lasciato sul comodino da notte i regali, un piatto di canditi e alcuni fogli di cartone da cui ritagliare le forme degli aerei tedeschi e ricostruirli con la colla. Staremo a letto tutto il giorno per salvarci dal freddo, in quanto da buona impiegata, non so come si accende un camino. Ti dispiace se mangiamo i canditi che ti hanno regalato?”
N.B. Ho dimenticato i regali negli anni trascorsi dell’infanzia, ma quelle fortezze volanti di cartone da ritagliare e il colore e il sapore dei canditi mi sono rimasti dopo ottant’anni!
Lucio Raineri